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lunedì 11 novembre 2013

DIY paper brick - osservazioni

carta, carta e trucioli di legno, cartone
Nei ritagli di tempo, fra una compilazione ed un reboot, sto portando avanti il progetto dei mattoncini di carta da bruciare nella stufa. Uno al giorno, in previsione della sua attuazione nel 2014 per il prossimo inverno. Perchè non questo inverno? E' facilmente intuibile.... una massa di carta bagnata, 22x8x10cm, in assenza di fonti di calore adeguate (magari quella gratis del sole), impiega parecchi giorni prima di asciugarsi completamente. Il tempo di essiccazione varia in funzione del tipo di carta impiegata e della compattezza ottenuta nella pressa manuale utilizzata per compattare il tutto. Al momento ho compattato carta da quotidiano, carta dei rotoloni, cartone da imballaggio (quello marrone). Le differenze sono evidenti come visibile dalla foto (da sinistra carta uso ufficio a fettuccine + fazzolettini, carta di giornale e trucioli di legno, cartone da imballaggio).
La carta da giornale: macerata per pochi minuti, giusto il tempo che assorba l'acqua, è un pò meno compatta della carta degli "asciugoni" (quelli in rotolo). Se la carta da giornale viene lasciata al macero per qualche giorno e poi "frullata", assume la consistenza della creta, una pasta malleabile che una volta indurita risulta dura quasi come il legno. E' interessante il fatto che aggiungendo alla pasta della colla vinilica si possono ottenere oggetti lavorabili, modellabili e sufficientemente duri da pensare ad utilizzi altenativi (si chiama cartapesta). E' meglio se, prima di bagnarla, la si riduce "a tagliatella" con un macina documenti, così le varie striscie si mescolano e si legano l'un l'altra ottenendo una massa più compatta e manipolabile senza che si rompa, sia durante la produzione che per lo stoccaggio.
Il cartone ondulato: l'esperimento è in corso.  Credo che il cartone da imballaggio contenga una blanda qualtità di colla (specialmente quello ondulato o a nido d'ape) e probabilmente una sostanza impregnante atta ad evitare che con la pioggia lo scatolone si sciolgain breve tempo. Non ho elementi per poter affermare la presenza di particolari trattamenti ma ho osservato che l'assorbimento rispetto alla carta da giornale è più lento. A mio avviso è un materiale da preferire (ampiamente disponibile) e credo migliore per ottenere una pasta omogenea, marrone, dura come il legno. Se utilizzato per la combustione, è da evitare il cartone plastificato, quello delle confezioni patinate o peggio il tetrapack (con l'alluminio). Va in ogni caso spezzettato ed il tempo di bagnatura deve superare il paio d'ore, per dare il tempo agli strati ondulati di staccarsi, così poi si "legano" fra loro quando li si compatta. Prima di compattare i pezzettini, mescolare energicamente e strizzare un pò con le mani per piegare la carta in forme irregolari.
La carta in rotoloni: ce ne sono di molti tipi, quelle in cellulosa purissima (dicono), quella ovattata, quella "soffice"... secondo me è la migliore, ma occorre tenere conto che viene utilizzata anche con detersivi ed in ogni caso è "sporca" in base al liquido con cui è stata usata (vino, latte, caffè, pomodoro, uovo....). Si ottiene un mattone molto compatto che tende però una volta asciugato a disfarsi facilmente. Sicuramente brucierà più velocemente ma non so ancora se il calore rilasciato sarà sufficiente per scaldare a sufficienza.  
L'aciugatura: ottenuto il mattone, se lo si asciuga sopra il termosifone in questo periodo che il riscaldamento è acceso un paio di ore al giorno, dopo 24 ore appare asciutto all'esterno, più leggero ovviamente. Basta aprirlo in due per rendersi conto che l'umidità è ancora presente anche a distanza di qualche giorno. Presumo che sotto un sole di luglio-agosto, in un paio di giornate sia possibile ottenere una mattonella perfettamente secca, anche meno se riuscirò a costruire l'essiccatoio per le verdure. Per migliorare il processo di asciugatura, basterebbe produrre delle mattonelle più piccole o magari forate come i mattoni da costruzione. In rete si trovano un infinità di soluzioni auto-costruite, tutti con pro e contro molto interessanti. 
L'acqua di risulta: è ovviamente sporca ma recuperabile in periodo estivo con un evaporatore a condensazione. Si otterrà acqua pulita, ideale per innaffiare l'orto o le piante ornamentali. Quella che risulta dalla carta da giornale è grigia (per effetto anche dell'inchiostro che inevitabilmente si discioglie), mentre quella del cartone è meno "contaminata" ma in ogni caso da distillare per evaporazione (si sa mai cosa ci mettono durante il processo di produzione). E per i "fanghi residui" dell'evaporazione? Quello sì è rifiuto, secco non riciclabile (ma non ci scommetteri tanto) che va smaltito tramite i normali canali di trattamento. 
Quando iniziare? E' ovvio che tutta l'attività di produzione dei mattoncini va prevista nel periodo estivo, quando fa caldo e c'è sole in abbondanza... da maggio ad agosto ed oltre se il clima lo permette. Ma iniziare con un mattone al giorno nel periodo invernale, si ha anche il tempo per essiccare per bene il materiale...più secco è, meglio brucia e più calore produce.
Post in aggiornamento... alla prossima.

P.S. carta canta, villan dorme. Ripeto: carta canta, villan dorme. 

lunedì 5 agosto 2013

Ho squoiato una scimmia...again!

L'ho aperto in due, il ventre della scimmia morta, per verificare lo stato delle interiora e cibarmi di conoscenza. Come avevo intuito, l'interno non rileva molte sorprese. Due motoriduttori, il vano batterie, un interruttore, un circuito elettronico di poco conto con il solito chip affogato che ormai sembra una specialità della cina, dato che le loro leggi non prevedono il diritto d'autore e si devono tutelare come meglio possono. Occorrerebbe avvisarli che vale la pena di proteggere le cose di valore (che comunque è relativo) e che la filosofia open hardware alla fine paga molto di più di quella "closed".
Di interesse i driver a transistors, che sicuramente prevedono dei ponti ad H per l'inversione del senso di rotazione dei due motorini (bocca e coda). Non dovrebbe essere difficile ricostruire il circuito, anche se sarebbe inutile vista l'affogatura del chip. Devo procedere con l'apertura del riduttore della bocca....sembra rotto e non funziona a dovere. 
Altre osservazioni...Mi sa che in cina non hanno ancora inventato i passacavi, preferendo la termocolla per tenere assieme fili e connettori. Ah, quasi dimenticavo: se vedete solo due motorini ed un circuito elettronico è meglio che lasciate perdere la lettura di questo diario. C'è molto di più ma non ho voglia di svelare le mie fantasie, almeno per ora. 
Giusto per dare una pillola....l'applicazione pratica del meccanismo? Pensavo di utilizzarlo per lo "specchio specchio delle mie brame chi è il più furbo del reame?". Ci si piazza davanti e lo specchio comincia a ridere a crepapelle, e ricomincia appena ci si muove, giusto per ricordarmi quanto sono ridicolo a perdere tempo con queste cazzate invece di uscire a cercare qualche cliente. Potrebbe anche essere un buon metodo per iniziare la giornata allenandosi a litigare con se stessi.....azzo ridi imbecille!!! giusto per la quotidiana dose di incazzatura che aiuta molto a resistere e reagire alla massa di unani che tentano di interagire ogni minuto. I motorini potrei utilizzarli per far uscire un bigliettino con scritto..."ricordati quanto sei cretino"! che rientra alla fine della risata. Un gadget utile per i geek perditempo, per i nerd del nuovo millennio, un must per stupire parenti ed amici sperando la smettano di inondarci con i loro stupidi elettrodomestici da riparare. Alla prossima.

P.S. lo scoiattolo è protetto ed i pinoli sono pronti. Ripeto: lo scoiattolo è protetto ed i pinoli sono pronti.

Ho squoiato una scimmia!

