domenica 17 aprile 2016

Saldatrice fai da te con MOT (parte 4 - pressa e puntali)

Prosegue pian piano la sperimentazione della saldatrice a punti realizzata con il trasformatore di un vecchio forno a microonde. Stavolta tocca ai punti di saldatura ed al sistema per pressare i puntali sul pezzo da saldare. Molto tempo fa avevo messo in pensione un supporto a colonna per trapano manuale, recuperato da una massaia che aveva deciso di disfarsene, dopo che si era resa conto che il fai da te non è cosa per comuni mortali (meglio continuare in cucina e specializzarsi ad aprire scatolette e confezioni di plastica).  Il tempo, l'ossigeno ed un ripostiglio non proprio secco, hanno contribuito alla formazione di ruggine ed il meccanismo di scorrimento era praticamente bloccato. 
Dopo una quantità industriale di sv*tol e WD4* e botte da orbi con il mazzuolo in gomma, alla fine, sono riuscito a rimettere in funzione il meccanismo che ora va meglio di prima (grazie anche ad alcune modifiche minori che non vale la pena di documentare). 
La scelta della pressa per i puntali di saldatura è dettata dalla necessità di avere le mani libere, oltre a quella che per ogni pezzo da saldare si possono realizzare i puntali della forma più adatta con un sistema di aggancio "rapido". Per cominciare, in mancanza di una barra di rame, ho utilizzato degli spezzoni dei perni di scorrimento onnipresenti nelle stampanti. Si tagliano a misura, si filetta una parte (M8) e si fissano con dei bulloni gli occhielli dei capicorda, realizzati nelle puntate precedenti. Uno dei due contatti deve restare isolato dal supporto. Quale materiale utilizzare? Plastica no, si fonde o si ammorbidisce col calore. Metallo no perchè conduce l'elettricità. Vetro o Ceramica? difficile da lavorare. Silicone? costa troppo. Cemento refrattario? anche si, ma alla fine ho preferito il calssico pezzetto di legno tagliato a disco, forato nel centro. 
L'elettrodo inferiore lo si fissa con una piccola morsa, da posizionare al momento, in asse con l'elettrodo superiore. Un breve lavoro di setup e la soluzione è servita.
I puntali: devo saldare in croce due fili di ferro, per cui con una lima a triangolo ho praticato due incavi di alloggiamento. Per le lamiere piane, i puntali andranno a punta per concentrare il calore il più possibile (non troppo a punta però). 
Occorre però fare alcune considerazioni, che dimostrano come i puntali in acciaio non vanno bene. Stiamo parlando di correnti molto alte, per cui anche un centrimetro in più (sia di cavo che di puntale) provocano una caduta di tensione significativa, che può compromettere la saldatura. Già nel mio caso ho i cavi troppo lunghi e la lunghezza dei puntali (8cm) riduce la tensione a valori sufficienti ad arrossire il pezzo in saldatura che però non si salda bene (con la filettatura superiore posso regolare la lunghezza). La soluzione ideale quindi è realizzare puntali in rame e cavi corti, molto corti. La misura ideale non esiste, in quanto la resistenza finale è influenzata anche dalla resistenza dei contatti e del materiale sottoposto a saldatura. Se si va a controllare la mole industriale di esempi già realizzati, si nota che il più delle volte, per dimostrazione, si saldano due lamierini sottili, due rondelle, pezzetti di metalli non specificati... il tempo di saldatura varia da pochi secondi sino a trenta... dipende anche dalla ruggine... la tenuta non sempre è dimostrata ma, per ottenere un giunto a prova di strappo, occorre arrivare alla quasi fusione del pezzo in prossimità dei puntali. Occorre anche aggiungere che questo tipo di soluzione non è adatto alla saldature delle lamelle sulle batterie (ricaricabili). Per questo serve un circuito che permetta di produrre un piccolo impulso di durata regolabile, per non scaldare la batteria che altrimenti si distruggerebbe (batterie e calore non vanno d'accordo). Ad ogni modo, ad ora, sono arrivato quaasi alla fine. Devo procurarmi agratis un pezzettino di tondino di rame ed accorciare un pò i cavi. 
Ma il legno usato per il supporto del puntale superiore non si brucia? Ovvio che tende ad annerirsi, se ci si mette a saldare per mezz'ora senza sosta ( e c'è pure il pericolo che si incendi), ma qui non c'è nessun capo reparto aguzzino testa di c*zzo che mi impone di produrre tot pezzi al minuto, per cui basta fare delle pause e prendersela comoda, non ci corre dietro nessuno, non ci alita sul collo nessuno, qui conta solo il risultato, non come ci si è arrivati. Alla prossima. 

P.S. ora vado a votare SI al referendum, NO alle trivelle. Ripeto: ora vado a votare SI al referendum, NO alle trivelle.

mercoledì 13 aprile 2016

CNS, ci risiamo

Ogni tre anni occorre rinnovare i certificati della firma digitale ed ogni tre anni mi tocca incazzarmi come una bestia. Puntualmente ogni tre anni si ripropongono i soliti problemi segnalati ma mai risolti. La CNS, carta nazionale dei "servizi" viene fornita dalla CCIAA su due supporti: smartcard e chiavetta USB. La chiavetta USB sotto linux NON FUNZIONA (devo scriverlo urlando), in quanto il software in essa preinstallato non "vede" il dispositivo (e lo segnala pure nella diagnostica). La smart card funziona solo  (e male) con un software di terze parti, con il quale in qualche modo si riesce a risolvere. 
Per rinnovare i certificati basta collegarsi al sito di infocamere e scaricare un programmino che, udite udite, è solo per quel sistema che non voglio nemmeno nominare e MAC OSx... di una versione per linux nemmeno a parlarne. Opto quindi per riavviare quel sistema che tengo nel portatile solo per le emergenze nere ed inizia la saga infinita. Aggiornamenti, aspetta, spegni ed aspetta, riavvia ed aspetta, installa ed aspetta e via dicendo per un paio d'ore (non retribuite ovviamente). A complicare le cose un paio di programmini installati non ricordo nemmeno come o quando (giuro non sono stato io), che alla loro disinstallazione ne installano altri, silentemente e di nascosto, programmini utili come un foruncolo al chiulo... impossibile proseguire alla fine. Il browser apre autonomamente pagine e pagine di pubblicità di m*rda, popup da tutte le parti nonostante sia istruito a non aprirli... di collegarsi al sito che ci serve è un impresa non da poco, con finestre che coprono l'area di navigazione e se ne stanno sopra le altre, senza bordi o pulsanti per chiuderle, un incubo. disistallo e reinstallo il browser...niente da fare, stesso problema. Per pulire il sistema dovrei installare altri programmini... e certo che mi fido, come no... (installer di m*rda, sistema operativo di m*rda! e m*rdosi tutti quelli che lo usano).
Proseguo comunque, scarico il programmino di rinnovo da un altra postazione (linux) lo copio e riesco a lanciarlo... scegli il dispositivo, avanti, digita pin, avanti, scegli pagamento, avanti,  digita username e password....inutile, non riconosce lo username, dal sit web si, dal programmino no. Un pulsante per tornare indietro non esiste, occorre per riprovare, chiudere brutalmente, riavviare, ma dopo tre riavvii l'esecuzione si blocca con errore 1500 (?) ed occorre riavviare il sistema, aspetta, aspetta, aspetta, niente da fare, nemmeno con quel sistema si riesce a rinnovare i certificati. Tre anni fa la stessa sorte, con la variante che i certificati erano scomparsi dalla carta (inspiegabilmente) e me l'hanno sostituita per inviare quella formattata al reparto tecnico per le analisi... analisi, oggi mi arriva l'avviso che sta per scadere... ma quali analisi? forse l'hanno usata per firmare qualcosa a mio nome? Stra a vedere che fra qualche anno mi arrivano delle sorprese nemmeno tanto inaspettate. Fatto sta che anche quest'anno devo perdere mezza giornata di lavoro, prendere l'auto, andare di persona in camera di commercio, trovare parcheggio a pagamento, prendere il numeretto, fare la fila per un paio d'ore, parlare con un impiegata dal QI di un lombrico, convinta che sia tutto funzionante ed a posto e l'idiota sono io.... tutto a spese mie ovviamente, sono sempre io che sbaglio, ovviamente e devo pure pagare il rinnovo, ovviamente.  
La smartcard scade l'anno prossimo, ne riparleremo e vedremo se riusciranno a risolvere i problemi (dubito fortemente, sono convinti che problemi non ce ne sono, basta ignorali ed i problemi spariscono come per magia). Per ora il token usb lo lascio scadere e l'hardware lo formatto e lo userò come chiavetta dati, visto che è mio, l'ho pagato profumatamente e ci posso fare quello che mi pare in quanto vittima di una truffa alla luce del sole. Proverò ad ordinare una chiavetta da Aruba e vedere se almeno quelli sono in grado di fornirmi un dispositivo che funzioni sotto linux. 
Ma... sta storia dei certificati che scadono... che senso ha? Posso capire un documento di identità con foto di identificazione, col tempo si invecchia ed i lineamenti del volto si alterano, ci può stare che occorre rinnovarlo almeno ogni 5 anni... ma un certificato che scade in tre anni? non ha alcun senso se non quello di obbligarci a spendere e sperare così di rilanciare l'economia (la loro non certo la nostra). Ma c'è una questione più seria. Le disposizioni legislative mi obbligano a dotarmi di firma digitale ed il fornitore del dispositivo e dei certificati mi impone di usare un sistema che richiede l'accettazione di clausole contrattuali che trovo inaccettabili (la licenza d'uso di quel sistema che non voglio nominare). Non mi pare giusto che in pratica, per usufruire di un servizio derivante da un obbligo normativo, sussista implicitamente l'obbligo di accettare delle clausole contrattuali di un fornitore privato. Trovo ingiusto che dei fornitori privati impongano una tale situazione solo per pigrizia o incapcità tecnica (o entrambe le cose). E' ingiusto e basta. Così come trovo truffaldino l'impiegato che assicura il funzionamento della chiavetta sotto linux, quando in realtà non è vero! E trovo ancora più truffaldina un assistenza tecnica di primo livello ridicola, inutile, inefficace, mentre quella di secondo livello non si fa nemmeno più sentire dopo un paio di botta e risposta via mail, costringendoci a chiamare il numero a pagamento per sentire 15 / 20 minuti di musichetta di attesa (pagata anche quella ovviamente). Fatto sta che alla fine il problema non è risolto, io ho pagato inutilmente una fornitura, per rinnovarla dovrei pagare ed accettare delle clausole (obtorto collo) e l'incazzatura sale a livelli preoccupanti. Sono davvero stanco di interfacciarmi con incapaci laureati, informatici smanettoni, pigri scaldasedie, funzionari idioti, dirigenti ignoranti ed impiegati impreparati (che comunque a fine mese lo stipendio lo prendono eccome, con tanto di bonus). Stanco, Stanco, Stanco. Fanchiulo. 

