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martedì 25 luglio 2017

Controllare la pressione della pompa macchina caffè

Il caffè rientra fra i diritti fondamentali dell'uomo, assieme agli altri ma senza riconoscimento ufficiale (ipse dixit). Ragion per cui, se per un motivo qualsiasi la macchinetta del caffè espresso che troneggia in cucina smette di funzionare... no... l'eventualità non è contemplata, la macchinetta del caffè è come un dispositivo salvavita e ne va garantito il funzionamento. 
Per i più intraprendenti, previo consenso dell'amministratore delegato che scettico concede al manutentore di casa il permesso di intervenire, è riservato il sacro compito di armarsi di attrezzi  e procedere con la riparazione urgente. 
Fra i difetti maggiormente riscontrati nelle macchinette per il caffè espresso possiamo elencare:
  • perdite di acqua 
  • gocciolii e stillicidi
  • mancanza di pressione
  • rumori strani e vibrazioni inusuali
  • altri strani sintomi solvibili solo con uno sciamano 
Più in generale quindi o perdite di acqua o pressione in calo. 
Per la pressione (fornita da una pompa elettrica) occorre innanzitutto assicurarsi che tutti i percorsi siano liberi da calcare che, in alcune zone con l'acqua particolarmente calcarea, provoca dei veri e propri ostacoli con incrostazioni "facilmente" rimovibili grazie ad appositi prodotti principalmente a base di acido citrico (o più drasticamente con l'apertura della caldaia). 
Per assicurarsi se l'acqua scorre a vuoto in modo fluido e la pompa funziona, è sufficiente staccare il tubicino di mandata (in uscita), direzionarlo in un contenitore ed azionare il pulsante di erogazione. In questo modo si esclude il problema di malfunzionamento dovuto al calcare (flusso d'acqua insufficiente) o alla bobina della pompa (quando proprio non parte). 
Tuttavia, può verificarsi un problema intermedio. La pompa, a vuoto eroga acqua (bobina integra), sembra funzionante, ma sotto carico la pompa non ce la fa proprio a far uscire caffè dall'erogatore che dovrà però essere caricato con la polvere "giusta" (non macinata troppo finemente). 
A questo punto il problema può risiedere nelle membrane usurate della pompa che va sostituita. Ma c'è un modo più rapido per individuare da subito quest'ultimo problema senza dover perdere tempo a sezionare, pulire, decalcificare, smontare, rimontare, scaldare e provare a fare un caffè con conseguente spreco del sacro macinato?
Per misurare se una pompa funziona o meno entro i parametri di costruzione, occorre ovviamente conoscerli. A quale pressione deve essere l'acqua in uscita da una pompa normalmente installata in una macchinetta del caffè per uso domestico? Sembra che il valore più gettonato si aggiri attorno ai 4 bar ma è sempre bene cercare di conoscere il valore del modello in possesso, magari rompendo le balle a qualche centro di assistenza o, perchè no? direttamente al produttore. 4 bar valgono per la pompa, non per il vapore che è generato all'interno della caldaia ed esce direttamente dal beccuccio del cappuccino. 
Ma... dove deve essere misurata la pressione? appena dopo la pompa o dopo la caldaia? Dipende da cosa si vuol provare. Se si desidera testare solo la pompa, occorre collegare in uscita un manometro per liquidi, costruendo un adattatore che assicuri la tenuta in pressione (no perdite). Si aziona la pompa con il pescaggio nel serbatoio principale e si misura. Semplice. 
E' ovvio che l'auto costruzione di strumento simile è giustificato solo per chi abitualmente effettua riparazioni. Per chi invece si ritrova con il problema (statisticamente probabile ogni tre o 4 anni di uso intenso se la manutenzione periodica viene effettuata) e decide di far da sè, occasionalmente, c'è qualche alternativa? Forse sì, ma è un metodo meno preciso e che andrebbe tarato con una pompetta sicuramente funzionante. Basta costruirsi un sifone trasparente, un tubicino di gomma piegato ad U fissato su una scala graduata (del legno compensato), riempito parzialmente di acqua e chiuso nell'estremità opposta all'estremità che va alla mandata della pompa. La pompa comprime l'aria residua all'interno del tubicino tanto quanto sarà in grado di farlo. Ci si segna con un pennarello il livello a zero pressione, poi il livello con una pompa funzionante e si prova la pompa oggetto di misura. Se si nota una grande differenza, allora la pompa è da sostituire, altrimenti il difetto va cercato altrove. Un minimo di intelligenza, ingegno e manualità fanno il resto (tutte qualità che a me mancano). Alla prossima

P.S. il fiume è in piena e c'è siccità. Ripeto: il fiume è in piena e c'è siccità.

venerdì 17 marzo 2017

Calibro digitale

Da qualche tempo il calibro digitale di plastica, acquistato per pochissimi euri al brico di zona, ha iniziato a dare dei problemi, a volte non si accende, a volte non si azzera. Segno evidente che i contatti dei pulsanti sono andati a causa dell'umidità o a causa dell'ossido della batteria a bottone. Preso dalla curiosità, ho deciso di smontarlo per soddisfare la mia innata curiosità tecnica. 
L'apertura è abbastanza semplice. Si tolgono due semi posti in prossimità del lato posto dalla parte dove si usa solitamente il pollice per far scorrere la parte mobile. Poi occorre togliere l'etichetta posteriore per scoprire 4 viti con testa a croce. Altre due vitine sono poste all'interno per fissare il circuito stampato. 
L'apertura conferma i sospetti iniziali. Il contatto di azzeramento, il più vicino alla batteria, è ormai completamente andato. Impossibile pensare di rigenerare le piste. Quello di accensione è un pò meno malandato ma ormai quasi distrutto. Quello di spegnimento... inutile se il calibro non si accende nemmeno.  Sembra persino si sia rivelata inutile la doratura delle piste per proteggerle dall'ossidazione.
Dentro non si notano parti in movimento. Sotto l'etichetta dell'asta dove scorre il cursore si nota una striscia di rame con un disegno "strano. Nal retro del circuito stampato una basetta con tante scanalature. Con buona probabilità si tratta di un sensore capacitivo (per esclusione non è nè ottico nè induttivo). Il chip dedicato (affogato nell'epox) fa il resto, ovvero decodifica il sensore e traduce in caratteri sul display la misura. Questo calibro digitale quindi sfrutta un encoder capacitativo, semplice da realizzare, costa poco ed è abbastanza preciso. Per contro queste tipologie di calibro digitale non reggono elevate velocità di scorrimento. Mistero sulla compensazione della dilatazione termica, credo trascurabile dato che il corpo è di plastica e dato che per pochi euro non è che si può pretendere di usarli per la meccanica di precisione. 
Bene, questo lo buttiamo, impossibile ripararlo o cercare il ricambio. Lo sostituiamo con uno simile a quelli che si trovano a volte al lidl (credo a meno di venti euro), sperando che durino un pò di più, dato che il calibro per un hobbista è uno strumento indispensabile. Alla prossima.

P.S. la scimmia è in gabbia. ripeto: la scimmia è in gabbia. 

giovedì 10 novembre 2016

Tablet Blank screen (parte 2)

Alla fine, dopo le disavventure già spiegate, ce l'ho fatta. Un Tablet Lazer AN10G2-LZ modello A101C FCCID SOVA101C (originariamente venduto nella catena Auchan, francese) è diventato un Arnova AN10G2 con firmware originale e soprattutto.... con i permessi di root! 
Come avevo ventilato, ho provato ad aprirlo (solo 6 viti nel retro), per giocare un pò con l'hardware... dentro due batterie REC435122P MH45125 da 3000mAh / 11,1 Whr (in parallelo) ed una mother board protetta da entrambi i lati da due schermature metalliche saldate al circuito stampato, manco sotto ci fossse un segreto di fatima. Deluso, ho deciso per ora di non staccare le due piastre e rimontare il tutto per tentare ancora di rootarlo (lo so, un mulo in confronto a me è meno testardo). 