Avviso per gli animalisti: No, non è vero, almeno non una scimmia vera (meglio mettere questo avviso dato che anche io sono animalista ma non certo isterico e skizzato come certi fanatici talebani sempre pronti a sollevare polveroni anche per le questioni più futili, tipo il finto orso polare di greenpeace). Il secondo pupazzo meccatronico è una scimmietta con gli occhi appallati (sembra strafatta). Quando è accesa, ride a crepapelle e si rotola per terra, grazie alla rotazione della coda che, facendo leva nel pavimento, provoca la rotazione del corpo. Come meccanismo aggiuntivo la bocca si apre e chiude secondo uno schema pre-impostato... devo vedere cosa c'è dentro, non resisto. Questo non è il solito ciòttolo cinese, è un evoluzione meccatronica, un robot embrionale in quanto coinvolge almeno due motori ed un sensore, visibile nella fronte, che ne attiva i movimenti. E' un Cheric*le Trademark Creations HK (cinese per generalizzare) prodotto per Reg*landia "Carefully hand made with care", inadatto ai bambini di età inferiore ai 36 mesi, importato da I-Tr*de Srl. (made in P.R.C... cinese! e che altro?)
E' già aperto nella pancia, per la sostituzione delle batterie. Si scuce come se si dovesse squoiare un coniglio (me l'ha insegnato il nonno, non è maltrattamento...è cibo! cazzo!). Dentro, il sensore di movimento (una fotoresistenza?) e due motori. Un motore per il meccanismo che fa aprire e chiudere la bocca e l'altro per la rotazione della coda. Il circuito elettronico? un attimo che questo bisogna togliere le viti. Alla prossima. 

P.S. Non toccare niente e dare da mangiare alla scimmia! Ripeto:   Non toccare niente e dare da mangiare alla scimmia!

mercoledì 8 maggio 2013

Firma Digit*le

...e visto che è di mia proprietà, l'ho pagata uno sproposito ed in più è dichiarata rotta da un "assistenza" "tecnica" che  preferisce più sostituire che indagare (tanto a loro non costa nulla e da voi in itaglia la professionalità è un optional inutile), decido di aprirla e darci un occhiata, giusto per capire cosa c'è dentro e verificare se ci si può trovare un uso più dignitoso rispetto a quello che una legge balorda ha deciso di imporre. E' un "token", guai a chiamarla "chiavetta" che gli impiegati dell'ente si incazzano se si cerca di chiamare le cose col loro nome. Un interfaccia USB con ben 2 giga di memoria flash ove trovano posto i programmi compilati per quell'orrido sistema poco operativo che non voglio più nominare. Di eseguibili per Linux nemmeno a parlarne e se qualcosa va storto, (come prevedibile ma all'impiegata frega cazzi), si cambia l'hardware e si fa perdere tempo alle persone, tanto il tempo degli altri non è prezioso ed insostituibile, maledetti vermi da putrefazione. Vorrei la card che so funziona, niente chiavetta mi raccomando... certo!... ma dopo due settimane di preavviso per l'appuntamento mi si presentano con questo ciòttolo inutile e pure guasto! 70 euri contro i 34 della card, giusto per raccattare qualche spicciolo in più che l'ente è in crisi e deve racimolare con ogni mezzo anche i "centesimi", a tutti i costi che alla fine dell'anno tutto fa mucchio. Questo c'è, prendere o lasciare, altrimenti occorre prendere un altro appuntamento e presentarsi a 40 kilometri di distanza (andata) perdendo inevitabilmente minimo mezza giornata da scalare per gli studi di settore che prevedono invece giornate lavorative piene e prive di interruzioni o oneri burocratici presso uffici popolati da fancazzisti incapaci. 
Viene una gran voglia di hackerare con un approfondito reverse engineering, sostituirci i certificati e modificare per bene gli algoritmi di firma, giusto per firmare al posto di un altro qualche atto a data certa e divertirsi a vedere l'effetto che fa, maledetti idioti.  Esistono delle apparecchiature sofisticate in grado di decappare i chip con bombardamento di elettroni, compresa quella inutilissima goccia epossidica a nascondere chissà quale terribile segreto tecnologico. Si aggiunga un usb-pass per decodificare i segnali  della porta usb, un robusto debugger e i programmi compilati, teneteveli pure con i vostri sorgenti del menga. Ed il pin?? 8 cifre niente lettere o simboli?? grazie... Mr brute force ringrazia. E la porta hardware di debug? bella in ordine con le piste in vista?? Grazie ancora, sono commosso. E chi verifica l'integrità del software contenuto nella memoria?? Un dump ed un misero hash no? Grazie, davvero Prevedo nottate a divertirmi ed ipotizzo marachelle tecnologiche che tanto vengono "pompate" dalla stampa ignorante e superficiale... autenticazione "forte" per accedere a servizi via web? E che problema c'è? Dimenticavo...non è hacking, è ricerca #sapevatelo. Alla prossima

P.S. Ciao sono pinco pallo. Ripeto: Ciao sono pinco pallo.

lunedì 22 aprile 2013

Osram Globe 21W

Ci si accorge troppo tardi che la lampadina di ricambio, riposta nel cassetto per le emergenze, è inutilizzabile. Al momento dell'acquisto non ci si fa caso e nemmeno ci si premura di controllare visivamente se ciò che finisce nel carrello è a posto. A chi non è mai capitato? Come si nota dalla foto, la lampadina è chiaramente uscita dalla fabbrica con il filetto difettoso, schiacciato probabilmente in seguito ad una caduta in fabbrica o ad un problema del macchinario che sigilla l'attacco filettato al corpo. La lampadina in questione è una Osram da 21 Watt (100W equivalenti alle tradizionali ad incandescenza) e dichiarata equivalente per durata a 10 lampadine ad incandescenza programmate per funzionare 1000 ore cadauna. 
E' garantita 5 anni, ma in queste condizioni non risulta proprio utilizzabile, non si avvita al portalampada. Inutile ricordare che lo scontrino non è stato conservato e francamente non ci si ricorda nemmeno dove la si è acquistata.... pazienza, non vale nemmeno la pena di prendersela con la proverbiale disonestà dei commercianti. Quindi?? incassare il colpo e buttarla? Una soluzione ci sarebbe ma non è molto onesta. Si va ad aquistarne una di nuova, identica e si torna il giorno dopo con lo scontrino lamentando il difetto per farsela cambiare. Ma dato che io non sono come loro, penso di riparare, in fin dei conti si tratta "solo" di cambiare la ghiera filettata.
Il globo è di plastica ed ha unicamente una funzione estetica. Copre infatti la classica spirale ad incandescenza. Per toglierlo occorre far saltare la ghiera di fissaggio (ad incastro) tagliandola con un piccolo tronchesino infilato con l'aiuto di un cacciavite piatto. Penseremo poi alla fine come fissarlo.
I contatti elettrici sono fissati alla ghiera o con del rame ribattuto a pressione o con un punto di saldatura ad arco. La ghiera invece è fissata al corpo plastico, ribattuta a pressione.... per toglierla occorre "limare" la parte fissata al contatto, distruggendola per bene. Per trovare un metodo non distruttivo dovrò recuperare dalla discarica un certo numero di lampadine rotte e provare a trovare un metodo univoco per disassemblarle (anche se purtroppo ogni marca ha il proprio sistema). 
L'attacco filettato viene via facilmente facendo leva attorno alla parte finale, dove si notano delle fossette schiacciate verso la parte plastica. Se si è proceduto a liberare il contatto centrale (l'altro, in questa lampada, è semplicemente piegato sulla plastica verso la parte con le ribattiture) la ghiera filettata viene via senza problemi. 

In questo modello di lampadina però, uno dei due fili di contatto è sigillato dentro un tubicino di vetro (purtroppo l'ho rotto vanificando l'operazione), mentre la parte "al neon" è a sè stante in quanto si appoggia su dei contatti a molla (è nuova, magari la uso rifacendo l'elettronica). 
Visto come è fatta all'interno (ne sto studiando altre), un riassemblaggio per riportare "a nuovo" la lampada è quasi impossibile.  L'apertura senza rompere o "distruggere" qualcosa è praticamente a probailità zero. 
E' un vero peccato. Spesso queste lampadine si quastano molto prima della durata dichiarata, a volte per un componente di pochi centesimi e si è costretti a buttare tutto il pezzo. Sarebbe interessante poter sostituire solo la parte ad incandescenza o solo la parte elettronica per farle durare di più, ma niente... i  maledetti produttori approfittatori hanno ben pensato all'usa e getta, tanto i profitti sono loro ed i danni conseguenti li paghiamo noi... furbi vero? O siamo troppo stupidi noi? Intanto metto qui le foto a futura memoria. Alla prossima.