P.S. il vaso è pieno e la polvere brucia. Ripeto: il vaso è pieno e la polvere brucia. 

martedì 12 aprile 2016

Saldatrice fai da te con MOT (parte 3 - capicorda ad occhiello)


Merita un promemoria a parte. Per collegare l'unità di potenza con i puntali di saldatura della puntatrice in corso di realizzazione con il trasformatore del microonde moddizzato, mi servono dei capicorda ad occhiello in grado di supportare le correnti elevate e che abbiano un occhiello da almeno 10 millimetri, per poterli fissare ai morsetti. Nei brico center non si trova quasi mai nulla di quello che va leggermente oltre le necessità domestiche, per cui... occorre arrangiarsi (as usual). 
Frugo nel ciarpame, da tempo immemore messo da parte, non si sa mai, e trovo due tubetti di ottone del diametro e lunghezza giusta. Non ricordo proprio da dove arrivino, ma sembrano fare al caso mio. Con una morsa li schiaccio per metà. Nella parte piatta si pratica il foro necessario, mentre la parte tonda serve per collegare il cavo. Con una lima si arrotondano gli spigoli. Ovviamente l'epic fail, dato dall'impazienza, è dietro l'angolo. I tubetti sono rivestiti di uno strato di plastica protettiva che fatica a venire via (specie quando ci si accorge della presenza del preservativo dopo la modifica). Plastica e corrente elettrica non vanno d'accordo. Pazienza, appena avrò tempo e voglia procederò a rimuovere la protezione e recuperare i due capicorda autocostruiti. 
Per risolvere, opto per due pezzettini di tubo di rame, raccolti da terra da un cantiere dopo che l'idraulico aveva finito di "lavorare" (per non dire sprecare il rame, cmq grazie). Stesso procedimento ed i capicorda sono pronti per attaccarci il cavo. 
Per fissare il cavo ci sono due possibilità: crimpare o stagnare. Per crimpare...senza crimpatrice ovviamente... occorre ingegnarsi un pò. Morsa da ferro, scalpelli per metallo per creare l'invito alla piegatura all'interno (perfetta quella a "quadrifoglio"), si stringe come meglio si può e per esagerare si pratica un foro in cui infilare una vite. Al limite si può praticare un taglio sulla parte tonda e ripiegare all'interno i due lembi. In mancanza d'altro, funziona. 
L'alternativa è stagnare. Pulire perfettamente il rame, innaffiare abbondantemente con flussante in pasta (si trova dal ferramenta), stringere il pezzo fra due blocchetti di legno per evitare che la morsa metallica assorba il calore. Meglio usare la fiamma (quella delle mini torce per caramellare va benissimo) facendo attenzione a scaldare solo il rame e non la guaina che inevitabilmente si fonderà un pò in prossimità del tubo di rame (preferire sempre cavi ignifughi di alta qualità). A temperatura raggiunta si infila il cavo impregnato di flussante e si accompagna dentro il filo di stagno fino a quasi riempire il capicorda e lasciare raffreddare. Tolta la fiamma, si sfrutta la guaina ammorbidita dal calore per riportarla in prossimità del giunto e migliorare l'isolamento generale. 
Alla fine, a pezzo freddo, si infila un pezzetto di guaina termo-restringente ed il gioco è fatto, semplice, rapido, economico, efficace. Alla prossima. 

P.S. l'acqua stagna puzza. ripeto: l'acqua stagna puzza. 

domenica 10 aprile 2016

Saldatrice fai da te con MOT (parte 2)

Work in progress (vedi parte 1). Me la prendo con calma, come dovrebbe fare l'unanità, tutta presa dalla fretta di fare (non si sa bene cosa) dimenticando che la vita è unica e deve essere vissuta al 100% in cose utili a sè stessi ed agli altri (entrambe le cose altimenti non funziona).
In rete si trovano una quasi infinità di progetti e realizzazioni, alcune veramente interessanti, che dimostrano i diversi approcci adottati dai Diyers del mondo (grazie internet e grazie ale loro condivisioni). E' noto che a me non piacciono le cose pronte e nemmeno copiare le idee altrui, per cui ho affrontato la cosa con una visione diversa.
Dopo una serie di peripezie e problemi mai documentati da nessuno, l'unità centrale della saldatrice a punti è quasi pronta. Ho deciso di separare la parte di potenza da quella di saldatura per due ragioni. La prima è che così posso trasportare e più facilmente l'unità e riporla senza tanti ingombri dati dai bracci mai abbastanza lunghi. La seconda è che per saldare i punti dove quest'ultimo è posizionato in posti impossibili, richiede una maggiore flessibilità della parte finale, i due elettrodi  di rame. Due braccetti a molla non mi bastano, sono adatti solo per lamiere piane la cui superficie non supera la loro lunghezza. Per cui ho deciso di boxare il trasformatore e portare fuori due morsetti a cui attaccare i cavi che andranno verso gli elettrodi (ancora da realizzare). Per preparare il trasformatore ho preferito tenere integro il traferro, contrariamente a quanto suggerito da alcuni. E' più difficile ma così si riduce drasticamente il ronzio e non occorre saldare col rischio di scottare gli avvolgimenti. Il contenitore? ho preso una lamiera di alluminio che originariamente era stata realizzata per supportare l'alimentazione di un macchinario di refilling per le cartucce di stampa (anni fa, ne ho parlato). E' una lamiera di un buon spessore, con due bordi già piegati e già verniciata. In prossimità dei bordini piegati, ho praticato due tagli a 45 gradi e con l'aiuto di due pezzi di legno tagliati a misura ed una morsa ho realizzato una specie di "C" in cui alloggiare il trasformatore. Il pannello frontale è realizzato con un pezzo di pannello che proviene da una vecchia stufa catalitica, spessore 4mm, facilmente lavorabile per alloggiare un interruttore illuminato ed i due morsetti.
I morsetti sono gli attacchi per le prese degli impianti di terra, però modificati. Il foro infatti, purtroppo, è leggermente più grande del cavo da 25mm2, per cui, serrando totalmente il bullone da 10 che tira il morsetto, non si riusciva a fissare per bene il secondario. Allora con un tornio ho praticato un foro da 5 filettato ed inserito una vite che va a spingere un lamierino che schiaccia per bene il cavo assicurando nel contempo un ottimo contatto elettrico (la foto non è ottima ma sto lavorando su un PC di emergenza e non ho l'editor adatto)
Per le chiusure laterali ci devo ancora pensare, dipende dal materiale che intenderò utilizzare, anche se sto già pensando a due griglie con tanto di ventola, per raffreddare il tutto quando si intende fare un uso pesante della saldatrice. 
Durante le prove preliminari mi sono accorto di un piccolo inconveniente. Pensavo di utilizzare due cavi volanti che vengono venduti per caricare la batteria dell'auto (120 Ampère)... no, non funzionano, almeno alla massima lunghezza (2,5mt), bisognerà accorciarli drasticamente o utilizzare lo stesso cavo usato per l'avvolgimento secondario, altrimenti quello che si ottiene sono solo delle inutili ed innoque scintille che non scaldano nemmeno il pezzo da saldare (dovrò fare delle misure in tal senso ma per ora non ho la pinza amperometrica). 
Ora mi mancano gli elettrodi. Sto pensando di fissarli al volo ad una pressa per trapani (o usarli al volo manualmente). Intanto dovrò in primis realizzare due capicorda con foro da 10mm, una lamiera di rame da 3 mm o di ottone (magari un tubo), trapano, forbice, lime di precisione e sicuramente qualcosa di ottimo salterà fuori (dato che in commercio sono difficili da trovare al brico). Per gli elettrodi... una barra di rame piena (picchetto di terra) che costa una fucilata nei maroni... forse in qualche cantiere ne andrò a dissotterrare una che mi sta chiamando... un pezzettino da pochi centimetri non te lo vende nessuno... forse con un tondino di ottone riesco a risolvere.... vedremo. alla prossima.

P.S.  il lupo ulu là. Tipeto: il lupo ulu là. 

giovedì 7 aprile 2016

il giornale del bar

Una nuova tecnica. Per assicurarsi di leggere con moooolta calma il giornale del bar, uno dei 5 pensionati ubriaconi fancazzisti che si contendono la carta stampata a disposizione dei clienti, di fatto monopolizzandone l'uso, con una sofisticatissima serie di strategie, per tutto il santo giorno a tutte le ore di apertura del bar, ha adottato una tecnica innovativa ed efficace. 
Il bar apre alle 7:30, arriva, si mette il giornale sotto l'ascella come fanno i francesi con le baguette e va a fare colazione al banco, tenendosi stretto il prezioso trofeo. Con calma sorseggia il cappuccino, mastica con i pochi denti rimasti la brioche, con la lentezza di un bradipo e paga, aspettando inutilmente lo scontrino che per gli abitueè non è previsto. Poi, aspetta che si liberi un tavolo dalla ressa di coloro che un lavoro ce l'hanno e fanno colazione in fretta. Si siede a "leggere" con moooolta attenzione, compresi gli annunci mortuari. Tre ore minimo, con tanti auguri a chi magari va a bere un caffè al volo e vorrebbe in trenta secondi dare un occhiata alla cronaca locale per sapere cosa succede in zona (furti nelle abitazioni, litigi fra vicini, presenza di nomadi accampati, ecc.ecc...).  L'attenta consultazione viene periodicamente interrotta dai suoi Colleghi che commentano i titoli innescando discussioni infinite e conseguenti polemiche dall'esito scontato: padroni a casa nostra, stranieri a casa loro, l'italia agli italiani e via dicendo...nel frattempo il giornale diventa mero poggiagomiti. 
Le tre ore di monopolio giornalistico si dilatano a volte, complice anche l'accordo sottobanco che vede i Colleghi pensionati prenotare la lettura "appena hai finito" assicurandosi così il passatempo preferito ed obbligato dalla mancanza di cantieri aperti nelle vicinanze... manca solo il numeretto come dal salumiere e siamo tutti a posto. 
Ecco, la mancanza di spazi di aggregazione desiderati da chi vorrebbe concentrare le persone a sè per meri scopi personali (parrocchie, politici, attività commerciali ecc...) crea questi fenomeni sociali ai quali non c'è rimedio ma che sono il segnale dell'origine dei fenomeni quali accaparramento, cupidigia, avidità, monopolio, privatizzazione spinta, tanto tollerati quanto deleteri. Di condividere le risorse nemmeno a parlarne ed il comunismo non c'entra un caxo! Ciao imbecilli.