Con linux, il comando "lsusb" evidenzia un device ID 2207:290a senza alcuna descrizione testuale (Bus 002 Device 009: ID 2207:290a ). Da una ricerca ho scoperto che il codice 290a corrisponde al processore rockchip RK2918 (utile a volte per scoprire qual'è la ROM adatta da flashare). 
L'uso di un altro script trovato in forma sorgente (rkflashtool.c) e compilato senza errori (occhio che nesistono almeno due fork disponibili) mi ha permesso di estrarre il contenuto della NAND Flash e scoprire così molte cose utili, tipo le varie partizioni Android:  misc, kernel, boot, recovery, system, backup, cache, userdata, kpanic e user, con tanto di size ed offset, tutte porzioni interessanti a livello di analisi forense a basso livello. 
Per mettere il tablet in modalità adatta a permettere la lettura/scrittura della memoria flash occorre, da spento e con il cavo usb inserito, premere contemporaneamente vol+ ed il tasto di accensione per almeno 5 secondi... il tablet non si accende ma Linux si accorge che qualcosa è stato collegato (vedi con lsusb mentre con quel sistema che non voglio nominare occorre prima installare i driver specifici). A quel punto si può usare il programma; sudo ./rkflashtool p
e si otterranno le seguenti info:
rkflashtool: info: rkflashtool v3.3
rkflashtool: info: Detected RK2918...
rkflashtool: info: interface claimed
rkflashtool: info: reading parameters at offset 0x00000000
rkflashtool: info: rkcrc: 0x4d524150
rkflashtool: info: size:  0x0000025f
FIRMWARE_VER:0.2.3
MACHINE_MODEL:AN10G2
MACHINE_ID:007
MANUFACTURER:RK29SDK
MAGIC: 0x5041524B
ATAG: 0x60000800
MACHINE: 2929
CHECK_MASK: 0x80
KERNEL_IMG: 0x60408000
#COMBINATION_KEY: 0,6,A,1,0
CMDLINE: console=ttyS1,115200n8n androidboot.console=ttyS1 init=/init initrd=0x62000000,0x500000 mtdparts=rk29xxnand:
0x00002000@0x00002000(misc),
0x00004000@0x00004000(kernel),
0x00002000@0x00008000(boot),
0x00004000@0x0000A000(recovery),
0x00082000@0x0000E000(backup),
0x0003a000@0x00090000(cache),
0x00200000@0x000ca000(userdata),
0x00002000@0x002ca000(kpanic),
0x00080000@0x002cc000(system),
-@0x0034c000(user)
Il formato usato per le ultime righe è [size]@[offset](nome partizione)
Con le info estratte, sempre usando rkflashtool, si può scrivere o formattare anche una singola partizione alla volta, a mano e senza i fronzoli delle intefacce grafiche che tanto impigriscono i tecnici. Ora mi sto attrezzando per crearmi una ROM personalizzata. Devo solo capire quale SDK usare.  
Cmq, dopo millemila tentativi, alla fine ci sono riuscito, non senza difficoltà, a rootare il tablet. Già, la rete è strapiena di post di sedicenti "esperti" sedicenti "hacker" imprecisi e superficiali, sgrammaticati e pure permalosi, che suggeriscono le cose sbagliate, che non aggiornano i link proposti, che copiano ed incollano i post di altri senza nemmeno leggerli (ma assumendosi la paternità), in perenne delirio da attiraclick a tutti i costi.... onanisti 2.0
Di firmware ne ho provati più di uno, anche per aggiornare la versione di android dalla 2.x alla 4.x. L'unico che ha funzionato è stato quello compattato nel file arn10g2-23-20.zip (ma ora non ricordo da dove l'ho scaricato di preciso). Nel frattempo mi sto divertendo con ADB shell ed altre cose mie...

Che dire...ora mi sento un pò più libero di prima, senza i limiti imposti da una brandizzazione idiota frutto di una politica di marketing idiota, sostenuta dai soliti idioti in giacca e cravatta, maledetti deficienti, psicolesi, capitalisti del caxo. alla prossima

P.S. la raccolta dei cachi è abbondante. Ripeto: la raccolta dei cachi è abbondante.

giovedì 27 ottobre 2016

Onetouch Ultraeasy teardown

Un paio di misuratori di glicemia, funzionanti, intercettati in extremis prima della loro sepoltura in ecocentro discarica. Colpevoli di aver esaurito la batteria (una CR2032) e sostituiti dal modello maggiore, decido di smontarli per curiosare, giocare, impratichirmi, documentare, recuperare... 
Il principio di funzionamento, credo di aver capito, consiste nel misurare dell'elettricità prodotta dalla combinazione fra glucosio contenuto nel sangue ed un reagente segretissimo ed ultrabrevettato, contenuto nelle striscioline usa e getta che rappresentano per un diabetico una spesa ricorrente (non bastava il problema dai) ed un enorme profitto per le big pharma. 
L'involucro plastico non è ad incastro ma incollato o saldato ad ultrasioni, fatto sta che tentare di aprire facendo leva nemmeno aparlarne. Il produttore non vuole che lo si apra per paura di dover poi affrontare cause milionarie qualora qualcuno scoprisse il pretesto per intentarle. 
Con un seghetto si incide accuratamente la linea di giuntura periferica e con un cacciavite piatto si fa il resto (la stessa tecnica già descritta in passato per aprire gli alimentatori dei caricabatteria da muro). All'interno...tanto oro, tipico delle apparecchiature medicali. Un portapile a bottone con contatti in oro... verrà recuperato. Un display LCD dedicato, difficilmente riutilizzabile dato che i contatti sono di quelli a pettine nero impossibile da stagnare (investigation in progress). La parte che legge le striscioline? solo dei contatti elettrici, uno per determinare se la striscia è inserita ed un altro per la misura. Per il resto, una manciata di componenti in prossimità dei contatti, con un paio di microscopici integrati dalle sigle indecifrabili (per ora), forse dei convertitori A/D o degli amplificatori operazionali per aggiustare la misura ai livelli del processore. 
Il processore è della Texas Instruments (c'è il logo) con delle sigle che non sono riuscito a trovare in rete. Senza datasheet, difficile recuperare qualcosa, riscrivere il firmware per utilizzi alternativi o per creare (perchè no) un misuratore di glicemia open source con tanto di istruzioni per prodursi in casa le striscie e sfanchiulare per sempre le multinazionali farmaceutiche. Si tiene "il ferro" e si riscrive il firmware, che ci vuole?


La sigla del processore? 
DWG1898-A REV1 dovrebbe essere quella che identifica il prodotto, mentre le restanti potrebbero essere solo dei codici del produttore per identificare data e lotto di produzione ( 67EL6YT G4). Qualcosa si trova nei siti cinesi, basterebbe ordinanrne qualche migliaio.... ma di data sheet nemmeno l'ombra, così almeno sembra, ma non demordo, a costo di scrivere direttamente al produttore sino a quando non mi risponderà. Alla prossima.

P.S. Teresa ha la caciotta. Ripeto: Teresa ha la caciotta. 

martedì 2 agosto 2016

Casco bici BTWIN appiccicoso

Da un pò di tempo il mio casco da MTB è diventato appiccicoso, più utile ad acchiappare le zanzare come la carta moschicida che altro. Al tatto è disgustosamente sticky, appiccicoso appunto. La causa sembra dovuta all'utilizzo di quelle vernici soft touch, specialmente quelle nere, che conferiscono all'oggetto un aspetto satinato e "soffice" al tatto.  Il problema è che lo strato di vernice, dopo un pò di tempo al sole, muta le proprie proprietà e diventa un sottile strato di sostanza che sembra colla bostik. Urge rimozione ed in mancanza di indicazioni in rete è meglio tentare. Lo strato appiccicoso viene via con l'unghia ma di passare tutto il casco con un attrezzino della giusta durezza... c'è da perderci una giornata intera...funziona ma è troppo noioso. Ho pensato anche di sabbiarlo per bene...nono...  riverniciarlo?? si certo, così poi il problema si ripresenta...servirebbe un liquido che scioglie quella specie di  colla... 
In rete qualcuno ha provato ad usare l'olio alla citronella... risultato deludente però. Altri con solventi vari ma... sui caschi da moto... il casco da bici è in gran parte di polistirolo ricoperto in parte da un sottile strato di plastica, per cui se non si vuole letteralmente scioglierlo... acetone? NO, Alcool isopropilico?? NO, sapone liquido? NO, diluente nitro? NO, acquaragia? NO!! diluente avio? NO, Trielina? NO,  detersivo per i piatti? NO, Amuchina? NO, spray antimuffa? NO, cera per mobili? NO, Ammoniaca? NO, ... provati tutti, meglio evitare.  Alla fine il prodotto che ha funzionato meglio e più rapidamente è risultato il Cyclon, supersgrassatore della UHU Bison S.p.a. (www.uhubison.it) assieme all'acqua tiepida/calda (non bollente! il polistirolo!!).
Basta spruzzarlo, attendere trenta secondi e strofinare con le dita, poi sciacquare per bene e mettere ad asciugare, max 15 minuti di tempo. Quando asciutta, la superficie apparirà meno soft touch di prima ma chissenefrega, basta che funzioni e che il casco protegga la testa (indipendentemente che sia obbligatorio o meno, la testa è mia e voi fate un pò il caxo che vi pare unani di merda). 
Ora, un piccolo appunto rivolto al direttore marketing di turno... brutto demente esaurito, ma scrivere sull'etichetta del prodotto che il casco, dopo un pò, al sole, "potrebbe" diventare appiccicoso no? Uno lo sa in anticipo, si mette l'animo in pace, magari lo compra lo stesso ma almeno si risparmia di maledirvi e ventilare l'ipotesi di cambiare marca la prossima volta, o di sconsigliarlo alla propria rete social. E chissenefrega se la legge non vi obbliga a scriverlo!! scrivetelo lo stesso, deficienti, che non è vietato, dementi!. Ma... di incaricare un reparto R&D di trovare una soluzione... non sarebbe segno di "attenzione al consumatore"?? Ecco... la mancanza di questi piccoli accorgimenti la dice lunga sull'azienda e su chi è responsabile di pensarci... oops, ci sarà davvero un responsabile?