P.S. il gomito è piegato e la pera è matura. Ripeto: il gomito è piegato e la pera è matura.

sabato 19 gennaio 2013

Synaptic T1002D touch pad

Dopo l'analisi del fratello maggiore, il T1004, ecco il piccino T1002D per il quale non ho ancora trovato la piedinatura dei segnali. Ne ho più di uno ed appena ho un pò di tempo libero di sicuro proverò a sperimentare qualche aplicazione pratica.
Il chip dedicato (ASIC) della Synaptic è siglato 

  • T1002 D0096 

mentre una serigrafia nel Cs riporta 

  • Model TM1002M1 - 
  • PWB920-000135 REV.C.  
  • FE101C 

Un eichetta cartacea, stavolta rimasta integra nello smontaggio riporta le seguenti sigle - 

  • TM1202MPU-156-4 
  • IB749NO84-034-04A

il T1002 funziona accoppiato ad un processore, il noto PIC 16C58A-04/S0 della Microchip... non dovrebbe essere difficile quindi decodificare i segnali e capire come funziona il touchpad (sempre sul noto protocollo PS/2. Il valore di mercato di questo componente si aggira attorno ai 10 € a cui vanno aggiunti eventuali costi di manodopera in quanto per sostituirlo occorre ridurre il portatile che li alloggia ai minimi termini. 
Ok, anche questo nel contenitore delle cose da fare, che oggi purtroppo ho delle priorità per le quali sto cercando una scusa futile per non assumermi le mie responsabilità. Alla prossima.

P.S. l'affare rosso va nel contenitore nero. Ripeto: l'affare rosso va nel contenitore nero. 



mercoledì 16 gennaio 2013

Rainbow candle (part.2)

A dicembre dell'anno scorso ho parlato della candela multicolore spiegando cos'è (con filmato accluso trovato in rete). Terminata la cera (e finalmente l'odioso odore di vaniglia sintetica) sono passato alle vie di fatto, troppo incuriosito da cosa ci fosse di "magico" all'interno. Niente di speciale ed una piccola delusione. Mi aspettavo un led multicolore con incorporata l'elettronica che accende alternativamente i tre colori. Delusione... un PCB con tre led monocolore, blu, verde e rosso, un chip affogato nel cemento, qualche resistenza di limitazione e due batterie a bottone al litio CR2032 (che trovano applicazione nel sostituire quella guasta dell'auricolare bluetooth in attesa). Assieme allo stoppino della candela, esce un tubicino di plastica che convoglia la luce della fiamma su una fotocellula, la quale attiva il misterioso processore dedicato ad accendere alternativamente i tre led tramite un segnale PWM che ne fa aumentare e diminuire la luminosità gradualmente. La fotocellula è protetta da un tubicino di plastica nera ed è recuperabile assieme ai tre led, alle due batterie ed al bicchiere satinato. 
Il PCB, per mio promemoria, riporta le seguenti sigle: JX002-E ROHS HQ-Aur-03 1112208 (ROHS è solo il richiamo alla direttiva lead-free)
Non ho ancora trovato il modo di togliere la protezione dei chip affogati in quella che sembra una resina epossidica, dura e resistente ai normali solventi, anche se non credo sia utile scoprire il tipo di chip, facilmente sostituibile con un PIC a 4 bit
Resta la delusione circa l'inutilità del recupero. Mi serviva un led multicolore e mi ritrovo con un circuito inutile, buono solo per qualche nuova applicazione che si attivi con la luce e non con il buio... soldi buttati, l'avevo messo in preventivo. Risolverò il problema della riparazione dell'albero di natale USB, recuperando il led multicolore di un mouse usb dismesso (per l'anno prossimo ovviamente). Dimenticavo...quando vi prende l'impulso di comperare qualsiasi cosa, occorre riflettere sulle REALI motivazioni che ci spingono a farlo. L'idea di un ambiente profumato con un bicchiere geek è un pò debole ma l'idea di buttare soldi un ottimo deterrente. Alla prossima. 

P.S. Ottobre rosso è in stand-by. Ripeto: Ottobre rosso è in stand-by.

domenica 13 gennaio 2013

Synaptic T1004 touch pad

Nel proseguire l'opera di rottamazione dell'hardware obsoleto (mi viene da piangere), mi diletto nell'allenarmi a smontare cose e studiarne il funzionamento. Da un vecchio Apple Powerbook Mac G3 stavolta mi incuriosisce il touch pad. Mi hanno sempre affascinato i touchpad e sto pensando di riutilizzarli. Per me non sono dei mouse ma dei trasduttori di contatto e pressione. Non molti sanno che nei registri di questi trasduttori c'è l'informazione che indica la quantità di pressione usata nell'utilizzo o l'indicazione che informa se si sta usando un dito piccolo o grande, il palmo della mano o una penna. Interessante. In rete si trovano molte applicazioni di questi trasduttori, dall'usarli come semplici mouse (basta collegare i fili dato che al loro interno c'è un chip ASIC specifico che traduce i segnali nel protocollo PS/2 ed in commercio si trovano adattatori PS/2 - USB), al dimming di un led tramite un arduino o un raspberry PI. Le applicazioni possono essere le più disparate, ovunque si voglia comandare qualcosa con il tocco tramite un pò di hardware e del software, come ad esempio:

  • aprire una porta con un "doppio click" e chiuderla a chiave con tre o più. . 
  • accendere una lampadina di una stanza e variarne la luminosità (o il colore)
  • muovere una telecamera di sorveglianza (pan e tilt su 2 assi) più lo zoom a due dita come nei tablet
  • pilotare un rover a distanza per esplorare gli ambienti "ostili"
  • ecc...

Il chip è l'arcinoto T1004 della Synaptic,  fratello minore del più evoluto T1006, per i quali sembra non esista il datasheet ma solo il lavoro di qualche intrepido hacker buono dotato di pazienza. La cosa che lascia dubbi sono i quesiti dei meno esperti ai quali si rammenta sempre di usare cautela e qualsiasi cosa fatta è a proprio rischio e pericolo. Il chip riporta delle sigle diverse che non dipendono dal modello di computer su cui sono montati. Dopo la sigla T1004 compare un numero a 4 cifre e sotto un altro, alfanumerico (es. 0351 FHGC1). Quest'ultimi due sono sigle del produttore che con molta probabilità indicano il lotto e la data di produzione. Nel nostro caso la sigla è T1004 0026 E4X46 che andrebbe accompagnata da un altra sigla che indica la famiglia dell'hardware nel suo insieme, scitta su un etichetta che nel mio caso è rimasta incollata su una protezione di plastica nella parte stampata e non risulta leggibile (qualcosa tipo TM41PUD ecc.ecc...). Per contare il numero del piedino del chip, basta identificare la tacca nel corpo plastico che indica il piedino numero 1 e contare i successivi procedendo in senso antiorario. Per trovare la corrispondenza con il connettore, si usa un tester e si "suonano" i collegamenti. Come si può notare, la piste che escono da molti piedini del chip passano per dei "test point" numerati (contatti che il produttore usa per testare il funzionamento del pezzo in produzione). Se non si riesce a saldare dei fili sul connettore a pettine ci si può attaccare direttamente sulle piazzole dorate (sarà brutto ed antiestetico ma è più facile e funziona uguale perfettamente. 
Nella foto ho indicato i piedini del chip con i segnali che servono. Da qui in poi l'unico limite è la fantasia. Alla prossima.