P.S. il verdicchio non mangia i sassi. Ripeto: il verdicchio non mangia i sassi. 

giovedì 31 marzo 2016

Riparare, non buttare!

E' dall'apertura di questo diario che sostengo caparbiamente la politica del fai da te, della riparazione spinta, del retrofit, del ri-uso e nei casi peggiori della ricostruzione di parti rotte. Le motivazioni sono facilmente comprensibili anche ai più resistenti. 
Parto da questo articolo http://www.repubblica.it/ambiente/2016/03/29/news/riciclo_lobby_riparatori-136500057/#gallery-slider=136502080 per alcuni ragionamenti. 

Se sostenere il diritto di disporre di oggetti regolarmente acquistati è scarosanto, lo è altrettanto opporsi a qualsiasi legislazione, impedimento o politica che vorrebbe impedircelo. 

Per queste motivazioni, negli stati uniti, è nata la Repair Association https://repair.org/ alla quale si può aderire a partire da 50 dollari. E' in realtà una associazione nata dal sito https://www.ifixit.com/ comunità di riparazione on-line che però vende anche attrezzature e strumenti pubblicizzati all'interno dei tutorial liberamente accessibili (nulla con non si possa fare anche senza).
Ma nel vostro paese... c'è qualcosa di simile? No. La situazione è ben diversa. Da voi è ancora molto forte il suggerimento "conviene buttare e comprare nuovo". Ho sempre rifiutato un suggerimento simile (anche qui dove vivo), dimostrandone la falsità e soprattutto chi sia in realtà il fruitore della "convenienza" suggerita. 

C'è da dire che, complice l'ignoranza diffusa, la superficialità indotta, il bisogno percepito, l'acquiescenza di consumatori proni alle frottole e l'avidità di certi commercianti illuminati dal profitto spinto, il tutto condito da subdole politiche che tendono a metterci l'uno contro l'altro (riuscendoci benissimo), l'ostacolo maggiore che impedisce una solida costruzione di una rete di persone consapevoli, disposte a difendere apertamente un diritto indiscutibile e non mediabile, è rappresentato dall'ignoranza, dalla pigrizia, dall'invidia, comunque da tutta una serie di elementi che non possono essere certo annoverati fra le virtù. 

In un paese popolato in maggioranza da unani schifosi, per dimostrare quello che sostengo, coloro i quali decidono di riparare sono additati ed etichettati come hacker (per alcuni un indice di criminalità), pirati, smanettoni, cantinari, gente pericolosa che è contro il "progresso" (di cosa?), elementi pericolosi per l'economia (di chi?). 

E' facile intuire chi sia il responsabile di diffondere tali epiteti... chi ha interesse a sostenere il consumo spinto, dai produttori ai commercianti sino alla fine del ciclo dove troviamo solo discariche ed inceneritori, per non parlare di quelli che trattano le materie prime. 

Il processo di acquisto, uso e fine vita del prodotto è solo una piccola parte del ciclo di vita di un oggetto. Prima e dopo ci sono una serie di processi che a ben vedere sono dannosissimi per tutti noi ma di cui si parla poco e che solitamente vengono ignorati dai più. 

Diversamente, se si affronta l'argomento, la macchina del fango riparte e si viene etichettati come sognatori, utopisti, ecologisti, attivisti, antagonisti (anche a queste parole si tende a dare una connotazione negativa) o peggio terroristi o ecoterroristi. Sembra che avere idee diverse dalla massa provochi delle reazioni incontrollate da parte di chi non si sa di preciso, ma che riesce sempre a far sentire la sua voce sopra tutte le altre, inducendo timori e paure irrazionali... ma efficaci. 

Ed ecco che allora ci viene in mente una domanda... riuscirete mai nel vostro paese a creare un associazione di riparatori?, una lobby pulita (si lo so, è un ossimoro) che abbia l'obiettivo di poter esercitare un diritto? non credo, a meno che sottostante ad essa non ci sia l'interesse politco ed economico degli stessi che spingono i consumi inconsapevoli. Secondo me non avete scampo. 

Ma una soluzione c'è?? Forse si. Smettiamola di ragionare in termini numerici, di associazioni, di gruppi sui social, di raccolte firme o di soldi (oops... crowdfunding fa più figo), di partiti, di qualsiasi cosa che puzza tanto da gruppo di pecore che si sentono sole ed isolate alla ricerca di un leader o di un guru a cui votarsi come guida spirituale. 

Iniziamo a rimboccarci le maniche ed inziamo a FARE! senza nessuno che comandi, diriga, coordini. Ognuno di noi è un essere pensante (lo so non è proprio vero). Il resto viene da sè e lo dimostrano recenti studi (senza fonte, andarevela a cercare) che sostengono come l'evoluzione è frutto della cooperazione e non della competizione. E non è necessario saper navigare nella darknet per trovare le istruzioni, gli schemi, i tutorial (ovvero la pappa pronta per i pigri), bastano un pò di volontà, conoscenze, senso pratico, intelligenza... non è una cosa da tutti ma la selezione naturale farà il resto, ne resteranno soltanto pochi. Ciao imbecilli. 

P.s. le orecchie, gli occhi e le mani sono il doppio delle bocche. Ripeto: le orecchie, gli occhi e le mani sono il doppio delle bocche.

martedì 29 marzo 2016

il denaro NON è tutto.

Puoi comprare un letto ma non il sonno,
Puoi comprare un orologio ma non il tempo,
Puoi comprare un libro ma non la conoscenza,
Puoi comprare il potere ma non il rispetto,
Puoi comprare una medicina ma non la salute,
Puoi comprare il sangue ma non la vita,
Puoi comprare il sesso ma non l'amore,

Vedi, il denaro non è tutto e spesso è causa di malessere, disagio e sofferenze. Ti dico tutto questo perchè sono tuo amico e come tuo amico voglio evitarti malessere, disagio e sofferenze.

P.S. il commercio non è di vetro. Ripeto: il commercio non è di vetro.  

domenica 27 marzo 2016

un non-cliente da evitare

Imputato, presunto innocente ma convinto di esserlo e pertanto le necessità del caso, ovvero difesa e consulenza tecnica, non sono attività retribuibili. Non vuole pagare, non lo trova giusto. Una multinazionale con fatturato da milioni di euro l'anno lo denuncia per appropriazione di somme dei clienti ma lui è convinto di essere innocente, per cui perchè deve pagarsi la difesa? Il giudice decide di vederci chiaro ed ordina una consulenza tecnica sui PC utilizzati ed incarica un informatico? no ovviamente, incarica un giornalista che ha scritto dei libri sull'informatica, ovvio. E l'imputato si preoccupa? Ovviamente no, lui è innocente e non deve pagare un suo consulente, perchè dovrebbe farlo se la giustizia trionfa sempre? Inoltre la questione è semplice e non è un problema economico, è una questione di diritto non retribuire un professionista specializzato con più di trentacinque anni di esperienza tecnica sul campo, con qualche migliaio di consulenze di parte svolte tutte con successo. 
Fortuna vuole che 35 anni di esperienza mi hanno specializzato a riconoscere a naso questa nuova generazione di furbetti. Se la trattativa preliminare non si conclude, posso capirlo, un pò mi spiace, il lavoro richiesto non si fa. Arrangiati, sei tu il quello con il problema, non io. Sei tu che rischi, non io. Personalmente, puoi avere tutto il bisogno che credi, ma senza mandato e senza anticipo fondo spese non apro nemmeno lo zip del fascicolo, figurati se vado all'incontro col consulente d'ufficio, forse nel duemilaecredici. Volere cammello? pagare moneta. 
In caso di insoluti, oltre ad emettere fattura per soldi non incassati e pagare l'iva (grazie stato maledetto), dovrei dimostrare che c'è un incarico sottostante l'attività svolta. In mancanza di incarico... il credito non è esigibile e mi dovrei attaccare, soccombendo alle spese di recupero credito e spese legali, tasse e bile. Mi spiace (ma neanche tanto) ma il mio tempo è unico, irripetibile, non posso recuperarlo, pertanto preferisco dedicarlo ad altre cose e non cedere a questi parvenue che pensano di poter disporre del prossimo agitandogli sotto il naso promesse che non saranno mantenute o banconote che non cambieranno proprietario nemmeno ci fosse la miglior prestazione possibile. Un insolvente abituale. Vaffanchiulo. 
E' chiaro che così guadagnerò di meno ma la cosa mi spaventa meno che una collaborazione con diversamente onesto. Ri-vaffanchiulo.