P.S. le banche sono state salvate, noi no. Ripeto: le banche sono state salvate, noi no. 

lunedì 20 giugno 2016

Symbol SE-1200-I000A Barcode Scan engine con Arduino

Ed ecco che stavolta tocca a lui, un modulo di lettura disassemblato da un terminale di rilevamento codici a barre, del quale mi resta solo questo pezzo, il resto è andato nel corso dei periodici riordini del laboratorio per fare spazio a nuovo hardware da studiare e riutilizzare. 
Il modulo di lettura laser è un "cubetto" compatto dal quale esce una piattina flessibile a 8 fili, prodotto dalla Motorola per Symbol, modello della serie SE1200. Mi sono messo in testa di accenderlo e vedere il laser tracciare una riga. L'idea originaria era quella di costruirmi una livella laser ma dopo alcuni esperimenti, trovo didatticamente più interessante giocarci un pò e magari documentare come implementare il modulo con una basetta a microprocessore (tipo Arduino o Raspberry per capirci... che le devo ancora comprare ma prima o poi...). 
Inizialmente pensavo di ricavare e decodificare i segnali seguendo le piste, giusto per capire come alimentarlo ma le difficoltà si sono manifestate sin da subito. Fortuna vuole che in rete c'è un documento del produttore, che spiega in modo molto dettagliato come utilizzarlo. 
Al momento mi manca solo un idea di come implementare il software che decodifica i codici che escono dal modulo sotto forma di barra/spazio, ma... andiamo con ordine, per documentazione, visto che in futuro proverò a fare lo stesso con un modulo simile ma ad alta visibilità (SE1200HV-I000A).
La piattina flessibile è connessa al suo connettore e per estrarla occorre delicatamente far scorrere di poco verso l'esterno la parte in marron scuro che fissa stabilmente i contatti. Il pin numero 1, guardando il modulo con il circuito stampato verso l'alto (girato come in foto), è il primo a sinistra. Nel dubbio, si usa un tester  in modalità prova diodi, collegando il puntale nero sul corpo metallico e con l'altro cercare il pin 1. Nel maneggiare il cubetto occorre sempre fare attenzione in quanto, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il corpo metallico usato come supporto e dissipatore di calore in realtà è connesso ai +5Volts. Per la piedinatira del flat all'altra estremità, occorre fare attenzione perchè un contatto è sdoppiato ed un altro non collegato. 
I segnali del connettore sono così classificati:
  • pin 1 Alimentazione + 5 Volts
  • pin 2 Range limiter. Se posto a massa il range dello scanner è ridotto, mentre se è a +5V o non collegato, funziona alla massima prestazione possibile. Per alcuni modelli questo segnale è trattato leggermente diversamente (ad esempio per tracciare un puntino per individuare l'area che si sta puntando)
  • pin 3 Abilitazione laser. Serve ad accendere il laser quando messo a massa
  • pin 4 Abilitazione scan. Si usa per abilitare la lettura (alimenta i circuiti interni) quando posto a massa.
  • pin 5 Uscita lettura. Tramite una resistenza di pull-up da 10k ohm quando è "alto" (+5Volts) significa che ha letto una barra mentre se "basso" (GND) uno spazio. Per leggere occorre temporizzare per 55 millisecondi dopo l'abilitazione del laser e dello scan.
  • pin 6 Start of scan. Questo non l'ho ancora compreso bene... devo approfondire... meglio riportare la frase originale e sperare che qualcuno nei commenti spieghi cos'è "Provides the start of scan signal to the decoding system. This signal toggles each scan line and is a square wave with a frequency of about 18 Hz."
  • pin 7 ed 8 - Massa


Per accendere il modulo e vedere la linea rossa è sufficiente collegare + 5 volt al pin 1 e mettere a massa i pin 7,8,3 e 4. Funziona!... massacrando la piattina. Io, in mancanza del connettore adeguato all'altro capo, ho massacrato la piattina flessibile ed ho dovuto grattarla con una lametta dopo che i contatti si sono staccati, per effetto del calore, dal kapton. 
Ora la parte più interessante è quella di creare un software (ad esempio per Arduino o Raspberry o qualsiasi altra scheda a microprocessore) che alla pressione di un tasto fa partire il laser abilitando le lettura e poi visualizze da qualche parte il risultato della scansione, una figata. 
A fantasticare, vista la relativa semplicità del modulo, lo si potrebbe usare in catena di montaggio tra la produzione reparto prodotti finiti ed il magazzino o tra magazzino e zona di carico, per leggere i codici e memorizzarli nel database. Oppure inserirlo in qualche piccolo negozio per creare un piano lettura simile a quello che si vede nei supermercati, una figata. Di applicazioni ce ne potrebbero essere altre ed il limite è solo la fantasia. Ma per la livella laser?? Si può fare ma occorre trovare un sistema che tenga in bolla tutto il modulo... un pò complicato, fattibile ma laborioso. Magari lo installo sul trapano a colonna assieme all'altro per tracciare il punto di foratura.  Alla prossima.

P.S. Luca e Piero sono al bar. Ripeto: Luca e Piero sono al bar.

sabato 2 gennaio 2016

Datemi un watt in più

Non so perchè ma sto pensando ad una vera svolta nella mia vita (e so esattamente come, quando e cosa fare). In realtà so benissimo perchè ci sto pensando, ma mi piace tenere un profilo basso, che di fanfaroni coglioni è pieno il pianeta e non voglio inflazionare il fenomeno. Ho millemila progetti in sospeso, da realizzare da zero, altri da portare a termine e non mancherò di documentare successi e fallimenti, in pieno spirito di condivisione (si sa mai a qualcuno verrà in mente di suggerirmi come migliroare le mie puttanate). Di una cosa sono certo. Realizzo quel che posso compatibilmente con quello che mi capita per le mani. Sono perfettamente conscio che potrei farlo meglio, ma ciò che serve per farlo proprio non ce l'ho. Mi sto riferendo ovviamente ai materiali che uso (rigorosamente di recupero), ai macchinari, alla mia manualità, alla mia fantasia ed inventiva mai impaurita dalle difficoltà che si incontrano per strada ma limitata dalle scarse conoscenze tecnico accademiche che ho. Mi piace pensare che chi ha studiato riesce a fare mille volte meglio di me ciò che faccio... anche se, da quel che vedo, da quel che trovo in rete... di persone che traducono le proprie conoscenze accademiche in qualcosa di utile ne vedo davvero poche, a meno di non farle in cambio di lauti compensi. Servono (a me e più in generale a tutti), falegnami, fabbri, muratori, idraulici, elettricisti, ingegneri, geometri, architetti, informatici come mai prima, ma di innovazione in questi settori davvero poco o niente. Faccio un esempio. Vorrei progettare un unità abitativa realizzata con dei container. Sto pensando alle fondamenta, a come e dove disporli, a come unirli, a come realizzare gli interni, a come realizzare l'impianto elettrico, il riscaldamento... tutto in ottica "green" ad impatto meno di zero, utilizzando quello che si riesce a recuperare in discarica o da qualche anima pia intercettata prima che compia l'insano viaggio verso l'ecocentro. L'unità deve essere anche in grado di produrre più energia di quella consumata. Penso al recupero del calore dal riscaldamento a biogas (o singas) autoprodotto dagli scarti, penso a come sfruttare l'effetto serra in un territorio montano, a come riscaldare a pavimento com materiali recuperati (dei vecchi termosifoni affogati nel pavimento o su tutte le pareti...), all'illuminazione a led tutta a 12 volts (o meno), a delle turbine eoliche ed idroeletteriche disposte quest'ultime anche nelle grondaie, a delle serpentine di rame anche nello scarico delle acque grigie (con scambiatori di calore...l'acqua della pasta è calda...la buttiamo?), ai dissipatori di rame o alluminio, ventilati, sulle canne fumarie, ad un sistema domotico in grado di governare ed automatizzare tutti i parametri ambientali, compreso lo scambio ventilato bidirezionale di aria calda, ad una serra per l'autoproduzione di cibo, al recupero del calore, alla produzione di calore e carburante dagli scarti alimentari o del verde... recupero al 100% senza davvero trascurare nulla, anzi, esagerando davvero (chi non osa...). Armonizzare il tutto non sembra facile e le competenze necessarie per farlo risiedono in una moltitudine di specializzazioni (che ho solo in modo superficiale). Recuperare anche un solo grado, ma agratis, è per me un successo enorme. Recuperare anche poche decine di watt è un successo enorme che può essere riutilizzato. 1000 soluzioni che recuperano un watt fanno 1 kilowatt e recuperarli recuperando e riutilizzando materiali è l'obiettivo (per caricare uno smartphone ne bastano meno di due di watt). So che esistono già "soluzioni" già pronte ma, non piacendo la pappa pronta, ritengo che siano inefficienti, poco studiate, realizzate solo  per il dio profitto e sull'onda della moda del momento, troppo costose... preferisco il fai da me collaborativo. Ci sono infatti, purtroppo, un sacco di cose che non so. Quanta energia serve e qual'è la differenza in termini di tempo fra scaldare l'acqua a 40 gradi partendo da 10 o da 15 o da 20?? non lo so calcolare a priori ma per far andare una lavatrice autocostruita utilizzando solo l'energia fotovoltaica, magari accumulata, fa un enorme differenza, non so quanto ma la differenza penso sia enorme. Ecco che anche un watt diventa prezioso. In ottica informatica, anche un watt in più, recuperato da qualche parte si può tradurre in bit e qualche bit in più non guasta se sono bit utili. 
Ecco allora che cercherò pian piano di pubblicare quanti più dettagli potrò, nella speranza che arrivi qualche suggerimento, qualche dritta praticabile, anche questa ben dettagliata. Astenersi criticoni o perditempo. Alla prossima. 