P.S. la canna fumaria è sporca. ripeto: la canna fumaria è sporca. 

sabato 30 giugno 2012

Honeywell VK4105C autopsy

Ieri è venuto l'idraulico che, dopo vari armeggiamenti e riti sciamanici su una caldaia che perdeva acqua ed andava in blocco, termina il lavoro con un pezzo in mano, imputato del malfunzionamento. Un elettrovalvola del gas... cosa c'entri con la perdita d'acqua dio solo lo sa. La sostituzione è "gratis" in attesa che venga a breve installata la caldaia nuova, elettrica stavolta, che sicuramente con quello che ci guadagna non si sta certo a formalizzare per il lavoro visto che poi il ricambio se lo porta via assieme ai preziosi tubi di rame della caldaia vecchia e di tutti i ricambi usati ancora funzionanti. Mi faccio consegnare il pezzo "guasto", per mera curiosità ovviamente, mica per sfiducia ovviamente. Voglio capire e vedere cosa c'è dentro. Si tratta di un elettrovalvola per gas marca Honeywell  VK4105C con doppio solenoide a 220V (costo stimato dai 150 ai 200 euro!).
L'apertura è facilitata dalla presenza di viti Torx. L'interno non svela poi chissà quali sorprese. Un solenoide (quello più grosso) aziona un pistone a molla che apre o chiude il condotto di ingresso, su cui si trova una retina metallica per trattenere eventuali corpi estranei. Il secondo solenoide è la valvola di sicurezza comandata dalla centralina ad intervenire in caso di malfunzionamenti.  Il gas in entrata passa poi attraverso dei condotti ed attraverso delle membrane e delle guarnizioni di regolazione della pressione (tramite delle viti) fluisce verso l'uscita. Niente di particolarmente complicato ma se non c'è elettronica mi diverto poco. All'apparenza tutto sembra a posto e la sostituzione sembra più una scusa per vendere una nuova caldaia e durante la sostituzione imbonire commercialmente la cliente (un anziana signora che a conti fatti risparmia a prenderne una nuova che mantenere per anni questi scienziati dell'idraulica). 
L'unica parte delicata sembrerebbe essere la membrana di gomma ma all'ispezione è risultata perfetta e priva di segni di usura o rottura. Forse, spezzo una lancia in favore del tecnico, il solenoide presenta dei problemi di contatto a caldo per cui se lo si prova a freddo sembra funzionare. E vabbè. Ieri c'è stato l'aumento del gas in misura molto maggiore dell'aumento dell'elettricità e la nuova caldaia elettrica forse permetterà un risparmio maggiore. L'unico cruccio è il carico. Tra frigoriferi e congelatori, server, condizionatori, ventilatori, stufette elettriche per i vani isolati, lampadine varie ed elettrodomestici... mi sa che 3Kw non basteranno ma di chiedere l'aumento all'enel della potenza disponibile giammai.  Piuttosto rinuncio al congelatore e sfrutto la cantina per tenere al fresco la roba che non ha bisogno di temperature tipiche del frigo. Ragionandoci poi un pò mi sono chiesto: d'inverno che senso ha un frigorifero che posto in una stanza a 18-20 gradi raffredda l'aria calda quando la temperatura esterna è sicuramente inferiore o prossima allo zero? Mi sembra una tonteria, una sciocchezza e sicuramente uno spreco. Riscaldare la cucina e tenerci un elettrodomestico che raffredda l'aria calda quando fuori fa freddo... pensiamoci... siamo proprio dei deficienti. E' un pò come riscaldare l'acqua fredda per la lavatrice quando fuori ci sono 40 gradi o usare l'acqua potabile per lo sciacquone del WC. Geniale no? Alla prossima.

P.S. la marmellata è pronta ed i vasetti sterilizzati. Ripeto: la marmellata è pronta ed i vasetti sterilizzati.

mercoledì 29 febbraio 2012

Cartomizer 510 (autopsy & rebuild)

Nel post precedente abbiamo visto la batteria per le e-cig con attacco 510. Ora tocca al cartomizer, quello che fra tutti i sistemi visti costa meno e rende di più in termini di vapore e resa aromatica. Il principio di funzionamento è sempre lo stesso, uguale a quelli visti della serie M40x ma più capiente, quasi il doppio. Un tubo metallico contiene il supporto della resistenza, formato da una scodellina ceramica, sormontata da un tappo di ricarica in silicone trasparente, chiuso sulla sommità dal tappo di aspirazione bianco. La scodellina è montata su un supporto plastico nero che si infila su un tubicino che va a terminare sull'attacco filettato. Un o-ring al silicone assicura la tenuta stagna del liquido per impedirne la fuoriuscita lato batteria. Lo smontaggio si esegue con un attacco per la batteria smontato ed una pinza serrata sul tubo metallico. Si sforza senza premere troppo (altrimenti il tubo si deforma) e si sfila il supporto interno che può uscire lasciando all'interno scodellina e tappo in silicone (ovviamente si strappano i fili ma è meglio così, vedremo poi il perchè). Per far uscire scodella e tappo in silicone basta entrare con un perno della lunghezza adeguata e spingere delicatamente verso il percorso più breve. I componenti disassemblati li si possono esaminare nelle foto. Questo in analisi, è un cartomizer morto dalla nascita. Non so perchè ma, da nuovo appena caricato, non produceva vapore e la resistenza misurata era 10 volte quella nominale. Alimentato con un paio di batterie cariche da 3,7 volts ha resistito (ovviamente) per 4 o 5 tiri, poi è "scoppiato", resistenza fusa nel punto di maggior calore. Occasione ghiotta per un esperimento. A vedere i pezzi così smontati (e puliti che sono nuovi praticamente mai usati), viene voglia di ricostruire la resistenza e sfruttare il wick nuovo nuovo (che il fornitore non ce l'ha, lo deve riordinare e non appena arriva ne compro un centinaio di metri). Il filo per la resistenza ce l'ho già, lo si trova nei negozi on-line di e-cig ma mi sa che procederò con degli esperimenti per trovare qualcosa di simile facilmente reperibile in casa...magari qualche filo di rame di qualche motorino per i lettori CD. Per il wick mi sa che tenterò alcuni esperimenti con altri materiali (ci devo ancora pensare visto che avrei altri cartomizer da rigenerare e ricostruire)...vorrei provare con il filo in fibra di vetro ma non mi sembra che quello rinvenuto lo sia, sembra più cotone o fibra sintetica poco resistente al calore. Bene, gli ingredienti per ora ci sono. Basta solo trovare la lunghezza ottimale del filo per produrre la giusta resistenza e stagnare le due estremità con l'accortezza di far passare uno dei due fili nel foro presente nella scodellina e collegarlo all'asta di supporto. L'altro capo va portato nella ghiera filettata....sarà un impresa credo che il filo è sottilissimo e per farlo stare al suo posto dovrò inventarmi qualcosa che non mi faccia perdere troppo tempo. Il tutto va poi infilato nel tubicino (che avremo recuperato integro nello smontaggio) e tutto dovrebbe tornare come nuovo... così evito di dover ordinare due scatoline alla volta, visto che i negozi on-line di e-cig hanno dei seri problemi di approvvigionamento del loro magazzino.
Credo sia per vari motivi: evitare scorte eccessive in giacenza anche se le scorte sembrano finire nel giro di pochissimi giorni, difficoltà ad anticipare le somme per gli ordini (ed i guadagni vanno tutti in spese??), la dogana che per grossi quantitativi sembra fermi i pacchi indefinitamente ed altri problemi minori, tipo la lentezza dei cinesi che saranno anche miliardi ma a lavorare bene nemmeno a pensarci. Aggiornerò il post o ne farò uno nuovo per riportare i dati tecnici di rigenerazione. Risparmio spinto al massimo e sciopero della spesa mode: on. Alla prossima. 

P.S. the job is over. Ripeto: the job is over. 