P.S. lo zibello dorme ma non russa. Ripeto: lo zibello dorme ma non russa.

domenica 20 marzo 2016

Morsa per affilatura coltelli (parte 1)

E' da un pò che mi sono finalmente deciso di affilare lame ed utensili di lavoro. Mi sono già costruito una morsa per gli scalpelli da legno, ora tocca alle lame di coltello. Una lama che non taglia non serve a niente, se non per rovinare ciò che si sta tagliando e bestemmiare in aramaico. Per pialle e scalpelli aprirò un thread a parte. Per le lame di coltello questo è il posto giusto. L'arte dell'affilatura (sì è un arte), a me quasi sconosciuta sino a poco tempo fa, è un mondo a sè, come tutti i mestieri, le arti e le professioni che racchiudono ciascuno i loro trucchi del mestiere, i segreti e le scuole di pensiero. Da principianti si commettono degli errori e con il tempo, la pratica, la costanza e perseveranza, la pazienza, l'abilità manuale che ciascuno di noi ha purtroppo dimenticato, riescono a produrre dei risultati apprezzabili.
Qualche tempo fa, dopo un interminabile visualizzazione di tutorial, filmati, manuali tecnici (tutto in inglese ovviamente) per non perderci troppo tempo (maledetta ed inutile fretta) ho acquistato su "amazzon" una morsa di affilatura dai cinesi. Le altre opzioni costavano troppo e non me le potevo permettere. 4 pietre, un supporto per mantenere l'angolo di affilatura costante, più un pennarello, uno straccio in "macrofibra" ed una bustina con chiusura a velcro (giusto per "giustificare" il prezzo forse giudicato superiore al valore dal rivenditore... pochi euro in realtà). 
Con grande disappunto parziale, il difetto della morsa sta nella chiusura che ferma la lama. Per girare quest'ultima sottosopra, occorre togliere la lama aprendo una manopolina che per azionarla occorre una pinza. Così facendo si perde l'angolo di affilatura impostato nella faccia opposta ed il risultato finale non è mai perfetto, con un filo asimmetrico. Ma anche la chiusura ha i suoi difetti e non ferma saldamente la lama (a volte rigandola a causa delle "protezioni" in plastica inadatte). Così, dopo un pò, constatati i difetti, decido di rifare la base con un sistema che mi permetta di girare la lama senza dover toglierla dalla morsa. Un vecchio travetto recuperato da una vecchia morsa realizzata per i tagli a 45 gradi, due angolari di una cassetta della frutta, qualche vite ed una cerniera da finestra. La cerniera serve da morsa... funziona egregiamente assicurando che il pezzo in lavorazione resti fermo (alle estremità qualche giro di nastro di mascheratura assicura una buona protezione sostituibile quando serve). Una barretta filettata da 6 e due dadi tengono chiuso e ben serrato il tutto e altri due fori preesistenti servono per farci entrare due piolini fissati alla base di appoggio, in realtà due viti a cui ho tagliato la testa. I due angolari recuperati dalla cassetta delle arance, servono per allargare la base e dare un pò di stabilità. Ho tenuto le pietre (120,320,600,1500) e l'asta di scorrimento. Per l'angolo di affilatura posso regolare l'altezza dello snodo potendo così partire da 10 gradi sino a poco più di trenta.
Con questo setup (work-in-progress, mancano le finiture estetiche) è già possibile ottenere un ottima affilatura "a rasoio" che supera la prova carta tagliata al volo di traverso. L'angolo di affilatura resta costante e simmetrico. Una buona lucidatura del filo con paste abrasive è solo un qualcosa in più per migliorare un pò la precisione di taglio (dipende dall'applicazione che ha la lama ovviamente, se ne vale l pena).
Visto che non devo tagliare il sushi, mi accontento di questo che va più che bene, oltre le aspettative. Un pò meno entusiasta per il kit di lame assortite prese dai cinesi... si lo so 6 lame costano 4 euro--- perchè sono talmente sottili che quando le si affila si piegano, compromettendo l'angolo di affilatura. Per ovviare occorrerà una morsa più larga che tenga orizzontale tutta la lama (sulla lunghezza) ed impedisca che si pieghi sotto il peso della pietra. Lasciamo stare le considerazioni sull'acciaio usato (non mi stupirei se fosse radioattivo), non stiamo troppo a fare i pignoli su certe cose, in fin dei conti per ora devo solo tagliare la frutta. Alla prossima. 

P.S. la mela è bacata. Ripeto: la mela è bacata.

venerdì 18 marzo 2016

Profumatore per auto (refill)

L'auto è un costo fisso e ricorrente che in pochi si possono permettere credendo di non poterne fare a meno. In realtà è solo una scusa.... c'è sempre una scelta. Con il tempo l'auto diventa quasi una seconda casa, specie per chi è "costretto" a servirsene tutti i giorni, ovvero rappresentanti ed addetti alle consegne, il resto è solo gente che potrebbe tranquillamente starsene a casa o muoversi in altro modo. Vivere in pochi metri quadrati, mangiarci dentro, spesso dormirci, magri anche fumare analogico 1.0.... l'ambiente perso il caratteristico odore del nuovo (una miscela indescrivibile di schifezze dannosissime alla salute) inizia a puzzare davvero troppo. Urge una soluzione. La più efficace? PULIRE!
Gli unani, usi più a non riflettere, acquistano di solito al distributore una delle quasi infinite varietà di profumatori per auto, dall'arbre magique (che lo odio con tutte le mi forze) alle boccettine, agli aggeggi da attaccare alle bocchette dell'aria, senza trascurare i modelli con regolazione dell'intensità, ai duffusori elettrici da attaccare alla presa accendisigari (si è mai visto un sigaro accesso con la resistenza in dotazione alle auto?) ecc...ecc...
Anni fa, molti anni fa, ero anch'io un unano, moderato, ma sempre unano...compravo senza pensare. Oggi sono un unano pentito. Ma da allora mi sono rimasti due diffusori analogici, due boccettine in vetro, usate per profumare quella che per me era più un alcova che un mezzo di trasporto... ero ggiòvane e potevo permettermi di rimorchiare. Le due boccette sono rimaste quasi dimenticate in un cassetto, qui non si butta nulla ed oggi è venuto il momento di riutilizzarle e dare loro dignità. Hanno un tappino di legno che dovrebbe assorbire il liquido e diffonderlo per evaporazione nel minuscolo spazio rappresentato dall'abitacolo dell'auto.... dovrebbe in quanto non funzionano per niente, non hanno mai funzionato. Il liquido per evaporare ci ha messo anni, molti anni, rendendomi felice di aver acquistato qualcosa che durasse così a lungo... e che non profumasse per niente l'ambiente... due ciòttoli inutili in sintesi, soldi buttati. 
E' tempo di un upgrade e di riutilizzo. Dopo aver risolto il problema, grazie ad unamica che mi ha regalato un sacchetto traspirante pieno di fiori di lavanda rinsecchiti del suo giardino (la migliore soluzione al mondo...e funziona alla grande!), ho deciso di recuperare i due ciòttoli con una ricarica, ma con una modifica. 
Serve qualcosa di assorbente che vada a pescare il liquido profumato e lo porti al cappuccio di legno per capillarità... la scelta è ricaduta nei bacchettini di bamboo usati nei profumatori da tavolo. Recentemente li ho sostituiti e quelli vecchi ovviamente non li ho buttati, li voglio recuperare facendoli bollire per riportarli a nuovo, dato che non sono facilissimi da trovare come ricambio (preferiscono sempre rivenderti il kit completo di boccetta e liquido sti bastardi ed io sono ancora in sciopero della spesa). 
Un piccolo foro da 2,5 sul cappuccio (al tornio per centrarlo perfettamente), si infila il bastoncino e si taglia a misura. Con un fil di ferro da giardino si crea l'asola per appenderlo et voilà. Il liquido l'ho preso dai cinesi, in attesa di costruirmi un distillatore per estrarre l'olio essenziale di lavanda. In realtà il liquido preso dai cinesi non sembra cinese, è scritto made in italy, ma costa relativamente poco. Costa poco perchè è molto diluito ed evapora in fretta. La quantità di liquido nel boccione in foto dura due o tre settimane... urge soluzione con qualcosa di naturale ed urge la costruzione del distillatore di essenze... sono alla ricerca di pentole, tubicini di rame, valvole, piegatubi, torcia per brasature... alla prossima.

P.S. La polvere è bianca e l'olio è nero. Ripeto: La polvere è bianca e l'olio è nero. 

giovedì 17 marzo 2016

Riciclo di un marsupio portacose

La strada della sobrietà, passando attraverso la rimodulazione dei "bisogni", porta alla libertà. Meno consumi, meno bisogno di danaro, meno tempo impiegato per produrre quest'ultimo. L'equazione è semplicissima. Il tempo che rimane è libertà, libertà di coltivare le proprie passioni, per vivere l'unica vita che ognuno di noi ha. E se la vita degli unani merita di essere spesa a lavorare per soddisfare dei falsi bisogni, la mia no, è più preziosa. Davanti a me ho sempre meno anni di quelli passati e preferisco essere io a decidere cosa farne. Ma consumare è inevitabile. Gli oggetti si deteriorano, specialmente in questo periodo storico dove la produzione degli oggetti è estremizzata al risparmio dei costi per la massimizzazione del profitto (di pochi). E se gli oggetti si deteriorano, specie quando rappresentano una comodità a cui non è necessario rinunciare (la decrescita non è rinunciare), occorre sostituirli con qualcosa di equivalente, dopo attenta valutazione se sono concretamente ed effettivamente utili e necessari. 
Una cara amica ha deciso di buttare il suo marsupio, usato durante il lavoro per riporre le cose che devono restare sempre a portata di mano quando si è in mobilità... documenti, e-cig, telefono, aspirine, fazzolettini, un pò d'acqua allo zenzero, le chiavi di casa e del lucchetto della bici.... il minimo indispensbile. Un marsupio tipicamente di fattura cinese, cucito assieme da chissà quali manine, in chissà quale tugurio insalubre ad orari disumani, in cambio di pochi spiccioli usati, si spera e presume, almeno per l'indispensabile o per il miraggio della sopravvivenza in questo mondo corrotto ed avido. 
L'uso quotidiano ne ha evidenziato limiti e carenze progettuali... alcune scuciture, la stoffa logora e consumata dallo sfregamento... decisamente sfruttato sino al limite. Ma alcuni componenti sono ancora funzionali e non sono rotti o da buttare, lo è l'insieme, l'oggetto assemblato. Ed allora, perchè non recuperare quello che c'è di buono e buttare il resto? 
Si ma cos'è rimasto? Dopo l'operazione inversa all'asemblaggio "1000 pezzi all'ora=un pugno di riso" restano, perfettamente funzionanti:
  • una fibbia di plastica
  • un aggancio a clip per la cintura
  • una cinghia  da 60, termosaldabile

e 5 cerniere di cui :
  • 1 da 16cm
  • 2 da 20cm
  • 1 da 26cm
  • 1 da 30cm

Fibbia ed aggancio a clip verranno usate per una citura da pantaloni, funzionano benissimo, ne ho altre 2 autocostruite, sono indistruttibili. La cinghia da 60 è troppo corta per una cintura, ma perfetta per costruire una specie di maniglia per qualche borsa o contenitore. Le cerniere? magari per sostituire quelle che si rompono o in qualche progetto che ho in mente, quando inizierò a lavorare anche il cuoio. 
E con questa operazione, 10 minuti, mi sono assicurato del materiale da ri-utilizzare, di riciclo o recupero, di certo non indispensabile ad ingrassare le corrottissime multiutility dei rifiuti... vi sto boicottando diversamente empatici. Alla prossima. 