P.S. Giovanna butta la pasta. Ripeto: Giovanna butta la pasta.

giovedì 11 giugno 2015

Sacchetti assorbi umidità

Cosa c'entrano una lettiera per il gatto, uno sbiancante assorbicolore per lavatrice e la colla permanente? Ma per produrre dei sacchetti per assorbire l'umidità che si forma nei luoghi chiusi e freddi, che domande. Ok, andiamo con ordine. L'obiettivo è quello di eliminare, o perlomeno limitare, l'umidità che inevitabilmente, per condensa, si forma nei luoghi chiusi e freddi. Cassetti per gli attrezzi, contenitori dei chiodi e delle viti, ma anche armadi, ripostigli, cantine, cabine di stoccaggio di tutti i ciòttoli inutili che accumuliamo per una vita, per usarli un paio di volte e poi... la ruggine se li mangia! Ecco, è ora di basta!
Per realizzarli occorre procurarsi un sacco di sabbietta che viene utilizzata come lettiera per i gatti. Io gatti non ne ho, preferisco mangiarli che anche le proteine nella dieta sono importanti e la carne costa un occhio. Servono quelli naturali composti al 99% da silicio (così almeno scrivono sulla confezione). Assorbono l'acqua, impediscono la formazione di batteri e di odori sgradevoli (tipo quello della muffa), contengono un blando "profumante" (meglio soprassedere su questo) e si presentano come dei cristalli semi trasparenti, dei granuli irregolari (niente a che vedere con la "sabbia") assieme a dei granuli azzurri di materiale non definito. 
Il problema è insacchettarli in modo da evitare di utilizzare delle vaschette aperte. Serve qualcosa di pratico, che non disperda il contenuto. Di soluzioni ce ne soon a iosa. Dai vecchi calzini (troppo porosi secondo me), ai sacchetti per fare il thè (li vendono sfusi). Se si ha il braccino corto causa introiti ZERO, occorre arrangiarsi. La scelta è ricaduta sui sacchetti da lavatrice che vengono inseriti assieme al bucato per acchiappare il colore e contemporaneamente sbiancare la biancheria, ovvero quel prodotto per massaie dementi che mischiano i capi colorati per poi fracassare i maroni al marito che occorre comprare dei vestiti nuovi in sostituzione a quelli rovinati. Quei sacchetti sono fatti con una specie di tessuto non tessuto, sono porosi quanto basta per far passare l'umidità ma non fanno passare i granuli... quasi perfetti. Se al termine del lavaggio restano integri (qualcuno si strappa, qualcuno si buca) basta asciugarli su una superficie piana ed una volta asciutti tagliare un lato con una forbice (sono "sigillati" sui 4 lati). Con un cucchiaio li si riempie circa a metà e li si richiude con il metodo preferito... graffette, punti metallici, nastro adesivo o con il dispenser di colla permanente in rotolo (da ufficio per richiudere le buste). Per produrre sacchettini più piccoli basta tagliare la bustina a metà. 
Il risultato è ottimo, ma... funzionano? Direi di si. Da mesi, a titolo sperimentale, ne ho piazzato uno dove ripongo le risme di carta in un mobile addossato ad una parete esterna, in un luogo dove il riscaldamento è praticamente inesistente. Prima dell'operazione, all'apertura delle porte si sentiva un leggero odore di muffa, di carta bagnata (che appariva leggermente ondulata per effetto del "bagnato"), pur in assenza di evidenti segni di formazione di muffe. Ora l'odore è sparito e la carta conservata conserva le sue caratteristiche. Si, direi che funziona. Costo dell'operazione? i sacchetti li recupero da chi li butta, la lettiera costa una cretinata (non ricordo ma se costasse "tanto" non l'avrei presa). 
Alternative? Comperare i sacchetti specifici con le palline sintetiche... costano un occhio e funzionano pure bene, ma....inquinano tantissimo. Preferisco il mio metodo a costo quasi zero. Soddisfazione? al 100%. alla prossima. 

Il gatto soffia, graffia la porta e la fame è brutta. Ripeto: Il gatto soffia, graffia la porta e la fame è brutta.

sabato 18 aprile 2015

Trasformatore (esperimenti)


Mi accingo a riparare un alimentatore a 24 volts 6 ampère (non switching) da me progettato e realizzato e dal mucchio dei trasformatori ne salta fuori uno che sembra fare al caso mio. 12+12 con presa centrale, dimensioni generose (per non avere sorprese a carico)... prima di installarlo provo a misurare le tensioni in uscita. Purtroppo solo uno dei due avvolgimenti del secondario funziona....strano, non sembra bruciato, consumato o danneggiato. Decido allora di smontarlo e vedere quanto è mai difficile ricostruire gli avvolgimenti. Senza l'attrezzatura idonea, senza un avvolgitore ma soprattutto senza un bobinone di filo smaltato della sezione giusta... la vedo dura. Metto quindi da parte l'alimentatore e penso di moddizzare il trasformatore, un pò come si fa per quelli installati nei forni a microonde per costruire la saldatrice a punti (oggetto di un futuro progetto che ho in mente), ma di potenza più piccola, magari per la saldatura a punto dei terminali delle batterie che a saldarle con lo stagnatore ci si riesce ma il calore non gli fa certo bene alla chimica. 
Il nucleo del trasformatore sotto sperimentazione è lamellare, costruito inserendo alternativamente delle lamelle di materiale ferromagnetico isolate l'una dall'altra, di forma rettangolare "I" ed a forma di "E" maiuscola. L'estrazione delle lamelle rettangolari non è poi un operazione tanto difficoltosa. Con un coltello da cucina, o una lama sottile almeno verso la parte della lama che può essere (meglio se) dentellata, si aprono delicatamente le lamine in mod da far saltare il sottile strato di resina gialla. Poi si fa leva da una parte e si toglie il lamierino a forma di I da una parte e dall'altra. Man mano che si crea spazio, l'operazione è sempre più agevole, facendo attenzione a non piegare troppo o per niente i lamierini che dovranno essere poi reinseriti. Per quelli a forma di E la cosa è un pò più difficile, soprattutto per i primi due o tre. Si mette il trasformatore in morsa (senza stringere troppo altrimenti si creano dei corti sulla superficie esterna) e con la lama inserita nel corpo centrale facendo attenzione a non rovinare gli avvolgimenti,  si picchietta con un martello sino a quando la resina salta e si sfila la lamiera. Non è cosa risultata facile ma con molta pazienza, manualità e delicatezza ci si può riuscire. Tolto il corpo centrale (l'avvolgimento) si toglie il secondario, riconoscibile per il fatto di avere un numero di spire inferiore al primario e di sezione più grossa (è un trasformatore che abbassa la tensione). Durante lo svolgimento si prova a contare le spire: 85 circa per ognuno dei due avvolgimenti. Quindi con la formula Vp/Vs=Np/Ns posso calcolare il numero degli avvolgimenti del primario, in modo da calcolare il numero di spire sul secondario per ottenere la tensione desiderata. In questo caso, per 4 volts in uscita dovrei avvolgere 21 spire nel secondario. Ho preso del filo elettrico rigido da un millimetro, recuperato dall'impianto dei casa di 50 anni fa, quando era previsto lo sdoppiamento di impianto luce e forza motrice (qui non si butta nulla, qui si ricicla). Con un trapano si allargano i fori di supporto dei terminali in uscita e si avvolge ordinatamente cercando di tenere il filo a ridosso (il più possibile) del primario... 10 spire, non di più, per cui mi dovrei aspettare in uscita 2 volts circa ed un generoso amperaggio inversamente proporzionale a quello sul primario. 
Si rimonta il tutto inserendo alternativamente le E e poi le I, con un martelletto si riporta tutto in pari e se c'è qualche corto fra lamierini...pazienza, scalderà un pò ma sempre entro i parametri di sicurezza (spero:-). 
Di "E" ne ho avanzate solo quattro ma sono convinto che con un pò di pazienza e calma si può rimettere tutto dentro senza avanzare nemmeno un pezzettino. Impaziente del risultato, ho inserito le viti originali serrandole alla meglio, consapevle che con un lavoro non perfetto il trasformatore emetterà il tipico ronzio a pieno carico. 
Con mia sorpresa, a lavoro ultimato nel misurare la tensione in uscita...mi ritrovo 36,7 volts... why?? i casi sono due:
  • ho sbagliato a contare le spire secondarie in fase di smontaggio
  • ho il tester che fa un pò quello che vuole. 