EGO 510 Battery (autopsia)

Forse ne faccio un uso troppo intenso e riesco a "romperle". La batteria in corso di autopsia non alimenta più anche se apparentemente il processore al suo interno fa il suo dovere, ammesso che si riesca a capire il significato di due lampeggi lunghi e tre brevi emessi al collegamento dell'alimentazione. L'apertura non è per niente difficoltosa, basta usare la tecnica della pinza a dondolo già descritta nelle autopsie precedenti. L'interno rivela la caratteristiche costruttive che si rivelano molto più curate di quelle usate nella serie 40x. Con la soluzione adottata è impossibile che il liquido penetri all'interno dell'involucro che appare ben sigillato. 
Dentro possiamo scorgere il pulsante, la batteria di alimentazione ad "alta" capacità, la schedina elettronica di regolazione dei tempi di alimentazione, di scarica (cut-off alla soglia di scarica) e dello spegnimento di sicurezza attivato e disattivato con 5 rapide pressioni del pulsante. Il processore, come in molti casi riscontrati nell'elettronica visionata in altri modelli, non riporta alcuna sigla per cui o si procede con tirare ad indovinare il tipo (molto presumibilmente un PIC della Microchip con oscillatore interno) o si tenta di sniffare i piedini per cercare di capire come funziona dopo aver tracciato un circuito di massima. Dalle foto possiamo notare visivamente il guasto: il componente  smd siglato A1BH in alto a destra della seconda foto (accanto a quello siglato C633) presenta un rigonfiamento e delle tracce di annerimento attorno....bruciato, facilmente sostituibile (se si trova un componente equivalente) anche se rimontare la batteria la vedo un pò dura. 
Questa l'ho voluta fare a pezzi per due motivi: il primo è l'innata curiosità di capire come è fatta e vedere all'interno i componenti (c'è sempre qualcosa da imparare) e la seconda è che mi serve l'attacco filettato per procedere alla costruzione di un burn device per rigenerare i cartomizer, la loro composizione la vedremo nei prossimi post. La batteria è ancora sana e può essere riutilizzata per qualche esperimento a basso ingombro ove sia necessaria una bassa alimentazione (3.6V) per bassi consumi ottimizzati per una lunga durata...microspie? Anche i due led blu possono trovare un riutilizzo, anche se smontarli dalla loro sede non sarà per niente facile senza danneggiarli. Ok, anche questa curiosità è soddisfatta e va a completare una giornata di lavoro con un bonifico ritardatario avvenuto dopo le minacce di esecuzione giudiziaria nei confronti della banca cui ero creditore... sò soddisfazioni :-) Alla prossima.

P.S. il cesto è pieno e le mele sono rosse. Ripeto: il cesto è pieno e le mele sono rosse.

domenica 8 gennaio 2012

Margherita 2000 AL89X (parte 3 - Door lock switch)

In un momento di pausa, giusto per rilassarmi, ho deciso finalmente di smontare e capirne il funzionamento dell'interruttore blocca porta della lavatrice che mi ha fatto penare non poco. Era guasto, di questo ne sono certo, ma non capivo perchè. Lo schema riporta il simbolo di una bobina, quasi fosse un relè ma come esserne certi? Così, dopo notti insonni per immaginarne il funzionamento, decido di farlo a pezzi, complice anche il fatto che il contenitore sembra assemblato ad incastro, e studiarne il funzionamento. Stiamo parlando dell'interruttore blocca porta, quello che una vota azionato apre o chiude un circuito che segnala alla centralina della lavatrice il consenso per avviarsi. Se quello non va, la lavatrice non parte. E' il componente da modificare opportunamente per verificare cosa succede buttando nel cestello un mattone durante la centrifuga a pieni giri... :-) sicuramente una curiosità da soddisfare. 
OK. per aprirlo senza romperlo, occorre sollevare contemporaneamente le lamelle nere di aggancio al corpo color mattone. Per fare questo basta inserire dei foglietti di plastica flessibile, dopo aver fatto leva con un cacciavite, che le tengono sollevate tutte assieme allo stesso tempo. Per la plastica semirigida da inserire fra dente del corpo interruttore e lamella del coperchio, basta tagliarla da uno di quei maledettissimi blister trasparenti con cui ormai confezionano qualsiasi oggetto che non necessita di particolari protezioni. Vanno bene anche i blister semirigidi delle medicine o le scatole trasparenti delle camicie. Una volta inserite e sollevate le lamelle, si fa poi leva con un cacciavite e la parte color mattone esce senza difficoltà. L'elemento così ottenuto è anch'esso chiuso da un coperchio a lamelle che agganciano ai dentini del corpo di supporto. Per questi è sufficiente sollevarli con l'unghia e delicatamente aprire la scatoletta....difficoltà zero, altrimenti si ripete il metodo presedente. 
All'interno si nota una lamella di ottone (l'interruttore a molla) ed una vite che lo tiene in sede. Alla lamella dell'interruttore (l'estremità lontana dalla vite di fissaggio) è posto un piccolo perno di plastica che, una volta azionato l'interruttore, impedisce ad un meccanismo in teflon a scorrimento presente nel supporto nero di scorrere e permettere l'apertura dell'oblò della lavatrice. Occorre infatti aspettare che la parte meccanica dell'interruttore torni al suo posto dopo un tempo preimpostato dal produttore. Ma come fa l'interruttore ad azionarsi e ritardare l'apertura?. Lo si può capire togliendo la vite e sollevando il terminale fast-on centrale, solidale con il gruppo metallico in movimento (l'interruttore vero e proprio). Si fa leva sul fast-on e si scopre cosa c'è sotto. Si nota una pastiglia grigia, posta sopra due lamelle metalliche. La lamella posta sul fondo presenta un foro centrale che si va ad appoggiare su una vite azionabile dall'esterno. La vite è quella di regolazione del tempo di intervento (chiusura/apertura) dell'interruttore. Le lamelle sono attraversate dalla corrente (alimentazione 230Volts) e, scaldando la pastiglietta, trasferiscono il calore alla lamella in ottone che porta i contatti. La lamella è fatta in modo da scattare appena la dilatazione termica supera una soglia, per poi tornare al suo posto appena l'elemento riscaldante si raffredda. Lo scatto apre o chiude meccanicamente i contatti che si trovano in prossimità del perno plastico che blocca tutto il meccanismo. 
Se si guarda bene l'ultima foto, si nota il residuo di una specie di sfiammata, segno evidente che qualcosa si è vaporizzato rendendo inutilizzabile tutto il pezzo. 
OK. di riparare nemmeno a provarci, a meno di non corrompere qualcuno nel reparto produzione e farsi spedire la pastiglia riscaldante...quanto potrà mai valere? di sicuro meno dei 25 euro chiesti dal rivenditore e molto meno dei 60 euro chiesti dal maledetto idraulico fulminatore di centraline...bastardo. 
Con quello che ci resta in mano, recuperiamo qualche grammo di ottone e rame, pochi grammi di plastica da riciclare e una curiosità soddisfatta che come sappiamo non ha prezzo...alla prossima.

P.S. il ginepro cresce ad oriente e le foglie sono gialle. Ripeto: il ginepro cresce ad oriente e le foglie sono gialle.

lunedì 23 maggio 2011

Kod*k ZD710 battery pack (parte 1)

Segue dalla parte 0. In attesa che chiami l'avvocato con cui avevo appuntamento telefonico per una CT di parte (una rogna che si trascina da 5 anni per colpa di un CTU incompetente), riprendo a smanettare con la realizzazione del pacco batterie aggiuntive da collegare alla fotocamera digitale richiamata in oggetto. Non ho un progetto preciso e procedo con quello che mi capita in mano. Il Falegname mi ha dato una mano per realizzare i due fori passanti al blocco di legno, realizzato incollando assieme degli scarti in multistrato, resi fragili purtroppo da una blanda formazione di muffe dovute ad un pò di umidità (sto procedendo con 'essiccazione e la vernice farà il resto). Oggi devo fare in modo di alloggiare le batterie all'interno e realizzare i collegamenti. Ho preso due lamierini di ottone per chiudere le due estremità. Alcune viti torx e dei forellini facili da realizzare, visto che il materiale è tenero, chiudono per bene grazie anche alla flessibilità dell'ottone. Per i collegamenti... dal box delle molle, pazientemente messe da parte in anni di disassemblaggio selvaggio, ne scelgo 4 di adatte. Le fisso su dei lamierini, tagliati e sagomati con una forbice, con un pò di stagno (che non si salda alla molla ma in qualche maniera si riesce a fissare il tutto). Ora ho il pacco completo di alimentazione, misurata a 4 volts e qualcosa. Un pò troppo credo per la fotocamera che andrebbe alimentata a 3 volts. Non mi fido di provare a vedere se regge un volts in più...forse sì, forse no...preferisco non rischiare. Per cui come fare?? So che nei lettori CD ci sono dei regolatori di tensione SMT a 3,3 volts (5 volts in input). Devo solo individuarli, dissaldarli e provare a verificare se si può riutilizzarli, non senza prima provare su una millefori. 
Manca ancora il sistema di fissaggio a vite. Per quello dovrò ingegnarmi un pò, anche se ho già qualcosa in mente. L'unica rogna è che in ferramenta non trovo le viti con la filettatura standard per le fotocamere. Mi spiacerebbe sacrificare un cavalletto cinese da pochi euro ma a mali estremi... farò così. Per rifinire il tutto?? pensavo ad una guaina termorestringente, di quelle grandi che si trovano per i pacchi batterie. O al limite un pò di vernice nera dovrebbe dare un aspetto sicuramente migliore della schifezza come la si vede adesso. L'importante è che funzioni. Alla prossima.