P.S. la serpe è in viaggio. ripeto: la serpe è in viaggio. 

mercoledì 16 marzo 2016

Soffione doccia

Proprio nel bel mezzo di una doccia bollente, rigeneratrice, necessaria e desiderata dopo una dura giornata di cazzeggio... crack! il soffione si apre ed una cascata d'acqua incontrollata sferza violentemente la mia delicatissima e nobile epidermide. Caxo!
Il soffione ha meno di un anno, installato da un idraulico a nero quando finalmente mi hanno sostituito il miscelatore a leva che aveva un'interessante caratteristica binaria... o tutto freddo o tutto bollentissimo, vie di mezzo proprio no (un pò come me). Quest'ultimo aveva una peculiarità in più. Ruotando la parte finale, era possibile ottenere una morbida pioggia leggera o un getto centrale più potente e ristretto, o tutti e due. Ho sempre preferito la pioggerellina delicata, anche perchè richiede meno acqua e si risparmia un pò rispetto all'altra modalità. La rottura ha comportato l'apertura della parte forata dal suo alloggiamento. Una rapida ispezione ed il problema salta immediatamente all'occhio. Un progettista malato di mente, un deficente, ha ben pensato di predisporre un aggancio plastico di un quarto di millimetro usando un materiale fragilissimo e sicuramente inadatto allo scopo. Deficente, che ti venga un erpes ai testicoli e che poi  ti cadano in un bio-estrattore di succhi. Deficente. A computer il disegno sembrava funzionare, vero? Deficente! Non voglio pensare che non ti sei opposto alle pressioni dell'uomo marketing, il quale sicuramente ti avrà istruito in merito ai vantaggi dell'obsolescenza programmata, del consumismo spinto, allo spreco di risorse di questo pianeta ed agli interessi della "proprietà" (il padrone per dirla all'antica). Voglio pensare che hai pensato di tenerti stretto il tuo merd*so posto di lavoro, piuttosto che avvisare di dover progettare un oggetto fragile e quindi inutile, e proprio per questa scelta sei, oltre che un deficente, anche un pirla, un cogli*ne ed una testa di caxo! ingegnere del menga. Come caxo si fa a pensare che una plastichetta fragilissima, a cicli alterni sottoposta a sbalzi di temperatura e pressione, resista a lungo? F*ttuto demente idiota! 
Ora mi tocca aggiustare anche questo, che oggi avevo deciso di occuparmi di altro e gli impegni si accumulano. Allora... tolgo il fragilissimo, inutile, mal concepito, stupido meccanismo interno, tappo i fori centrali e incollo il coperchio con della epossidica bicomponente, tiè deficente di m*rda! Che credevi che ne compravo un altro? no!, giusto per boicottarti lo stipendio che non meriti, deficente! Ringrazia solo che il marketing ha deciso di non brandizzare l'oggetto, altrimenti ti venivo a cercare di persona davanti al tuo studio di "progettazione" o sotto casa tua, giusto per prenderti a calci in culo da lì sino all'università che hai frequentato solo per scaldare una sedia con la faccia che hai al posto del chiulo, deficente! Ah, quasi dimenticavo.... mavaffanchiulo và. 

P.S.  L'acqua è finita. Ripeto: L'acqua è finita.

martedì 15 marzo 2016

Bombe accendifuoco (firestarter bombs)

E qui c'è gente che ha freddo e si scalda ancora con la legna, in latitudini più a nord di quanto lo siate voi poveracci unani itagliani. Il riscaldamento a legna, economicamente, conviene più di quello a gas, specie quando non si ha la fortuna di possedere un'abitazione in classe A, energeticamente sostenibile... ci si arrangia come meglio si può. 
Ed ecco che la necessità aguzza l'ingegno. A prendere la legna a bancali si risparmia, 4 o 5 qunitali alla volta in stagione estiva, sperando che il clima sia favorevole e la stagione veramente fredda non duri più di 4 o 5 mesi. I boscaioli (trovarne di onesti che non se ne approfittano è un impresa in tutto il mondo) te la portano a casa senza tanti problemi e la legnaia si riempie in poco tempo di pezzi di legno pronti per la stufa. Il problema però è avviare il fuoco. Si possono usare le mattonelle accendifuoco, preferibilmente quelle naturali con cera d'api che inquinano meno. Recentemente ho visto in commercio dei trucioli di legno pressati con cera d'api e paraffina... che però a lungo andare costicchiano, specie se li si usano per avviare il fuoco direttamente con la legna grossa, ne servono almeno 5 o 6 (e sperare che la legna sia ben secca). 
Per un avvio ottimale servono dei legnetti piccoli (preferibilmente tralci di vite, perfetti, o rametti di nocciolo) che facciano una brace sufficiente a scaldare la canna fumaria e innescare la combustione anche dei pezzi più grossi che richiedono più tempo e calore. Per risparmiare, il frutteto ci può dare una mano. A fine stagione, dopo una saggia potatura, i rametti piccoli vanno raccolti, spezzettati o raccolti in fascine e messi a seccare nel fienile per l'inverno successivo. I rametti secchi sono un ottimo punto di partenza per avviare in pochissimo tempo un bel fuoco vivace. Per chi non ha il frutteto, avendo scelto di vivere in una topaia di appartamento preso col mutuo assieme all'auto nuova ed al televisore al plasma (senza dimenticare lo smartphone di ultima generazione ovviamente), si può ovviare con materiale da recupero. Delle vecchie cassette della frutta (di legno ovviamente) e dei tubi di cartone della carta igienica o dei rotoloni usa e getta asciugatutto (maledetti spreconi, usate i canovacci riutilizzabili invece!) possono risolvere. Si fa a pezzi la cassetta e si infilano i pezzettini dentro al cartone che diventa così una cartuccia pronta per essere utilizzata ad ogni avvio. Se si vuole esagerare, ci si cola dentro un pò di cera d'api sciolta a bagnomaria. Fatto, niente di complicato, basta trovare un pò di tempo per farli. E qui comincia il problema.... il tempo.... dove lo trovi? lo so, siete troppo impegnati a spolliciare lo smartphone, bere spritz all'leppiauar, guardare la TV, più in generale a sprecarlo in pseudo necessità imposte da un modello di vita che non avete scelto e che non è il vostro... 'zzi vostri, io me ne sto al calduccio e vi osservo ridacchiando. Ciao imbecilli. 

P.S. l'ape regina è in volo, il calabrone ha fame. Ripeto: l'ape regina è in volo, il calabrone ha fame.

lunedì 14 marzo 2016

Vibratory Tumbler - miglioramenti (parte 3)

Troppe vibrazioni o costruzione fragile? la seconda che hai detto. Viti troppo corte, usate per fissare la levigatrice con dei blocchetti di legno, si spezzano con la vibrazione continua dopo 10 minuti. No problem. Soluzione? nuovo blocchetto più robusto e viti più lunghe. 
Nel frattempo ho notato che le due "L" di alluminio poste alle estremità, scaldano da matti, scottano al tatto... normale.... vedremo se tengono abbastanza, altrimenti le sostituisco con qualcosda di più robusto. 
Dato che ci siamo, mi è venuta la pessima idea di bagnare la sabbietta... pensavo migliorasse l'effetto abrasione e pulizia ma non è così, almeno con quella sabbia che è composta da granelli forse troppo piccoli... si impasta un pò e non garantisce che fluisca negli interstizi. Sto pensando di prendere dei pezzetti abrasivi in commercio.... vedremo. 
Nel frattempo ho sostituito la campana con uno stampo per ciambelle... 3 euro a lidl, funziona decisamente meglio del lampadario usato prima, decisamente. Effetto rotazione e rimescolamento  entrambi energici, lucidatura assicurata. 
Alla prossima.

P.S. gratatemi, ho le puLci. Ripeto: gratatemi, ho le puLci.   

venerdì 11 marzo 2016

Morsetti da falegname (parte 1)

I morsetti per stringere. Ce ne sono di tutte le forme, per svariate applicazioni, per falegnami, fabbri, muratori ecc... ovviamente a noi poveracci, barboni, taccagni e tirchi, restano quelli più cheap, cinesi per intenderci, presi al solito brico che mette in commercio attrezzi per hobbysti, non certo cose professionali da usare tutti i giorni. Quelli che ho recuperato quà e la con il tempo sono però durati un paio di volte. Inevitabilmente la parte che salta, dopo i tappi di plastica, è la rondella posta all'estremità della vite di serraggio. Risultato? Occorre proteggere la parte da stringere con dei blocchetti di legno, usando 4 mani per tenere fermo il tutto o ingegnandosi non poco in altri modi, sognando di prendere i morsetti a cricchetto che si azionano con una mano sola ma costicchiano parecchio anche se sono di plastica (e ti pareva). 
In mancanza della rondella di testa, quando si stringe, la vite tende ad affondare nel blocchetto e se si stringe troppo si va a rovinare il pezzo in lavorazione (e questa non è una cosa bella). 
Occorre quindi procedere con la sostituzione della rondella. Si smonta il tutto e si pratica un foro da filettare M4 sulla vite. Poi ci si procura una rondella delle dimensioni "giuste" e la si avvita all'estremità (testa a cono ovviamente). La lunghezza della vite deve essere tale da non bloccare la rondella che deve poter ruotare. 
Con l'occasione si infilano due pezzettini di legno duro per sostituire le plastichette di protezione e si fissa una vite all'estremità per impedire l'uscita accidentale della parte mobile. Un nonnulla come lavorazione, alla portata di tutti quelli che hanno un piccolo tornio, un kit per filettare, oltre alla normale attrezzatura per la lavorazione del legno. Alla prossima.

P.S. Guido stringe i denti e Tiziano le chiappe. Ripeto: Guido stringe i denti e Tiziano le chiappe.