proprio non mi capacito del risultato.  (AGGIORNAMENTO) misurando la tensione sotto carico la tensione misurata scende a circa 1 volts ed in mancanza di un amperometro che misuri più di 20A non riesco a sapere a quanto ammonti. Fatto sta che con una tensione così bassa non si riesce a fare poi molto, la potenza è insufficiente per qualsiasi lavoro. Cortocircuitando l'uscita si notano solo delle deboli scintille ma niente di che. Forse dovrei dimezzare la sezione del filo e raddoppiare il numero di spire sul secondario...l'esperimento condinua. 
Cmq... il lavoro è in corso d'opera. Voglio collegare in uscita un terminale di grafite o di rame per verificare se si riesce ad incidere l'acciaio... ricordo che a scuola in laboratorio si usava un trasformatore per incidere i pezzi all'ora di meccanica. Vedremo se riuscirò a bruciare qualcosa... senza calcoli più accurati le sorprese sono dietro l'angolo...poco male. Alla prossima

P.S. il gufo è a caccia e l'asino raglia. Ripeto: il gufo è a caccia e l'asino raglia.

giovedì 16 aprile 2015

White LED 8mm

10 LED bianchi da 8mm ad alta luminosità... ritrovati nei cassetti dopo averli inseriti in un ordine di materiale di cui si sono perse le tracce. Il che significa niente datasheet, niente caratteristiche, niente di niente (e niente foto per ora che le batterie della digitale sono a terra). Allora, come si fa ad accenderli? Un pò di intuito può bastare. Se si ricercano in rete le caratteristiche di prodotti simili, qualcosa si trova. Dovrebbe essere da mezzo watt, corrente 120mA, e tensione da min 3,0 max 3,6 volts. Con questi parametri e con la legge di ohm non è difficile calcolare la resistenza necessaria per varie tensioni di alimentazione. 
Ho assunto che la corrente ideale sia proprio da 120mA, contrariamente a quella per i led flash che ne richiedono da 20 a 40mA, mentre ho assunto una tensione di 3,5 volts... rischio, tanto i valori si assomigliano un pò tutti su vari modelli apparentemente simili. I valori della resistenza da mettere in serie sono quindi nella tabella che segue:

12V 70,83ohm 1,02Watt
9V 45,83ohm 0,66Watt
5V 12,5ohm 0,18Watt

Se si va a spulciare sui valori Standard delle resistenze in commercio, assunto lo si voglia far funzionare a 5 volts, la resistenza da 12,4ohm 1% serie E96 è l'ideale ma difficilmente reperibile dai componenti di recupero. Ho quindi ripiegato su una da 12 ohm (serie E24 5% - bande colorate marron rosso nero oro), leggermente inferiore nel valore nominale ma a misurarla con la tolleranza... 12,3 ohm... perfetta. 
Il risultato? è ok,  è un led che illumina bene ed in modo uniforme, complice anche la piccola lente frontale, tanto da farmi pensare ad un utilizzo nel microscopio analogico... vedremo (e perchè, pezzenti, non mi si regala un microscopio decente di quelli bonoculari e digitali?). 
Ora devo provare a metterne più in serie o parallelo, sino a metterne assieme 5 da inserire sul faro della bici. Il problema sarà trovare un contenitore adeguato... non dispero, magari recupero un vecchio fanale per le lampade ad incandescenza e lo modifico. Un altra prova (distruttiva) sarà quella di spremere la massima efficienza luminosa dal LED, compatibilmente con la tensione di batteria.... litio o alcaline? Per il litio mi mancano molti passaggi sperimentali, ma la cosa non mi spaventa. Pensavo di utilizzare delle vecchie batterie da cellulare, che ormai le si trovano a pochi euro se non addirittura recuperate da qualche telefono pronto per la discarica (continuate a buttare dai che mi serve materiale, grazie). Credo inoltre che mi servirà un regolatore di carica e scarica e, perchè no, un sistema per i lampeggi flash (utilissimi per le trasferte ciclistiche in notturna contro i guidatori ubriachi e strafatti)...vedremo cosa si riesce a recuperare. Alla prossima. 

P.S. la tana del tasso è calda. Ripeto: la tana del tasso è calda.

venerdì 30 gennaio 2015

Laser pointer 5mW

Càpita (solo ai dementi come me) di passare dal benzinaio di periferia e trovare un espositore pieno di puntatori laser da usare come portachiavi. Un rapidissimo interrogatorio e... dopo aver appreso che il gestore li tiene sul bancone da una vita, rilevato che alcuni di loro hanno le batterie esplose e sono praticamente da buttare, considerato il volume di vendita (uno ogni 2 anni) ed il margine di guadagno irrisorio, indegno anche per un povero del bangladesh... beh... se proprio li butti... dalli a me che ci gioco un pò. Presi!. Dei portachiavi di fattura cinese, tutti con lo stesso numero di serie 2008108 (sembra in realtà una data siglata però con S/N)
Non so ancora come riutilizzarli ma sicuramente il diodo laser a qualcosa potrà servire prima o poi... magari per una livella elettronica, un indicatore di taglio per la sega circolare, un indicatore per la bici.... boh, qui non si butta nulla. 
Il ciòttolo è alimentato da tre batterie a bottone AG3 (tensione residua media 1,44 volts cadauna) per una potenza inferiore ai 5 millliwatt (luce rossa a 650 nm +/- 10% ...da crederci). Di tagliare qualcosa nemmeno a pensarci. Provo a smontarne uno per verificare l'assorbimento del modulo laser... 15 mA di assorbimento alla tensione di 4,16Volts, molto vicina ai 5 volts di una presa USB e sotto la corrente massima che la stessa può erogare. In serie al led laser, una resistenza smt marchiata 750 (75ohm). Con questi valori il laser può essere tranquillamente comandato da un piccolo processore senza troppe preoccupazioni, non senza prima aver provato alcune modifiche. Sostituisco la resistenza da 75 ohm con una da 100 ed alimento il tutto a 5volts...funziona egregiamente. Si potrebbe provare anche a mettere una resistenza da 47 ohm e provare con i 3,3volts standards (dovrebbe funzionare). Il negativo va collegato in prossimità della molla mentre il positivo va collegato a dove prima c'era l'anodo del led bianco (in trasparenza è il pezzettino metallico più piccolo). In foto si vede che ho usato una resistenza da mezzo watt... la fretta... non avevo voglia di cercarne una più adatta. Si protegge il tutto con un tubetto termorestringente et voilà, pronta per qualche nuovo utilizzo. Come ultimo tentativo di modding... girare la lente frontale con un cacciavite per cercare di ottenere un puntino più definito (dubito ma tentare non nuoce)
Ora devo procedere con alcuni esperimenti ludici, utilizzando dei fotodiodi normalmente presenti nei lettori DVD o nelle stampanti laser, giusto per verificare il funzionamento e provare a realizzare una specie di telecomando codificato.
Ah, mi viene in mente un altro utilizzo... è da tempo che sento parlare dei microfoni laser... non so se è una burla ma tentar non nuoce alla mia curiosità. In linea di principio potrebbe anche funzionare, anche se sarebbe preferibile un bel diodo a luce infrarossa... invisibile all'occhio umano. Intercettare conversazioni senza licenza ed ad insaputa dei soggetti è vietato ma per la scienza questo ed altro. E sempre per la scienza.... questi puntatori sono ideali per far giocare il gatto, che come è noto, è un animale più stupido dei panda e rincorre tutto quello che vede muoversi rapidamente, incurante che è solo un puntino luminoso inconsistente, inodore ed insapore... i gatti.... animali stupidi, si sà. Occorrerà verificare se è vera la storia che il gatto, quando rincorre il laser, poi impazzisce... per mè è una stupidaggine colossale ma potrei divertirmi con quello che di notte viene a rantolare ingrifato come un adolescente in astinenza sotto la finestra della mia camera da letto... mi sa che per quello userò il vecchio metodo.... la fionda. Alla prossima. 