P.S. Il pacco nero è chiuso. Ripeto: Il pacco nero è chiuso.

venerdì 1 aprile 2011

CCD sensore di scansione a linee (parte 1)

Allora, che cosa posso fare con le parti di un vecchio scanner? Non ho ancora deciso ma dicono che l'ispirazione può venire dalle idee più strane. La cosa certa è che devo trovare una scusa per non fare quello che dovrei ma non vorrei fare e che devo consegnare tra un pò. Così, dato che tempo fa ho sezionato delle stampanti multifunzione (HP mod V40 credo di ricordare), mi salta l'ideona di riprendere i sensori per la scansione delle immagini e capire come sono fatti all'interno. Le stampanti multifunzione sono una piccola miniera di componenti che si possono recuperare e riutilizzare...motori, sensori ottici, lampade CCFL con inverter (per le più datate) e una moltitudine di parti che con un pò di fantasia possono ancora svolgere i loro compiti senza subire l'ingloriosa sorte della rottamazione, che tanto ingrassa i profeti dell'usa e getta.  Nelle stampanti che ho sezionato, la lampada a CCFL è sostituita da una striscia luminosa apparentemente bianca ma in realtà illuminata da tre micro led rosso, blu e verde (RGB). Il tutto racchiuso dentro un contenitore a parallelepipedo che contiene anche il sensore CCD lineare vero e proprio (questo modulo è chiamato Contact Image Sensor o CIS module.). E' come una fotocamera dove però il chip invece che rettangolare è lineare. La messa a fuoco è già regolata meccanicamente all'interno, così si evitano pesanti ottiche, specchi, regolazioni e altri componenti costosi e delicati. Quello che analizzo qui è anche a colori, il che mi complicherà la vita non poco,  anche se trovo la sfida interessante e molto stimolante. La parte più dura è capire la piedinatura del connettore esterno...urge un autopsia completa, aiutata dalla disponibilità di una decina di sensori. Qualcuno lo posso anche rompere.
Credo di aver capito, leggendo alcune info sommarie usando "gògol" che un sensore a linea CCD  agisce come un registro a scorrimento analogico. 
Si alza un pin (SP) per dire al CCD di 'prendere  l'immagine', poi si avanza di un clock su un altro pin (CP). Ogni volta che il successivo impulso di clock arriva, il CCD invierà un valore analogico (Vout) che rappresenta il livello di luce che colpisce il pixel successivo. Poiché il CCD è un elemento dinamico, non è possibile abbassare il segnale di clock troppo presto e se si smette di leggere il frame, il dispositivo riparte da capo a leggere dall'inizio. Dovrebbe esserci anche un pin per regolare, con una tensione DC variabile, la sensibilità. Wow....devo assolutamente hackarlo.
Non ho mai interfacciato un microcontrollore con sensori di luce e sto pensando che sarebbe una buona scusa per rimandare di ottemperare ai miei doveri. La parte più dura è capire la corrispondenza dei pin nel pettine dove va infilato il cavo piatto flessibile. Sono 12 contatti. sicuramente avremo 2 per l'alimentazione generale, forse 4 di alimentazione per i led di illuminazione (una massa led ed uno per ogni colore RGB)... ne restano 6. Posso desumere quindi gli altri segnali presenti nella maggioranza di CIS analizzati:
  • SP - Start pulse
  • CP - clock pulse
  • Vout - Segnale analogico in uscita
Ne restano tre (forse Vout è diviso per 4 sezioni del sensore fotosensibile come in certi CIS), per cui dovrò testare se c'è qualche massa in comune o sdoppiata. L'ideale, in questi casi e per le misure, sarebbe testare con un analizzatore logico di stati il sensore durante il suo funzionamento, ma purtroppo non posso rimettere assieme l'hardware originale, per cui le cose si complicano ancora di più. Forse, potrei avere un idea seguendo le piste del sensore messo a nudo (vedi foto). All'interno si nota un chip scoperchiato (nudo, probabilmente  lo shift register / video amplificatore del fotosensore o un convertitore AD, impossibile saperlo) da cui partono dei fili d'oro ed una linea iridescente su cui sono collegati, a gruppi intervallati, sei microscopici collegamenti (sempre in oro).  Un altra difficoltà è sapere quanti impulsi di clock per leggere una linea? a quale frequenza deve lavorare il clock? la lettura si deve intendere per singolo colore per tre passaggi o viene inviata la lettura RGB intervallata per ogni punto? Ed a che risoluzione lavora il sensore????? Probabilmente occorre fare tre letture per linea illuminata alternativamente con un led alla volta e far decidere al firmware la sequenza dei colori. Il software di post processing farà il resto componendo l'immagine a colori sovrapponendone tre.
Visto che ne ho un pò, potrei tentare anche di procedere con il metodo "o la va o si spacca". 
Fornisco alcuni dati tecnici, giusto per documentazione, riportando qui le sigle sul circuito:  nella parte esterna CS600B e meno visibile Toshiba 218CS600B 3291193 Taiwan. Sempre nella parte esterna verniciata di nero ci sono in prossimità del connettore 12 piazzole dorate, sicuramente usate come test point nei macchinari che testano il prodotto finito. Nella parte interna accessibile solo dopo lo smontaggio completo: CIPS218-CS600B REV:A1 2-10-44R-041-A1
All'estremità, 4 punti di contatto, 3 per i led RGB e 1 per l'alimentazione positiva (configurazione ad anodo comune) che dovrebbe attestarsi sui  3.3 - 5 volts. Per ora basta così, che provo a documentarmi meglio ed aggiornare periodicamente questo post. Quasi dimenticavo. Se hai il pinout di questo componente o il datasheet completo...pubblicalo, per cortesia, l'ambiente e l'umanità te ne sarà grata. Grazie.  Alla prossima. 

P.S. I coleotteri neri sono in volo. Ripeto: I coleotteri neri sono in volo.

sabato 26 marzo 2011

WT7510 Voltage monitor

Tra i vari circuiti disassemblati dalle apparecchiature elettroniche che gli "unani" ignoranti ed irresponsabili provvedono a buttare senza rendersi conto dei danni devastanti all'economia, alla società ed all'ambiente, ogni tanto salta fuori qualcosa di interessante che può trovare un ri-utilizzo nelle applicazioni sperimentali. Stavolta tocca ad un circuito integrato siglato WT7510 presente in una schedina recuperata da un alimentatore switching da PC (sigle FSP300-60PFN M-BOARD P/N 3BS0010714).
Dal datasheet, che riporta protection circuits, power good output (PGO), fault protection latch (FPL_N) CONTROL "from unknow" ma dalla sigla il produttore è Weltrend,  sono riuscito a recuperare le informazioni di funzionamento e le specifiche che mi possono dare indicazioni su come utilizzarlo. Ecco una breve descrizione:
The WT7510 provides protection circuits, power good output (PGO), fault protection latch (FPL_N), and a protection detector function (PDON_N) control. It can minimize external components of switching power supply systems in personal computer. The Over Voltage Detector (OVD) monitors 3.3V, 5V, 12V input voltage level. The Under Voltage Detector (UVD) monitors 3.3V, 5V input voltage level. When OVD or UVD detect the fault voltage level, the FPL_N is latched HIGH and PGO go low. The latch can be reset by PDON_N goo HIGH. There is 2.4 ms delay time for PDON_N turn off FPL_N. When OVD and UVD detect the right voltage level, the power good output (PGO) will be issue.