Vibratory Tumbler partial success (parte 2)

Alcuni miglioramenti al vibratore a sabbia ed i risultati non si sono fatti attendere. Al posto del motorino (vedi parte 1) ho utilizzato la levigatrice orbitale, fissata con delle squadrette e delle piastrine direttamente al piano vibrante. La soluzione per ora è un pò rumorosa ma conto di mettere delle piastrine di gomma per ridurre le emissioni. Ah...per fissare i pezzi (molle e catino) è meglio usare dadi autobloccanti, quelli con l'anellino di gomma, altrimenti le vibrazioni tendono a svitare i dadi con il tempo e occorre intervenire periodicamente con la chiave da 10.
La vasca della sabbia non è ancora terminata. Occorre infatti mettere al centro un cono che permetta una corretta rotazione della sabbia abrasiva. Di comperare un imbuto dai cinesi neanche a parlarne, questo lo lasciamo fare a chi suggerisce di comprare altra plastica, incentivare i produttori che inquinano e spendere. Ho un contenitore dell'amuch*na, la cui parte superiore termina proprio a cono. Basta tagliarla all'altezza giusta e la soluzione è già pronta. Penso di fissarla al cestello con della colla epossidica... dovrebbe tenere (altrimenti mi faccio una flangia da fissare con le viti). 
Per il cestello ho utilizzato una copertura di un vecchio lampadario brutto come la fame e già cannibalizzato per produrne un altro (appena riesco a mettere in funzione il bluetooth scarico le foto dallo smartphone e scrivo due righe di promemoria). Ci sono due fori da tappare, non è un problema. L'importante è che la forma del catino sia o semi sferica o almeno conica. La vibrazione tende a far salire l'abrasivo, la gravità fa il resto riportandolo giù. 
Il movimento dell'abrasivo deve essere a toroide e ruotare su sè stesso per garantire il massimo del risultato. La potenza della vibrazione sembra sufficiente a dare dei risultati apprezzabili solo dopo pochi minuti di azionamento (non due ore come si legge da qualche parte) pur utilizzando un abrasivo non propriamente progettato allo scopo.
Per la sabbia abrasiva? lì le soluzioni possono essere molteplici. Io ho usato una sabbietta avanzata da un micro lavoro domestico di muratura. Contiene silice ed altri sassolini di materiale non meglio identificato... pare funzionare. In commercio (orrore!) ci sono anche delle sabbie specifiche e dei "sassi" di varie forme e dimensioni, di materiale abrasivo (a secco o ad acqua). In pieno sciopero della spesa posso pensare ad altre soluzioni... delle vecchie mattonelle di ceramica o grès sbriciolate in pezzi irregolari dovrebbero fare il loro dovere (esperimento in corso). Giusto per non farci mancare nulla ho recuperato dell'abrasivo di una sabbiatrice in attesa di "restauro" (usata da un dentista). E' sabbia molto sottile, molto abrasiva, adatta a lucidare se sparata con l'aria compressa.... troppo sottile per questa applicazione, una parte (quella più fine) se ne va in aria o si raccoglie sui bordi esterni (troppo leggera). Comunque, magari poco ma qualcosa contribuisce a fare, specie negli interstizi più piccoli dei particolari da lucidare. Da ricordare che l'abrasivo, se è composto da granelli di dimensioni variabili, tenderà ad affondare i pezzi più grossi e far risalire quelli più sottili, il che non è un male assoluto visto che comunque c'è un rimescolamento generale ed il tempo di azionamento fa il resto nel caos dovuto all'agitazione. Inevitabilmente la parte troppo sottile luciderà solo la parte esterna del catino... pazienza, la perfezione si raggiunge per gradi sperimentazione dopo sperimentazione. 
Difetti? si ovviamente. La vibrazione è nel verso giusto e garantisce la rotazione dei pezzi anche in mancanza del cono centrale, ma è scentrata rispetto al centro del catino vibrante. Ciò provoca due "problemi". 

  1. Una parte della sabbia si raccoglie verso la levigatrice portando con sè i pezzi che dall'altra parte restano scoperti per un pò (e quindi non sono grattati). La rotazione ottimale quindi è leggermente compromessa.
  2. La sabbia più fine si raccoglie all'esterno, in cima al bordo del catino e lì non lucida i pezzi. Se non fosse per il rialzo esterno, se ne andrebbe tutta da una parte uscendo dal catino (che non prevede coperchio, io sono il diavolo, fò solo le pentole). 

La rotazione del motore deve essere assiale con il centro del catino per garantire un ottimale mescolamento per rotazione. In ogni caso sono abbastanza soddisfatto, pensavo peggio per una realizzazione fai da te a costo zero, l'importante è replicare il principio di funzionamento. La potenza della levigatrice è più che ottima a garantire una vibrazione potente, sufficiente ad assicurare un buon sfregamento fra abrasivo e pezzi in lucidatura. 
Ho inoltre risparmiato un motore, ho recuperato 4 molle ed un orrendo copri lampadario (destinato originariamente alla costruzione di un porta ceri a vetrina da giardino)....not bad, bravo unamico. Stay updated se avrò voglia di updatare. Alla prossima.  

P.S. Agitare non mescolare. Ripeto: Agitare non mescolare. 

giovedì 10 marzo 2016

Vibratory Tumbler...epic fail (parte 1)

Caxo!! mi sto costruendo un vibratore a cestello per togliere la ruggine da bulloni, dadi, chiodi ecc... che col tempo si accumula causa l'umidità del garage senza riscaldamento.
L'accumulo di ferramenta e minuterie varie è dovuto al fatto che dal ferramenta, se ti servono 4 dadi da 8, te ne danno una confezione da 25. Gran litigate a coltello con conseguenti minacce di boicottaggi e flash mob non sortiscono grandi effetti su quei peracottari ignoranti. Al brico è ancora peggio... self service... se prendi 4 dadi da 8 te li fanno pagare un euro mentre se prendi una loro scatoletta e la riempi di un pò di tutto sino a quando è piena, te la fano pagare un euro, più un altro euro per la scatoletta.... bastardi, per cui tanto vale riempirla di cose inutili che regolarmente restano per anni ad arrugginire (consumisti bastardi).
Comunque, mi ritrovo un set di molle di acciaio, provenienti da un materasso di una volta.... che ci faccio? Nel post precedente mi ero riproposto di costruire un agitatore per i barattoli di vernice... la base è pronta. Recupero un vecchio motorino in cc a 12Volt di una sirena da auto (quelle che negli anni 80 i tamarri installavano nelle alfasud). Al momento di provarlo con un alimentatore ATX da PC mi accorgo che qualcosa non va... le spazzole non fanno contatto...manca una mollettina spingi spazzola. Poco male, assomigliano molto a quelle recuperate dai vecchi lettori di floppy disk. Non è un contatto perfetto ma sembra funzionare. L'alimentatore ATX però non va bene. Allo spunto si spegne come se l'uscita fosse in corto... 6 A nominali a vuoto, chissà quanti allo spunto, di più credo. Allora prendo una batteria... funziona ovviamente, a scatti dato il cattivo contatto delle spazzole ma non è quello che volevo. Peccato... devo rifare tutto il supporto non appena trovo un motorino asincrono a 220... occhio ai ventilatori che se ne trovo uno diventa mio (esproprio proletario). La lezione appresa è la seguente: mai costruire un supporto motore se prima non lo si è collaudato.  Si lo so sono un deficiente, è scritto in testa al blog. 
Comunque... sto pensando di fissare in qualche modo la levigatrice orbitale e vedere se in qualche modo si può risolvere... forse. Nel frattempo devo procurarmi uno stampo per dolci, quello che fa le ciambelle col buco (un toroide! massaie ignoranti)... è perfetto per quello che devo fare. Poi devo pensare all'abrasivo... sabbia di fiume? sassi? ghiaino? spezzame di marmo?... boh... esperimenti in vista. Alla prossima. 

P.S. Il merlo non cinguetta. ripeto: Il merlo non cinguetta. 

mercoledì 2 marzo 2016

DIY Blackboard

Eccola, finita. Il fondo di un mobile da cucina, un asse in pino per la copertura delle pareti (tipico di certe case o rifugi in montagna), della tinta lavagna, un gancio per appenderla ed un gessetto recuperato dai tempi delle scuole elementari (qui non si butta nulla, si ricicla e si riusa TUTTO), più un pezzetto di lamierino di ottone che proprio non mi ricordo da dove l'ho recuperato.
In realtà è un esperimento, un epic fail a dirla tutta, ma piace tantissimo alla mia compagna... regalo!
Il problema è stata la tinta lavagna, presa in occasione di una visita dal fornitore, quando l'estate scorsa mi è venuta l'idea di ridipingere le scale interne... sono pure pittore. 
Un barattolo...14 euro, una sassata nei maroni, ma l'idea mi piaceva. In realtà sono stato un vero coglione, vittima di un impulso alla spesa non controllato. Avrei potuto risparmiarli in quanto c'è un metodo pratico per farsela in casa... vabbè, si impara. Il problema di quella acquistata? Credo che quel barattolo sia rimasto per troppo tempo sullo scaffale del negozietto, dai tempi delle guerre puniche. Un blocco nero quasi solido ed il liquido tutto attorno... ho dovuto agitare emescolare non poco per tentare di sciogliere e riportare alla consistenza cremosa originaria (più l'idea di fare un agitatore elettrico...). I grumi rimasti hanno fatto la loro parte. La base poi non l'ho carteggiata e complice lo strato abbondante di tinta, ha iniziato a screpolare all'asciugatura e staccarsi in vari punti. Tecnicamente un esperimento fallito. 
Ma, qui non si butta nulla... carteggio la superficie in modo da renderla più liscia possibile, poi alla fine uno strato di flatting impregnante per colmare le crepe, una mano finale di vernice satinata e la lavagna funziona. La polvere nera dopo la carteggiatura l'ho mescolata con la vernice per dare alla cornice una splendida tonalità "anticata" scura (il pino è pallido), sulla base ingrigita trattata all'aceto. Esteticamente il risultato finale è gradevole, grezzo, un pò vintage, non male tutto sommato, anche se desideravo una superficie più liscia per scriverci tutti i giorni l'elenco delle cose che mancano in cucina (il cibo di solito, ho fame). 
Come esperimento iniziale non è malaccio dai, ho intenzione di proseguire e farne altre, magari con la tinta lavagna fatta da me, ricetta in elaborazione. La prossima volta che passo accanto ad un azienda di produzione biliardi o magari nelle vicinanze delle cave di lavagna, mi fermo e vado a frugare negli scarti, come un barbone affamato però di materiali di scarto da resuscitare, a cui dare la giusta dignità. alla prossima. 