P.S. il micio è rosso e il topo è grigio. Ripeto: il micio è rosso ed il topo è grigio. 

martedì 30 dicembre 2014

TOP IN LED lamp teardown



Una lampadina a led permette un bel risparmio sull'energia elettrica in quanto a parità di lux emessi consume molto meno rispetto ad una lampadina ad incandescenza. Il suo costo abbastanza elevato è ammortizzato in breve tempo... se non si rompe prima del previsto. Già perchè a vole risparmiare sulle lampadine a led occorre metttere in preventivo anche la qualità costruttiva e di progettazione dei circuiti di controllo. Questo modello l'ho preso su ebai tempo fa ad un costo inferiore rispetto a quelle che oggi si trovano orami anche nei supermercati e nei brico center. Dopo un periodo di funzionamento abbastanza breve, dovuto al fatto che era installata in cantina frequentata davvero poco, la lampadina si fulmina con grande sorpresa.... cosa sarà successo? La curiosità mi spinge ad aprire, ispezionare, capire, verificare. Questo modello è uno dei più semplici da smontare, senza rompere nulla e facilmente riassemblabile al punto che viene da chiedersi se sono disponibili i ricambi dato che una eventuale sostituzione della parte guasta è davvero ridicola.

Per aprirla occorre innanzitutto togliere il cupolino satinato, con un cacciavite piatto lo si rimuove dall'incastro ovalizzando leggermente il corpo plastico nel lati opposti alle clips di aggancio. La piastra che ospita i leds (JML-11061 TYQP-5353-04A4 P3528-18 20111110) è avvitata con due viti autofilettanti che si vanno ad incastrare fra le alette di un dissipatore cilindrico appoggiato sulla piastra con della pasta che conduce il calore. Il dissipatore forato fa passare i due fili che vanno al circuito regolatore a sua volta collegato alla ghiera filettata. La ghiera filettata è a sua volta semplicemente avvitata al corpo plastico, per cui, per toglierla, basta svitarla e sfilare il tutto per le verifiche del caso. 
Con la lampadina smontata (in trenta secondi netti) il problema  viene subito all'occhio... il circuito di regolazione dei led è esploso, annerendo i componenti circostanti. Per la sigla dovrei smontare una lampadina buona ma per ora non credo di approfondire più di tanto. La sigla che si riesce a lebbere sull'intergrato inizia per BP31... il ponte MB10S (forse origine della sovratensione in quanto sembra anche lui andato)
Credo, nel disquisire in tema di qualità, che in questo caso non possiamo parlare di scarsa qualità del prodotto o errore di progettazione dell'elettronica... piuttosto il problema è insorto per un corto ciurcuito provocato da nidi di ragno rinvenuti asll'interno della lampadina. La parte a cono infatti è aperta per lasciar dissipare meglio il calore, lasciando però esposto il circuito (anche se protetto dal solito tubo termorestringente), che andrà inevitabilmente soggetto a contaminazioni esterne (ragni, polvere, umidità).
Da segnalare un incongruenza nelle serigrafie della basette. Il filo rosso è collegato al V+ del circuito stampato mentre è collegato al V- della basetta con i leds (stessa ovvia inversione per il filo bianco). Per cui sarà necessaria un ulteriore verifica col tester per capire la polarità giusta da applicare alla basetta metallica. Sì perchè la piastra che ospita i leds è un lamierino tondo di alluminio con stampate sopra le piste che collegano i leds, tramite strati di isolante. E' di alluminio solo per esigenze di smaltimento del calore. Interessante la soluzione a accoppiamento col dissipatore ad alette che poermette l'utilizzo di componenti "standard" grazie ai quali si riesce a contenere il costo di produzione e conseguentemente di vendita al pubblico (credo di ricordare di averla pagata pochi euro un paio di anni fa). Che dire ancora? Queste lampadine non dovrebbero essere installate in luoghi polverosi o soggetti alla visita dei ragni, quindi niente cantine, sottoscala, falegnamerie, garage, ripostigli od in genere posti poco frequentati ove la rimozione delle ragnatele non è frequente come quella in posti ove si soggiorna abitualmente. Lo stesso modello è in funzione in altre parti della casa e posso confermare che la loro durata è superiore alle lampadine tradizionali. Unico neo, per mea culpa, è che ho preso il modello a luce bianchissima, che a me non piace proprio. Al prossimo giro luce più giallina. Procedo con esperimenti e verifiche dei led da recuperare... stay tuned. Alla prox.

P.S. il prato è gelato. Ripeto: il prato è gelato. 

lunedì 1 dicembre 2014

Neon Starter Ballast Spark!

Durante un lavoretto di falegnameria, tipo trasformare due sedie in una scaletta ripiegabile, mi accorgo che il tubo al neon sopra il bancone da lavoro fa fatica ad accendersi. La scarica non si innesca... penso immediatamente al tubo esaurito (strano ha solo 10 anni) e procedo a frugare nella scorta di tubi recuperati da vari smantellamenti di negozi nella fase di post-fallimento (una manna dal cielo questa crisi prolungata). Strano che nessuno di questi funzioni... penso quindi immediatamente allo Starter... è domenica, negozi chiusi (per fortuna) e ... che faccio? Mi viene in mente che in lavanderia ho degli scaffali recuperati da un negozio di fotografia, erano illuminati e per forza ci deve essere qualcosa che fa al caso mio... infatti, all'interno c'è ancora l'impianto elettrico, reattori, starter, interruttori... taac! Prendo lo starter, sostituisco lo starter e... luce fu. Ok. Nella pausa non posso resistere.... devo aprire lo starte rotto e verificare cos'ha! Il problema viene immediatamente all'occhio... usato troppe volte, lo scintillio fra i contatti nell'ampolla hanno consumato le lamine bimetalliche che non stanno più facendo il loro dovere. Bene. Di riparare lo starter nemmeno a parlarne (per ora) ma di spendere due parole su come funzioni si, questo lo si può fare. 
Starter usato vendesi come nuovo
Il tubo al neon è un tubo di vetro, ricoperto internamente da materiale fluorescente, che contiene dei gas (di solito Neon) e una piccola quantità di mercurio. Per accendersi occorre una tensione di innesco della ionizzazione del gas molto più alta di quella necessaria per mantenere acceso il tubo. Inoltre è necessario che i filamenti ai capi del tubo raggiungano una temperatura di 100-200 gradi prima di iniziare ad emettere elettroni che ionizzano il gas e quindi eccitino la sostanza fluorescente che ricopre l'interno del tubo di vetro. Per ottenere l'innesco si usa quindi uno strarter ed un reattore (l'insieme è anche chiamato "ballast"). Lo starter, in sostanza,  è un interruttore che rimane chiuso all'accensione per circa uno o due secondi (il tempo di riscaldare i filamenti). Al passaggio della corrente, le lamine dell'interruttore si scaldano e si piegano (lamine a bimetallo aventi diversi coefficienti di dilatazione) interrompendo la continuità. All'apertura del contatto entra in gioco l'energia accumulata dal reattore (che sostanzialmente è un induttanza) che viene rilasciata ai capi della lampada sotto forma di sovratensione in grado di innescare la scarica ionizzante fra gli elettrodi. Quindi lo starter serve solo a far partire il processo di accensione, tanto che una volta accesa la lampada, può tranquillamente essere tolto senza spegnere nulla in quanto una volta "scaldato" ed aperto, anche se si raffredda ed il contatto si richiude, la maggior parte della corrente passerà per la scarica del tubo fluorescente e pertanto non riuscirà a riaprirlo.
Ma.... il condensatore in parallelo al bulbo dello starter a che serve? E' per ridurre le interferenze EMI generate dall'arco che si sviluppa ai capi del contatto. Ma... che succede se collego uno starter in serie ad una lampadina ad incandescenza?? Boh... dovrebbe lampeggiare con una frequenza che dipende dalla potenza della lampadina stessa suppongo... perchè non provare?... dubito però che i contatti a forza di aprirsi e chiudersi con conseguenti scintille facciano durare a lungo il gioco... alla prossima

P.S. il ravanello è pallido e la bruschetta è pronta. Ripeto: il ravanello è pallido e la bruschetta è pronta.