Quindi, in due parole, la possibilità di avere un segnale che mi avvisa se una tensione di riferimento va oltre o sotto delle soglie... mi viene in mente un applicazione per dei pannelli solari. Se la tensione del pannello va sotto un certo valore, allora è il momento di intervenire. Magari si sta avvicinando un temporale e, per evitare danni da grandine, si interviene per orientarli in posizione di sicurezza o per azionare una copertura. Oppure, si possono monitorare delle batterie e far intervenire un generatore di emergenza quando iniziano a scaricarsi troppo... Quasi dimenticavo. Nello stesso circuito è presente anche un KA358, doppio amplificatore operazionale (guadagno sino a 100dB) alimentabile da 3 16 volts...perfetto.
Di applicazioni ce n'è a iosa ed abbastanza per aguzzare l'ingegno e divertirsi come sempre, basta solo sperimentare e provare...la ricerca continua. Alla prossima. 

P.S. Troppo sole? vi accompagno. Ripeto: Troppo sole? vi accompagno.

sabato 19 marzo 2011

La luna gigante

Mi devo proprio decidere a montare una webcam o una fotocamera al mio telescopio amatoriale. Come prevedibile, nè con una videocamera nè con una fotocamera si riesce a fare una foto decente al nostro satellite. Oggi infatti era il momento di luna piena in cui si trovava più vicino alla terra e volevo documentare il fenomeno, così per sfizio. Ho un paio di telescopi amatoriali, in attesa di modifiche. Vorrei infatti motorizzarne i movimenti e creare un sistema di messa a fuoco anch'esso motorizzato. Ho visto qualcosa di simile già fatto su un telescopio semiprofessionale in grado di riprendere scene a svariati kilometri di distanza (molti kilometri, davvero tanti). Mi accontenterei di meno ma devo predisporre una webcam di buona qualità ed adattarla con dei tubi per farla entrare al posto dell'oculare. Per muoverla avanti ed indietro basterebbe un piccolo motore passo-passo (già sperimentato in passato)...fattibile, attrezzatura meccanica di laboratorio permettendo .
Ora, per poter rifare una foto decente al fenomeno della luna gigante dovrò aspettare 19 anni. Pazienza. Alla prossima.

P.S. la marmellata è pronta ed il pane tagliato. Ripeto: la marmellata è pronta ed il pane tagliato.

domenica 6 marzo 2011

Autopsia batteria Nokia BL-5C (li-ion e materiali)

In attesa di aprire il pacco batteria per condurre gli esperimenti col litio, mi documento un pò sui materiali comunemente usati all'interno, anche per evitare sorprese durante l'apertura ed il disassemblaggio.
Da wikipedia: Gli accumulatori al litio, ...sono costituiti da un anodo in strati di grafite dove sono "immersi" atomi di litio, mentre il catodo è un sale di litio (solitamente LiMn2O4) e l'elettrolita è una soluzione di perclorato di litio LiClO4 in etilencarbonato C2H4CO3, un solvente organico.
Questa batteria utilizza soluzioni non acquose di solventi a elevata permittività elettrica come il carbonato di propilene, carbonato di etilene, dimetilsolfossido, ecc., nei quali vengono disciolti sali di litio (LiPF6, LiBF4, LiClO4 e LiAsF6) e successivamente aggiunti altri composti organici (tetraidrofurano, dietilcarbonato ecc.) per incrementare la conducibilità ionica delle soluzioni. All'anodo abbiamo degli atomi di litio “immersi” in strati di grafite, il catodo è un suo sale (solitamente LiMn2O4) e l'elettrolita è una soluzione di perclorato di litio (LiClO4) in etilencarbonato (C2H4CO3), un solvente organico.
Bene, grazie ma di chimica ci capisco veramente poco o niente ma non importa, se non per capire che è pericoloso aprirle... il che mi spinge a farlo ovviamente :-)
Giusto per capire un pò meglio, il dimetilsolfossido viene usato come agente per la rimozione delle vernici da legno o metalli (sverniciante), il tetraidrofurano a temperatura ambiente è un liquido incolore dallo sgradevole odore caratteristico, abbastanza volatile, facilmente infiammabile, il litio è un metallo soffice color argento, che si ossida rapidamente a contatto con l'aria o l'acqua (non va toccato con le dita, ancor meno se umide)... in sintesi, c'è davvero da farsi male. Alla prossima.

P.S. l'energia nucleare fa peggio. Ripeto: l'energia nucleare fa peggio.

Batterie alcaline (materiali)

Mi era venuto l'impulso di aprire una batteria alcalina per l'autopsia ma ho desistito. Parlo delle D*racell Plus scariche che accumulo prima di portarle negli appositi contenitori all'ecocentro. Abbiamo già visto gli esperimenti per la ricarica che sembra funzionare a metà (vedi post). Visto che non si ricaricano bene,  le ho pagate, sono di mia proprietà, pensavo di recuperare i materiali. Mi sono fatto un giro in rete (gùgol docet) per capire cosa contengono ed ho trovato la scheda di sicurezza del prodotto con tutte le raccomandazioni d'uso.
Le pile  alcaline MN1500 mod. LR6 formato AA da 1,5 volts (codice  nell'involucro metallico OE24CH 5LK110) contengono:
  • Biossido di manganese (MnO2) al 35-40%
  • Idrossido di potassio (KOH) al 5-10%
  • Zinco (Zn) al 10-25%
  • Grafite al 1-5%
Questo secondo le dichiarazioni del produttore che in calce alla scheda dichiara che non sono dannose per l'ambiente...sarà vero? Sommando però le percentuali dei materiali dichiarati nella composizione però, non si arriva al 100% per cui non si capisce cos'altro contengano di segreto. Dei possibili utilizzi alternativi di questi materiali, ce ne sono alcuni che mi hanno per ora convinto a lasciar perdere. Questo perchè occorrerebbero delle conoscenze di chimica che non ho, poi una lista di materiali e reagenti che non so nemmeno dove comprarli e terzo una pericolosità preoccupante che richiede attrezzzature di un certo rilievo.  In cantiere però ho messo in preventivo la possibilità di utilizzo del biossido di manganese per placcare il titanio da usare nelle celle a combustibile, alternativo al platino che costa troppo. Una fuel cell autocostruita? E' un progetto interessante che è in corso di sviluppo ma che purtroppo richiede ancora alcuni studi di ricerca, oltre a procedimenti ed all'uso di acidi altamente corrosivi e pericolosissimi. 
So inoltre che viene utilizzato per decolorare il vetro fuso. Fondere delle vecchie bottiglie verdi per produrre delle mattonelle "trasparenti" (grigio in verità) tipo quelle in vetrocemento che viene usato nelle pareti divisorie... è da un pò che ci sto pensando e la cantina è piena di materia prima che attende di essere riciclata in casa.
Forse lo zinco potrei usarlo col rame di recupero, tramite fonderia autocostruita, per produrre ottone. L'ho visto fare e non è una cattivissima idea per la produzione di maniglie o oggettistica varia. Una fornace per fonderia di piccole quantità di metallo la si può autocostruire con un bidone e del cemento refrattario. In rete ci sono già molti progetti che vengono usati per fondere l'alluminio degli hard disk e produrre così dei pezzi metallici usati nelle costruzioni.
L'idrossido di potassio (chiamato anche potassa caustica) mi ha convinto a lasciar perdere perchè è molto pericoloso da maneggiare e non ho voglia di contaminare il bunkerlab con sostanze velenose....magari in futuro se mi verrà voglia di rischiare o di fare esperimenti, ma per ora no. Alla prossima.