P.S. Il pino è pallido. Ripeto: Il pino è pallido

giovedì 25 febbraio 2016

Forno fusione elettrico (Klim parte 2)

Bene, la copertura posteriore è ok, niente male. L'ho rimontata senza metterci la lana di roccia originariamente presente. Ero troooppo ansioso di provare. Accendo il tutto, inverto i fili della termocoppia e con il termometro laser (preso al lidl) aspetto che la temperatura salga. Immediatamente mi accorgo che la parete destra è fredda. Dannazione! la resistenza è parzialmente interrotta. Le altre due invece sembrano funzionare (quella superiore non so se deve scaldare o meno, ma non ho ancora verificato). Temperatura massima raggiunta? poco più di 200 gradi, un pò pochino per l'uso che ne devo fare. Il fondo scala dello strumento frontale arriva a 1000 gradi. Me ne basterebbero 750 per fondere il vetro. 200 gradi sono davvero troppo pochi, giusto per il rinvenimento dell'acciaio dopo la tempra, ma di temprare con questo fornetto...nisba!. Peccato davvero. Ora lo metto da parte. Smontare la parte con i mattoni refrattari non è uno scherzo. Sostituire la resistenza?? mmm... boh. Spero si possa tirare la molla ed agganciarla in qualche modo (al momento non mi viene in mente nulla. Vedremo in futuro, nei ritagli di tempo. Ora mi metto a fare una lavagnetta da cucina, per liberarmi della vernice ardesia presa qualche mese fa. Alla prossima.

P.S. il fabbro ha finito il carbone. Ripeto: il fabbro ha finito il carbone.

AGGIORNAMENTO: ripreso in mano il forno e la brutta sorpresa si manifesta. Ho aperto la camera riscaldante... ruggine, ruggine dappertutto!. Quattro resistenze interrotte e di sostituirle... nemmeno per scherzo, sono affogate nella malta refrattaria. I mattoni...quasi disintegrati... praticamente da buttare e rifare completamente. Tanto vale tenere solo la base con termostato a termocoppia e rifare il forno. Per ora, no, niente soldi, niente ricerca, niente realizzazione (ma la cosa è fattibilissima). Credo che recupererò le mattonelle integre per lavori di saldatura (alluminio ed ottone, brasatura forte). Per la base con il termometro analogico... vedremo cosa fare in futuro. Ciao

lunedì 22 febbraio 2016

Termometro da cucina digitale

Solo un piccolo appunto. Domenica, nel tragitto verso il solito impegno che in condizioni tipiche di un paese normale, popolato da persone "civili" e rispettose degli altri, normalmente verrebbe programmato nelle giornate lavorative, mi fermo presso un piccolo centro commerciale, a lato della statale che attraversa campi e frutteti vari. Entro animato dalla curiosità e mi accorgo che è il classico capannone pieno all'inverosimile di articoli che vanno dall'abbigliamento alla ferramenta, senza trascurare le scarpe, gli articoli da cucina, i prodotti per la pulizia, illuminazione, bigiotteria... sembrano tutti uguali... cinesi ovviamente. Ci deve essere dietro una mega spectre del commercio riservata ai cinesi. 
Ora...diciamolo, è troooppo facile prendersela con gli stranieri che vengono qui a lavorare. Il commercio lo hanno praticamente inventato loro moooolto prima di noi. E se nell'esercitare l'attività commettono qualche ellole, mettendo la elle al posto della erre, non è il caso di usare lo svarione come cassa di risonanza per vomitare addosso a loro tutta la rabbia repressa tipica di qualche leghista bigotto paleomedievale. 
Viene però sì da "sollidele" quando si trovano, tra gli asiatici in genere, gli errori erre/elle nelle confezioni stampate in tipografia, oltre ai bigliettini autoprodotti. Deve essere qualche tipografia cinese, non voglio pensare ad una nostrana che non segnala l'ellole al cliente (ma forse mi sbaglio ma quasi tutte eseguono quello che il cliente ordina, errori ortografici compresi). 
Nel "gilale" tra gli scaffali, mi imbatto nella corsia prodotti da cucina. Trovo dei piccoli termometri. Una serie è digitale (batterie incluse) ed un altra meccanica, quella con la molla all'interno di materiale termodilatante il cui capo centrale è solidale con una lancetta... 4,50...presa!! anzi due. Mi servono (futura realizzazione) per fare il sapone a freddo (che poi tanto a freddo non è in quanto la soda caustica con l'acqua raggiunge i 70/80 gradi), per sciogliere il sapone di recupero e per misurare la temperatura della cera per candele, giusto per evitare di metterla nello stampo troppo calda e veder poi comparire gli affossamenti a raffreddamento avvenuto. Intanto mi metto da parte gli strumenti, poi vedremo.
Ma perchè mi annoto questo promemoria? A casa mi accorgo che la confezione dei due termometri riporta la caratteristica "digitale", mentre il modello acquistato è chiaramente ed inequivocabilmente analogico. Poco male, il prodotto è a vista, impossibile sbagliarsi o essere indotti in confusione. Ma se la cosa venisse posta all'attenzione di qualche stupido funzionario dello stato in carriera, mai promosso proprio per l'eccesso di zelo, quest'ultimo mal visto nel vostro  paese, verrebbe da sentenziare "frode in commercio"! Vietatissimo esporre e comunicare ai consumatori qualità e caratteristiche difformi dal prodotto venduto. E sono pure multe abbastanza salate. Sappiamo che una piccola parte della popolazione italica è infervorata da un tipico atteggiamento ultranazionalista intransigente integralista e fascista (è quello che più si nota vivendo fuori). Purtroppo certi mentecatti cerebrolesi ancora riescono a sopravvivere...non date da mangiare agli imbecilli. Complice il progressivo degrado sociale, l'impoverimento anche culturale dei ceti sociali più deboli, il contagio delle idee stupide ed inutili, questi illuminati imbecilli non vedono l'ora di potersela prendere con chiunque commetta il minimo errore che sia propedeutico a dimostrare le loro "ragioni" (leggi "idee bigotte e stupide" contro tutto ciò che è da loro classificato come "diverso" rispetto alle loro convinzioni). 
A noi invece resta un sorriso di comprensione. Lasciamoli lavolale, almeno loro le tasse le pagano anche per gli altri che vorrebbero essere dalla parte "del giusto". Alla plossima.

P.S. una lala lana losa. Ripeto: una lala lana losa.  

lunedì 15 febbraio 2016

Forno fusione elettrico (Klim parte1)

Un sabato mattina, tanta voglia di ordinare il ciarpame che da tempo campeggia al limite dell'accumulo compulsivo, un pezzo di lamiera di alluminio che viene per le mani quasi per caso ed il risultato, per ora, è soddisfacente. Da una ristruttirazione di uno studio dentistico, dallo scantinato adibito a laboratorio protesi (S.A.E.D. Pinerolo), salta fuori un forno per la cottura, elettrico... preso! In realtà il recupero è da un pò che è successo ed il motivo per cui non mi ero mai prima cimentato nel suo "restauro" era dovuto alla lavorazione necessaria per sistemarlo. Difetto? La lamiera paracalore posteriore, quella che sorregge la termocoppia è in parte disintegrata. Occorre ricostruirla. La ruggine ed il tempo hanno fatto la loro parte, complimenti. Ma il mestiere del lattoniere non rientra fra le mie competenze ed abilità, per cui occorrono tre cose... fantasia, coraggio ed attrezzature adatte. Le prime due non mi mancano certo. Le attrezzature... mmm... pian piano, ricordando il lavoro in sospeso, ho preso l'indispensabile, rinunciando a millemila altre comodità che mi mancano, tipo calzini, mutande, magliette, medicinali specifici, benzina, ecc,ecc...
Come al solito ci si arrangia. Con una forbice da lattoniere si taglia a misura la lamiera, non prima di aver preso lo "stampo" con un forglio di carta fatto aderire alle piegature (ci si aiuta con delle mollette) per determinare la lunghezza giusta del pezzo. Si segnano con un pennarello, dopo pulizia con una levigatrice, le piegature, sperando che alla fine il raggio di piegatura non accorci troppo il prodotto finito. Con un pò di intuito si segnano le posizioni dei fori, quelli di fissaggio della termocoppia (un pò ad intuito vista la distruzione della vecchia copetrura) e quelli di passaggio dei cavi. La posizione critica è quella della termocoppia che deve corrispondere esattamente al foro nel cemento refrattario. Lasciamo stare i commenti su come ho svitato delle viti incrostate di ruggine e le bestemmie in aramaico antico... nulla che alla fine un pò di WD4* + pazienza non possano fare... successo.
Per i fori grandi ho usato una fresa a gradini, in mancanza di punte da trapano da 20mm per il metallo. Alla fine la foratura è riuscita alla grande, con solo due errori nel posizionamento (mascherati alla fine con un pannello aggiuntivo rivettato). 
Per la piegatura... semplice... un pezzo di sedia avanzata dal modding per i tre sgabelli (vedi post precedenti) due morsetti, una morsa da falegname rinforzata con due "L" di un vecchio telaio metallico e tanto sforzo, facendo attenzione al punto di piegatura che deve corrispondere alla distanza segnata (perfettamente orizzontale ed a 90° in squadra) più mezzo raggio di piegatura dato dallo spessore della lamiera... insomma... si va un pò ad occhio che non sono un ingegnère. 
Alla fine... mica ho finito!... occorre infatti fissare il pannello al retro. Inizialmente la copertura di lamiera più sottile, era incastrata nella parte superiore con due alette sporgenti e nella parte inferiore con due viti che premevano due levette che si potevano ruotare. Ho dovuto sostituire le viti e sto pensando ad un sistema per tenere meglio fermo il tutto. Che dire ancora? Mi manca ancora un quadrato 20X20 di lana di roccia... dubito che mi venderanno mai un pezzettino così piccolo...dovrò ingegnarmi un pò per recuperarlo non so ancora dove...cmq...  Un ottimo recupero in attesa del collaudo. 
Ma a che mi servirà mai un forno che può raggiungere i 1000 gradi ed oltre? Sto pensando alla fusione del vetro per finalità "artistiche", tipo pendenti in vetro dicroico, vassoi fatti con le bottiglie di recupero o ancora piccoli oggetti di ceramica. Oppure per la tempera dell'acciaio, dato che da un pò mi sto documentando sulla metallurgia di lame e taglienti da tornio... frese fai da te... una goduria ;-)
Vedremo. Alla prossima.