domenica 12 ottobre 2014

Pasta protettiva per legno

Da un pò, mi ritrovo in un periodo in cui devo distrarmi dalle preoccupazioni inutili che mi assillano. L'unico metodo efficace che conosco, contro la ciclica carenza di soldi, è quello di fare delle cose, possibilmente con le mani e possibilmente che coinvolgano la creatività, giusto per non far avvizzire il cervello ed evitare di diventare come la maggiornanza degli unani che popolano il vostro stupido pianeta. Vorrei riprendere, e lo farò, l'interesse per lo sviluppo software oltre alle attività di reverse engineering che tanto mi appassionano. Ma.... devo contemporaneamente liberare un pò di spazio per predisporre il laboratorio al fine di portare a termine alcuni progetti in sospeso. Un pò di cose alla volta e porterò a termine tutto quello che mi incuriosisce e che mi tiene la mente occupata in cose utili (tipo impara l'arte e mettila da parte). 
Mi ritrovo quindi per le mani dei fogli di cera d'api, quei fogli con le tracce esagonali che si mettono nelle arnie per favorire le api a costruire le cellette dove mettono il loro miele. Il nonno aveva un pezzo di terra enorme (beato lui) e si autoproduceva tutto quello che permetteva alla famiglia di vivere più che decorosamente (il terreno era il suo centro commerciale privato). Io, della generazione del consumismo, non ho le arnie ed avrei delle difficoltà ad "allevare" delle api praticamente in centro al paese dove abito... per cui... la cera d'api a buttarla nemmeno a parlarne. Ne farò delle candele. 
Ma una parte la riuso per produrre una crema protettiva impregnante per il legno. Nei miei lavoretti di falegnameria, un trattamento alla cera d'api è un tocco che conferisce una finitura eccellente. La cera d'api, per essere utilizzata a tale scopo, deve essere mescolata con dell'olio minerale. Non ricordo le dosi, sono andato un pò ad occhio, ma il risultato è una pasta tenera e malleabile anche quando si raffredda. Con una spugnetta, un panno o della carta la si può spalmare finemente sulle superfici in modo da otturare la naturale porosità del legno e proteggerlo dall'umidità, senza usare vernici, solventi o altri prodotti definiti "ecologici", che di ecologico non hanno nulla. L'aspetto finale, dopo che l'olio e la cera si "asciugano" (un paio di giorni) è una superficie satinata, piacevole al tatto, superba. I balsami alla cera d'api che si trovano in commercio costano un occhio della testa. Questa invece, praticamente a costo zero. Me ne sono prodotto un barattolo (a chiusura ermetica) e sicuramente lo userò in futuro evitando l'acquisto di altri prodotti, godendo come un riccio per aver contribuito al tracollo economico di quelle aziende inquinanti che si mascherano dietro l'etichetta dell'ecologia per mere ragioni di markerting...bastardi...alla prossima.

P.S. i fiori rossi sono profumati. Ripeto: i fiori rossi sono profumati. 

lunedì 18 agosto 2014

Lampadina a LED (anonima parte 1)

E proprio non ho potuto resistere. Oggi, solito giro all'ecocentro, in bici con rimorchio, per scaricare l'erba del giardino appena tagliata e tornare con un paio di sacchi di compost per l'orto. La compostiera è accanto ai rifiuti RAEE e un occhiata al contenitore è quasi inevitabile. 
In cima al mucchio dei tubi al neon, campeggia la lampadina che si vede in foto... come resistere? se la lascio lì verrà sommersa dai rifiuti degli unani consumatori, no no no... Le salvo la vita e la porto immediatamente in un luogo più dignitoso con la curiosità di scoprire cosa c'è all'interno, com'è fatta e soprattutto con la speranza di poterla riportare a miglior vita. Alla peggio recupero i 60 led per qualche progettino in cantiere. Si, 60 led bianchi, sessanta, non i miseri tre del modello precedente. Questa inoltre è a 220 volts. Di punti di smontaggio nemmeno a parlarne, almeno a prima vista. L'attacco E27 è punzonato alla base...mi sa che devo rompere per aprire a meno che non scopra qualche diavoleria costruttiva che mi permetta di poterla rimontare... l'involucro all'esterno non riporta alcun dato tecnico, nessun marchio del produttore, niente, se non l'indicazione 220-240 volts RoHS nel corpo plastico e la sigla DLD-L333 sulle piastrine rettangolari e DLD-L1978 sulla piastra circolare, dove sono montatii leds bianchi. Google non aiuta molto in questo caso...forse sono le sigle del produttore...boh. Procedo con il tentativo di apertura...incrociamo le dita. Stay Tuned.

P.S. il bagnino è in spiaggia. Ripeto: il bagnino è in spiaggia. 

martedì 5 agosto 2014

Lampadina a LED ST4-041030 (parte 2)

Come fare per aprire la lampadina in esame l'abbiamo già trattato, nulla di più semplice. Ora vediamo di approfondire la conoscenza per verificare se la si può riparare. L'analisi del PCB di pilotaggio dei tre led di illuminazione nella lampadina Microwatt ST4-041030 quindi prosegue. Dopo una googlata, ho reperito il datasheet dell'unico circuito integrato presente Si tratta di un SM7523B, un ASIC (Application specific integrated circuit) in package SOP8 classificato come "Constant primary Control power switch". 
Purtroppo il datasheet è in cinese, con quegli sgiribizzi strani. Google Translate, nella traduzione del pdf, non aiuta molto. Va infatti a capire cosa significa "Circuito interno tranciatura all'avanguardia"..., o cosa sono i "Piedi penzoloni" che ad intuito credo siano i pin NC non collegati, o ancora "Scolare ingresso interruttore di alimentazione lato", "Terreno chip". Il produttore (Shenzen Sunmoon Microelectronics co.ltd) non prevede il rilascio delle specifiche con i caratteri occidentali, almeno non sono riuscito a trovarne uno. Per cui occorre andare un pò a casaccio, a intuito. La lampadina, alimentata a 12 volts (300 mA), emette una luce fioca che dopo alcune decine di secondi si affievolisce lentamente. Il sintomo induce a pensare che il problema sia di qualche condensatore...ce ne sono pochissimi per cui controllarli non deve essere poi nulla di trascendentale.
Analizzando un pò a fondo il PCB si scopre che la realizzazione non è molto dissimle dal circuito di esempio pubblicato nel datasheet, nemmeno per i valori dei componenti che sono in gran parte quelli suggeriti dal produttore, ed esclusione di quelli che compongono il partitore calcolato in funzione della corrente di assorbimento dei tre led messi in serie. Con un tester, il ponte di ingresso sembra a posto (un MB10S in package SOIC-4 da 0.5 A) ed anche i condensatori non sembrano evidenziare particolari problemi. Non vorrei che ci fosse un problema nell'integrato ma in mancanza di un oscilloscopio, non è che posso poi fare più di tanto. Al limite provo ad ordinare un paio di campioni (sperando nel buon cuore dei cinesi) e sostituirlo...la vedo mooolto lunga.
Nel frattempo procedo, per scrupolo e per diletto, con distaccare i singoli componenti e provarli con un tester a microprocessore per verificare che i valori non siano andati fuori scala. Più di così... dovessi trovarne qualcuno di "sballato" il casino sarà trovare il pezzo di ricambio. I componenti SMT sono venduti a bobine e non credo li forniscano sfusi, tantomeno a singoli pezzi. Spero in qualche PCB di recupero...spero...ad ogni modo la buona notizia è che i tre led sono integri. Alla peggio li piloto con un PWM per realizzare l'illuminazione di qualche cassetto o dell'interno dell'armadio (già provvisto di lucette di natale a led che fanno il loro dovere egregiamente come già spiegato in un precedente post). 
Conclusioni: la riparazione di queste lampadine, questo modello di questa marca, è tecnicamente possibile se il guasto coinvolge il ponte di ingresso o i condensatori del filtro EMI in ingresso. Più difficile (ma escluderei la parola impossibile) ed economicamente poco conveniente se si riesce a trovare il componente di ricambio in tecnologia SMT (per chi ha un laboratori ben fornito ed attrezzato la difficoltà scende notevolmente). Portare la lampadina presso un lab di elettronica? Io non ci proverei per due motivi... il primo i costi di intervento e riparazione che superano di gran lunga il valore del pezzo, il secondo perchè sono stanchissimo di sentirmi ripetere "conviene buttare"... NO, buttare non conviene mai se si considerano le tonnellate di materiali sprecati che fanno questa brutta fine, i costi di smaltimento, l'inquinamento correlato... ingegneri del piffero, imparate a fare i conti, da voi me lo aspetterei. Ciao pirletti. 

P.S. la marmotta non mangia le ghiande. Ripeto: la marmotta non mangia le ghiande.