P.S. Date al calino ciò che è di alcalino. Ripeto: Date al calino ciò che è di alcalino.

sabato 5 marzo 2011

Autopsia batteria Nokia BL-5C

Una batteria di un cellulare che "resiste" in stand-by per 24 ore ma garantisce 30 secondi in conversazione, è una batteria che ha fatto più che egregiamente il suo dovere e che è stata sfruttata sin troppo per troppo tempo. E' venuto il momento di sostituirla con una nuova (sic!) ma anche l'occasione per aprirla e vedere com'è fatta al suo interno. Sto parlando della Batteria Nokia ricaricabile modello BL-5C capacità 1020mAh 3,7Volts LI-Ion (ioni di litio). Voglio provare l'esperimento del litio in acqua (osservare la reazione chimica esotermica) e per fare questo dovrò aprire l'involucro ai minimi termini (disassemblaggio estremo). Per iniziare, si toglie la pellicola esterna che riporta i dati tecnici, le raccomandazioni d'uso, il QR code  e l'ologramma che attesta l'originalità del prodotto.  L'ologramma è un foglietto trasparente (olografato) sovrapposto ad un etichetta riflettente che conferisce il tipico aspetto tridimensionale. Una volta tolto l'involucro incollato, si nota una sigla stampata nel corpo della batteria (P0530489 probabilmente la codifica del modello o l'anno luogo di produzione...boh), un frame di plastica che tiene assieme il corpo batteria con un minuscolo circuito elettronico, sorretto da una spugnetta che fa da "ammortizzatore", e due linguette metalliche per i poli positivo e negativo. Un terzo contatto esterno (fra i due estremi + e -) è il terminale "T" che dovrebbe fare capo al termistore NTC usato per il regolatore di carica. Il termistore è una resistenza variabile in funzione della temperatura. Il valore della resistenza viene monitorato dal regolatore di carica per evitare il surriscaldamento dell'elemento al litio sottoposto a ricarica. Questo per evitare il surriscaldamento con produzione di gas che in casi estremi possono incendiare o far esplodere la batteria....ricordate qualche episodio di cronaca??
Per ora procedo con l'esame del circuito che nel retro riporta la sigla Cn-3650.  Due integrati a tre terminali e cinque resistenze... il termistore non ho idea di quale e dove sia. Una lacca nera impedisce di ricostruire visivamente il circuito e la mancanza di sigle rende estremamente difficoltoso intuire il funzionamento dello stesso... magari googlando un pò si riesce a trovare qualche schema di principio, un datasheet o alla peggio, pazientemente, si gratta la vernice con dei micro abrasori e si cerca di seguire il percorso delle piste. Non mi è ancora chiaro se per la ricarica è sufficiente l'azione del circuito interno o se occorre prevedere un micro esterno (probabilmente all'interno del cellulare c'è sicuramente qualche regolatore DC/DC) per fornire i giusti valori di tensione / corrente necessari alle fasi di ricarica. Le batterie al litio infatti, pur rappresentando tutto sommato un ottima soluzione per la conservazione ed erogazione dell'energia, sono un pò "permalose" nella fase di carica che richiede, batteria per batteria, un preciso e predefinito profilo da rispettare per evitare la distruzione della stessa. La mancanza di sigle è un vero ostacolo, anche se il circuito è estremamente semplice.
Aggiornamento (wikipedia):
Una pila al Li-Ion singola non va mai scaricata sotto una certa tensione, per evitare danni irreversibili. Di conseguenza tutti i sistemi che utilizzano batterie al Li-Ion sono equipaggiati con un circuito che spegne il sistema quando la batteria viene scaricata sotto la soglia predefinita. Dovrebbe dunque essere impossibile scaricare la batteria "profondamente" in un sistema progettato per funzionare correttamente durante il normale uso. Questa è anche una delle ragioni per cui le pile al litio non vengono mai vendute da sole ai consumatori, ma solo come batterie finite progettate per adattarsi ad un sistema particolare.
Quando il circuito di monitoraggio della tensione è montato all'interno della batteria (la cosiddetta "batteria intelligente") anziché come equipaggiamento esterno, e consuma continuamente una piccola corrente dalla batteria anche quando non è in uso, la batteria non va a maggior ragione immagazzinata per lunghi periodi completamente scarica, per evitare danni permanenti.

Ora devo pensare a come aprire il pacco che contiene il litio... e' una scatoletta metallica apparentemente priva di giunture ed apparentemente affogata in resina solidificata. Sarà un impresa. Alla prossima. 

P.S. la quaglia è nel nido ed il fagiano ha fatto l'uovo. Ripeto: la quaglia è nel nido ed il fagiano ha fatto l'uovo.

mercoledì 13 ottobre 2010

Supporto macro per webcam

Ci sono delle occasioni in cui, per documentare qui le skifezze che realizzo, gli esperimenti e la ricerca fai da te, ho la necessità di eseguire delle macro di dettagli e particolari. Sporadicamente, senza troppo impegno, cerco in rete delle informazioni sul funzionamento delle lenti e delle tecniche di messa a fuoco di particolari ingranditi, giusto per capire se si può fare, se non è troppo complicato (oltre la mia portata limitata). In rete si possono trovare soluzioni per eseguire macro con i telefonini dotati di cam, per adattare gli obiettivi di macchine fotografiche o per la costruzione di obiettivi che prevedono però l'acquisto di materiale. L'acquisto è in contrasto con lo sciopero della spesa che ho proclamato e che testardamente rispetto sino a quando non verranno messe fuorilegge le multinazionali del profitto. Tocca arrangiarsi, spremere le meningi e trovare una soluzione "free". Mi è capitata per le mani una ventola USB, di quelle che si trovano solo nelle bancarelle dei cinesi, con le pale illuminate da led multicolori e con un piccolo altopralante incorporato che emette delle "melodie" orribili. Incredibile cosa si compra la gente d'oggi, l'oggetto più inutile della storia. Tolta la parte superiore, originariamente pensata per supportare un piccolo microfono da tavolo, ho recuperato lo stelo flessibile e la base di appoggio per infilare nella sommità una webcam da pochi euro, trovata d'occasione in un rimasuglio di magazzino di un negozio fallito che la vendeva a 35 euro! (e lo credo bene che è fallito...a vendere quelle cose a quei prezzi....chi mai se le comprerebbe?). Per fissare la cam, ho preso un tondino di plexyglass recuperato da un espositore da vetrina e l'ho forato da entrambi i lati con diametri "giusti" per lo stelo flessibile e per la cam, una sorta di adattatore. Un pò di colla fa il resto. La webcam, ha una ghiera frontale su cui è montata la lente di focalizzazione della luce sul sensore interno. La sua posizione è trarata (in fabbrica) per una distanza media necessaria a mettere a fuoco un soggetto che "chatta" davanti ad un PC. Ruotando la ghiera è possibile però avvicinare il punto focale e mettere a fuoco così oggetti posti sino a pochi centimetri o millimetri dalla lente, con risultati "accettabili" compatibilmente con la risoluzione della webcam stessa. Come principio funziona.  La base andrebbe un pò appesantita e pensavo di riempirla con dell'uranio impoverito da ordinare su ebai, visto che qualche testa di cazzo di militare ha detto che non fa male. Si sente, con l'utilizzo, la necessità di una messa a fuoco motorizzata (ma sì, esageriamo) e dell'illuminazione dell'oggetto da riprendere, specie quando la distanza oggetto/lente diventa minima. Non escludo in futuro di realizzare un illuminatore a led smd bianchi, magari alimentati dalla stessa usb e di predisporre un sistema di lenti (prese da un proiettore di diapositive già fatto a pezzi) per una ingrandimento del particolare da riprendere. La webcam, collegata ad un PC è fatta funzionare dal programma "cheese" per GNU-Linux, in modo da poter scattare foto o riprendere un filmato del particolare. Come macro-progetto, da realizzare in pochi minuti, al volo, senza particolari pretese, non è male. Sarà oggetto di studio e ricerca un sistema di interfacciamento a microprocessore per i moduli cam presi da cellulari dismessi...ci sarà da divertirsi parecchio. Stay tuned. Alla prossima. 

P.S. Immagina l'immagine immaginaria. Ripeto: Immagina l'immagine immaginaria.