P.S. Ugo taglia la corda e la scimmia scappa. Ripeto: Ugo taglia la corda e la scimmia scappa.

sabato 6 febbraio 2016

Yankee Candle (recupero/recycling)

Maledetti Yankee verrebbe da dire, che certo innocenti non sono. E maledetti chi butta i soldi in un barattolo di vetro pieno di cera, coloranti sintetici ed olio chimico profumato (tanto ve lo respirate voi, chissenefrega). E le chiamano pure "candele americane". Sarà, ma preferisco i ceri ricostruiti, modellati dentro i tubi di cartone per le spedizioni, magari in cera d'api, che i produttori ne hanno da vendere anche a cifre accessibili ai più "poveri". La comodità di avere la cera dentro un barattolo è data dalla praticità di non dover comprare un candelabro, dalla sicurezza che la cera non se ne vada in giro per il piano di appoggio e dalla vastissima scelta di aromi sintetici con cui sono prodotte. Se si trova un negozio ben fornito, la tentazione di prenderne una cinquantina è molto forte, vista l'ampia scelta.... ed i maledetti del marketing lo sanno bene, anche perchè non trascurano di aggiungere il colorante giusto per stimolare corteccia ed amigdala, si sa mai che qualche unano dalle fragili capacità mentali ci caschi e compri (e pare proprio che funzioni con gli unani). L'unico deterrente? il costo (anche quello calcolato ad arte assieme alla presentazione). Provate ad andare a vedere quanto costa il vaso più grande... fatti due conti la cera al grammo costa più del caviale (e non la si può nemmeno mangiare!).
Così, quando inevitabilmente il livello della cera nel vaso arriva a poco più della metà, l'ossigeno fatica ad arrivare, lo stoppino troppo sottile si piega annegando nella cera fusa, l'aroma fatica a diffondersi... praticamente un barattolo pagato a peso d'oro, all'inizio vita è quasi da buttare.... grazie geni del "marcheting", che qualcuno vi fulmini. 
 Allora che si fa? si butta? Certo che no. Si recupera con un paio d'ore di preziosissimo tempo, meglio impiegarlo così che andare al family day (tanto per fare un esempio). 
Ma...lo stoppino? Semplice. Si prende lo stoppino già pronto (consumate maledetti unani, consumate dai) o lo si fa in casa con una cordicella di cotone del diametro giusto. Troppo grosso e la candela fa fumo, troppo sottile e la fiammella nemmeno scioglie la cera attorno producendo un cratere nel quale affogherà... e poi lo stoppino deve stare in piedi... come si fa? semplice. Si smonta un motorino da buttare (magari bruciato in qualche esperimento ove si studia come distruggere gli unani dal pianeta) si smonta il filo di rame del  rotore e lo si avvolge a spirale attorno al cotone. Il filo di rame, sottile al punto giusto, terrà in piedi la fiamma ed impedirà che lo stoppino si pieghi affogando nella cera fusa, consentendo nel contempo che si consumi più lentamente. Se la fiamma dovesse risultare troppo alta, basta accorciarlo con un tronchesino. 
Una volta fuso a bagnomaria la cera (non scaldarla troppo altrimenti fuma e l'aroma si disintegra) si svuota il barattolo, lo si pulisce per bene (anche in acqua bollente), si trova un modo per tenere in piedi lo stoppino e si versa la cera fusa evitando che eventuali residui dello stoppino bruciato ed altre porcherie ci finiscano dentro (se è troppo calda è facile si formino delle cavità, attenzione alla temperatura). Con l'occasione si può aggiungere altro aroma o altri coloranti per ottenere risultati diversi. Da altre candele si possono recuperare (oltre alla cera per rabboccare quella mancante) anche i bottoncini di metallo che servono a tenere in piedi lo stoppino quando lo si piazza al centro del contenitore e che ha anche la funzione di tenerlo in piedi verso la fine della sua vita, quando è circondato solo da cera liquida. 
Ecco fatto. Continuo però a preferire l'alternativa, più economica, sicuramente più naturale. Con un pò di manualità, un pò di cera d'api ed il barattolo giusto (rigorosamente di recupero) a mio avviso il risultato è superiore, nettamente superiore anche per l'aroma naturale nettamente più sano di chissà quale composto chimico usato nelle candele "ammericane". Vedremo in futuro, se riuscirò a procurarmi il distillatore giusto di crearci in casa l'olio di lavanda (è un pò che ci penso e visto quello che costa...) o altri olii essenziali dalle piante officinali. Qualcuno ha delle candele da buttare? Grazie, datele a me, che non vanno nell'umido, nemmeno nel secco non riciclabile, nè vetro, nè carta e cartone, plastica o metalli.... Alla prossima. 

P.S. c'era la cera. Ripeto: c'era la cera.

mercoledì 13 gennaio 2016

Haka

Ka mate! Ka mate! Ka Ora! Ka Ora!
Ka mate! Ka mate! Ka Ora! Ka Ora!
Tenei te tangata puhuru huru
Nana nei i tiki mai
Whakawhiti te ra
A upa...ne! A upa...ne!
A upane kaupane whiti te ra!
Hi!!!

(IT)
È la morte! è la morte! è la vita! è la vita!
È la morte! è la morte! è la vita! è la vita!
Questo è l'uomo dai lunghi capelli
Che ha persuaso il Sole
E l'ha convinto a splendere di nuovo
Un passo in su! Un altro passo in su!
Un passo in su, un altro... il Sole splenderà!!!
Hi!!! 

sabato 2 gennaio 2016

Datemi un watt in più

Non so perchè ma sto pensando ad una vera svolta nella mia vita (e so esattamente come, quando e cosa fare). In realtà so benissimo perchè ci sto pensando, ma mi piace tenere un profilo basso, che di fanfaroni coglioni è pieno il pianeta e non voglio inflazionare il fenomeno. Ho millemila progetti in sospeso, da realizzare da zero, altri da portare a termine e non mancherò di documentare successi e fallimenti, in pieno spirito di condivisione (si sa mai a qualcuno verrà in mente di suggerirmi come migliroare le mie puttanate). Di una cosa sono certo. Realizzo quel che posso compatibilmente con quello che mi capita per le mani. Sono perfettamente conscio che potrei farlo meglio, ma ciò che serve per farlo proprio non ce l'ho. Mi sto riferendo ovviamente ai materiali che uso (rigorosamente di recupero), ai macchinari, alla mia manualità, alla mia fantasia ed inventiva mai impaurita dalle difficoltà che si incontrano per strada ma limitata dalle scarse conoscenze tecnico accademiche che ho. Mi piace pensare che chi ha studiato riesce a fare mille volte meglio di me ciò che faccio... anche se, da quel che vedo, da quel che trovo in rete... di persone che traducono le proprie conoscenze accademiche in qualcosa di utile ne vedo davvero poche, a meno di non farle in cambio di lauti compensi. Servono (a me e più in generale a tutti), falegnami, fabbri, muratori, idraulici, elettricisti, ingegneri, geometri, architetti, informatici come mai prima, ma di innovazione in questi settori davvero poco o niente. Faccio un esempio. Vorrei progettare un unità abitativa realizzata con dei container. Sto pensando alle fondamenta, a come e dove disporli, a come unirli, a come realizzare gli interni, a come realizzare l'impianto elettrico, il riscaldamento... tutto in ottica "green" ad impatto meno di zero, utilizzando quello che si riesce a recuperare in discarica o da qualche anima pia intercettata prima che compia l'insano viaggio verso l'ecocentro. L'unità deve essere anche in grado di produrre più energia di quella consumata. Penso al recupero del calore dal riscaldamento a biogas (o singas) autoprodotto dagli scarti, penso a come sfruttare l'effetto serra in un territorio montano, a come riscaldare a pavimento com materiali recuperati (dei vecchi termosifoni affogati nel pavimento o su tutte le pareti...), all'illuminazione a led tutta a 12 volts (o meno), a delle turbine eoliche ed idroeletteriche disposte quest'ultime anche nelle grondaie, a delle serpentine di rame anche nello scarico delle acque grigie (con scambiatori di calore...l'acqua della pasta è calda...la buttiamo?), ai dissipatori di rame o alluminio, ventilati, sulle canne fumarie, ad un sistema domotico in grado di governare ed automatizzare tutti i parametri ambientali, compreso lo scambio ventilato bidirezionale di aria calda, ad una serra per l'autoproduzione di cibo, al recupero del calore, alla produzione di calore e carburante dagli scarti alimentari o del verde... recupero al 100% senza davvero trascurare nulla, anzi, esagerando davvero (chi non osa...). Armonizzare il tutto non sembra facile e le competenze necessarie per farlo risiedono in una moltitudine di specializzazioni (che ho solo in modo superficiale). Recuperare anche un solo grado, ma agratis, è per me un successo enorme. Recuperare anche poche decine di watt è un successo enorme che può essere riutilizzato. 1000 soluzioni che recuperano un watt fanno 1 kilowatt e recuperarli recuperando e riutilizzando materiali è l'obiettivo (per caricare uno smartphone ne bastano meno di due di watt). So che esistono già "soluzioni" già pronte ma, non piacendo la pappa pronta, ritengo che siano inefficienti, poco studiate, realizzate solo  per il dio profitto e sull'onda della moda del momento, troppo costose... preferisco il fai da me collaborativo. Ci sono infatti, purtroppo, un sacco di cose che non so. Quanta energia serve e qual'è la differenza in termini di tempo fra scaldare l'acqua a 40 gradi partendo da 10 o da 15 o da 20?? non lo so calcolare a priori ma per far andare una lavatrice autocostruita utilizzando solo l'energia fotovoltaica, magari accumulata, fa un enorme differenza, non so quanto ma la differenza penso sia enorme. Ecco che anche un watt diventa prezioso. In ottica informatica, anche un watt in più, recuperato da qualche parte si può tradurre in bit e qualche bit in più non guasta se sono bit utili. 
Ecco allora che cercherò pian piano di pubblicare quanti più dettagli potrò, nella speranza che arrivi qualche suggerimento, qualche dritta praticabile, anche questa ben dettagliata. Astenersi criticoni o perditempo. Alla prossima. 

P.S. Giovanna butta la pasta. Ripeto: Giovanna butta la pasta.