P.P.S. AGGIORNAMENTO: parrebbe l'induttanza L1 il colpevole (anche se trovo strana la cosa). Il problema è che non na ho una di ricambio...

lunedì 4 agosto 2014

Lampadina a LED ST4-041030 (parte 1)

In occasione del giretto in discarica (in bici of course!) per scaricare l'erba falciata del prato e caricare un pò di Compost (agratis) per l'orto, mi imbatto nel contenitore dei rifuti RAEE per le lampadine ad incandescenza. Fra i tubi al neon compare una lampadina a led, l'unica, sola soletta e l'idea di recuprare almeno i led mi spinge a prenderla e portarla a casa, incurante dell'incalcolabile danno provocato alla partecipata che presidia l'area con ben 4 persone ed un impianto di telecamere da far invidia a fort knox.
La lampadina riporta nel suo corpo terminale le seguenti sigle:
MICROWATT
ST4-041030
4w 3000.K 34mA38D
220/240V - 50-60Hz
Del perchè si sia guastata meritando la rottamazione è materia di indagine. Sono seriamente intenzionato ad aprirla per soddisfare l'insaziabile curiosità e voglia di imparare qualcosa di nuovo.
Da una rapida googlata scopro che si tratta di una SPOT TRILED con attacco GU10 serie ST4 da 4 watt equivalenti ad una lampadina ad incandescenza da 40 watt, garantita per una durata media di 25.000 ore (non un minuto di più suppongo, giusto per rilanciare i consumi dai).  
Il colore della luce è indicato a 3000K con un angolo di apertura del fascio luminoso di 38 gradi (che spiega la sigla stampigliata). Aggiungiamo il codice EAN (a barre) 8111041030009 e la classe energetica A++
OK, dati tecnici a parte, voglio capire come aprirla senza rompere troppo l'involucro, ipotizzando che il progettista, il solito "ingegniere" abbia fatto di tutto per impedirne l'apertura... misteri dei meandri mentali di qualche mente bacata che pensa alla nostra "sicurezza"... lasciamo a casa le polemiche per una volta.
Una cosa mi insospettisce immediatamente. Nella parte dell'innesto GU10 si notano due forellini, uno nero ed uno blu... che saranno? ed il piolino centrale fra i due? una specie di spina ad incastro per tenere fermo l'interno? boh, andiamo avanti. L'unico punto aggredibile sembra il filtro anteriore che mostra una specie di incavo in un punto della circonferenza... o forse è un punto di collante, non si capisce bene....in trasparenza si notano anche tre piolini di fissaggio...la vedo dura senza rompere... proviamo a fare leva lì per vedere se si apre. La plastica bianca è molto dura e si capisce anche perchè... deve resistere a temperature abbastanza alte e non deve essere certo di quella che si ammorbidisce col calore.
Dopo una serie di tentativi, decido di tagliare. Tanto, per un nuovo involucro non ho bisogno del sottovuoto come le lampadine ad incandescenza, ed un barattolo in vetro dello yogurt credo si possa adattare senza troppi sforzi (almeno così lo riutilizziamo e non "consumiamo" plastica). 
Dopo un accurata ispezione visiva, la scelta ricade nel forare i tre piolini di fissaggio. Punta dello stesso diamtero e via. La plastica è più tenera del previsto ed il vetrino (che in realà è plastichetta), viene via facendo leva con un cacciavite sottile. E' costruito con tre lenti disposte a trifoglio e si scopre che i piolini in realtà erano incollati alla basetta di supporto ai led che si mostra nell'incavo interno. La basetta led (Sigla YX-LED-3C1B) è fissata con tre viti autofilettanti, tolte le quali la lampadina si apre senza difficoltà...troppo facile. Sfatiamo immediatamente le ipotesi iniziali... il piolino centrale, non esiste, i forellini colorati non sono altro che due forellini e la loro differenza di colore è dovuta ai componenti interni sottostanti. 
Il circuito stampato di pilotaggio dei led racchiuso nel corpo cilindrico della lampadina, protetto con una guaina isolate termorestringente, contiene da un lato un paio di condensatori, un induttanza, un soppressore di sovratensioni, mentre l'altro lato una serie di componenti SMT al cui ispezione è in corso. Alla prossima. 

P.S. la gallina ha le uova. Ripeto: la gallina ha le uova. 

martedì 17 giugno 2014

BRAUN Spazzolino elettrico type 4712 - 4731

BRAUN Toothbrush type 4712
Ho per le mani, ancora intero, uno spazzolino elettrico Braun Type 4731 mentre quello che è stato autopsyzzato (in antico e desueto dialetto ladino il ttermine trova significato che lo definisce in "apertura di un oggetto dalle fattezze interne in orgine sconosciute che nonostante la costruzione antivandalo viene fatto a pezzi al fine di comprenderne il funzionamento ed analizzarne i componenti e la logica costruttiva") è un Type 4712. Vediamo se è possibile, "da due farne uno" o almeno capire se sono facilmente riparabili o rigenerabili. 
L'inutile ciòttolo, ennesimo esempio di come il ciarpame venga spacciato per necessità irrinunciabile, ha "smesso di funzionare...sicuramente è la batteria". La diagnosi è impietosa e formulata dal possessore il quale, stranamente, stavolta ha pienamente ragione. In effetti la batteria è spezzata in due... si, una ricaricabile al Mi-CD Sanyo made in japan è rotta a metà. Anche il supporto in simil teflon è rotto. Ipotizzo che la causa sia dovuta ad una caduta. Qualora l'ipotesi fosse vera, io non ci credo, ma se fosse vera allora siamo di fronte all'ennesimo progetto superficiale, incompleto, frettoloso, minimalista.
Uno spazzolino da denti lo si usa in bagno, spesso con le mani bagnate... è prevedibile che cada a terra, basta pensarci prima e dotarlo di un supporto un pò più robusto o di un vano batteria che non permetta alla stessa di muoversi. E poi...vogliamo parlare della base?? 2,8 centimetri per un altezza di 21,6 ... lo capisce anche uno studente di ingegneria al primo anno che basta un nonnulla per farlo cadere se lo si posa "in piedi". Ah... mi sa che il progettista in germania è  proprio un neo ingegnere scappato dall'italia per non fare l'operatore di call-center... se si da un occhiata alla basetta elettronica... a che servono gli alloggiamenti per gli integrati? se poi lo stampato non viene popolato? Circuito stampato standard per più modelli e questo è il modello base?? Devo andarmi ad informare in negozio... magari ce nè uno con display, blue tooth, wi-fi e via dicendo... questo ha pochi componenti, sicuramente un regolatore di carica.
La bobina che si intravede alla base è come il secondario di un trasformatore ed il primario sta nella base dove si infila lo spazzolino, quella collegata alla 230V. Ma... torniamo a noi... come si fa ad aprirlo? la batteria si può sostituire e rigenerare lo spazzolino per farlo tornare come nuovo?? Naaa, mi sa che questi oggettini soffrono ancora di molti problemi. Innanzitutto per aprirli... bisogna con cautela spingere forte l'astina dove si infila la testina rotante (tenendo il corpo con le mani) e sperare che il tappo alla base salti senza rompere nulla... sicuramente sono aggeggi usa e getta. Al limite ci si può aiutare con una lametta per facilitare l'estrazione della base.
Dentro, in questo modello, il corpo batteria-motorino è tenuto assieme da un supporto bianco che ne faciliterebbe l'estrazione (se fosse rimasto integro...sic... rotto pure quello. E poi c'è il problema più grave... dentro c'era molta acqua, o saliva... come posso saperlo?? (usare sempre i guanti mi raccomando). Il circuito non ha fatto in tempo ad ossidarsi ma... le guarnizioni in testa non hanno fatto bene il loro dovere... altro punto a sfavore dell'attrezzo. Pulire il tutto, sostituire la batteria, rimontare e chiudere il contenitore.... probabilità di successo da 1 a 100... due. 
Quindi cosa resta? un motorino con meccanismo che fa ruotare alternativamente un perno (ottimo per qualche micro agitatore), un regolatore di carica wireless (una figata per qualche progettino di robotica), alcune testine nuove che se si decide di non comprare mai più aggeggi simili devono trovare un riutilizzo alternatico (tipo venderle su ebai, non mi viene in mente altro). Rimane l'opzione spazzolino elettrico cinese da 5 euli con attacco compatibile braun, ma non oso nemmeno immaginare di mettere in bocca della plastica prodotta in quei posti. Risparmiare si, va bene, ma a tutto c'è un limite. Resta lo spazzolino classico manuale magari con testine ricambiabili (maledetti brevetti, hanno l'esclusiva) ed un minimo di manualità... fanchiulo allo spazzolino a motore. Fottetevi pigroni. 

P.S. la bumba è finita e Lella è in viaggio. Ripeto: la bumba è finita e Lella è in viaggio.