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lunedì 13 giugno 2016

Avvitatore Black&Decker (autopsy)

Succede spesso che quando ti serve qualcosa, c'è sempre in agguato un altro qualcosa che tende ad impedirti di fare il primo qualcosa. Stamane, in una pausa di "lavoro", decido di sistemare un paio di gruppi di continuità. Il primo tutto ok, funziona. Il secondo no. Ne ho già parlato in un altro post ma francamente non avevo voglia di ripararlo... per sostituire la batteria (che in realtà poi scopro essere funzionante ed efficente), occorre smontarlo ai minimi termini, un lavoraccio ed una perdita di tempo inaccettabile. Le viti che lo tengono assieme, dopo un paio di volte che le si svita ed avvita, perdono il filetto e toglierle diventa quasi impossibile. Per questo motivo mi serviva un avvitatore.... ne ho tre. Il primo della Valex, un ciòttolino di plastica, ha la batteria morta ed è solo la pigrizia che fa da deterrente per la sostituzione. Il secondo, un Bosh, non funziona più. Ho speso più di trenta euro abbondanti per la batteria che, usata pochissimo, non tiene la carica. Di ri-sostituirla nemmeno per sogno, costa troppo. Il terzo è un Black&Decker, con le batterie AA, perso per 9.99 in non ricordo quale brico. Devo dire che è un ciottolino di emergenza, ma il fatto che abbia le batterie AA mi intrippa non poco. Provo ad accenderlo e.... morto pure lui! non ci posso credere. Risolvo con l'avvitatore a trapano, preso al lidl con venti euro e proseguo con il disassemblaggio del gruppo, deciso a terminarlo per sempre. Sei morto, non mi sei mai piaciuto. 
Alla fine mi resta il problema avvitatore di emergenza. Decido di aprire il B&D e capire cosa ci potrebbe mai essere che non va. 
Lo smontaggio è uno dei più banali che ci si possa aspettare. Si toglie una molletta metallica ad U posta in prossimità della testa nera. Attenzione che tutto l'attrezzo non ha nulla di fissato, è composto da parti che se non si sta attenti possono uscire fuori improvvisamente. Sotto alla testa, gli ingranaggi planetari (occhio anche a questi) che scorrono su una rondella ingrassata ed il pignone del motorino semplicemente infilato nel perno. 
Dalla parte del foro lasciato dal porta batteria si pratica un leggero sforzo per separare le due valve del guscio, tenute da due perni in acciaio affocati nella plastica (niente colla o termo saldature per fortuna). 
Il motorino è fissato nel gruppo dei pulsanti avanti/indietro (o avvita/svita se si preferisce) semplicemente dalle linguette dei suoi contatti ripiegate sulla plastica. Dentro, due lamine incastrate e piegate in modo da assicurare il contatto da un lato e l'altro e che porta corrente dalle batterie. Niente di complicato, niente elettronica, regolatori di velocità, led indicatori di carica.... Allora? cos'ha? Il motorino è a posto, basta provarlo con l'alimentatore. Il pacco batterie dà tensione ai suoi capi, i contatti sembrano funzionare (sono pulitissimi)... rimonto provvisoriamente mezzo guscio e tutto riprende a funzionare come prima... un falso contatto credo. Meglio così. 
Pregi e difetti: il pregio maggiore è la semplicità (ed economicità) oltre alla possibilità di inserire le batterie AA (che per casa ce ne sono sempre un pò di mezze scariche da riutilizzare), così si risparmia un pò, magari usando quelle ricaricabili visto che raccomandano di non farlo (disobbedire, sempre!). Il difetto... per ora nessuno a parte il contatto misterioso che va e viene e non si riesce a capire dove sia. Comunque... procedo con terminare la mia arma segreta per sterminare silenziosamente gli unani. Alla prossima.

P.S. la Mela gialla è bacata. Ripeto: la Mela gialla è bacata.

giovedì 9 giugno 2016

Processori in cornice

Sto procedendo con fare un pò di posto a nuovi progetti, scartando tutto ciò che ha poca probabilità di essere per ora riutilizzato. Nel fare ordine in laboratorio mi ritrovo per le mani una scatola piena di processori Intel ed AMD, spiace buttarli, messi da parte con l'idea di realizzare una scheda tipo *rduino ma con qualcosa di più potente e soprattutto di recupero. L'idea è buona ma non credo di avere le capacità di farlo, almeno sino ad ora e non è detto che prima o poi ci provi davvero....si, sono testardo più di un vecchio mulo. 
Con la scatola in mano, penso che vorrei metterli in cornice, per ricordo... e quale miglior cornice se non il telaio di un vecchio orologio da parete?? Frugo nel ciarpame... et voilà, ce l'ho! All'interno è già predisposto lo spazio per le lancette e l'altezza dei processori è appena sotto il limite consentito, il vetro frontale c'è.... Un cartone recuperato da un vecchio raccoglitore ad anelli, un foglio di carta nera che stava sugli scaffali da non ricordo quanto tempo (per lo sfondo), un gancetto per appenderlo ed un pò di termocolla... 15 minuti... fatto. Non male. Bravo!  Questo va in ufficio. 
Al prossimo orologio quadrato che si rompe, ci faccio un altro pensierino di inserirci altri oggetti, o altri processori avanzati che ne ho davvero una quantità industriale, assieme ai banchi di memoria. Nel frattempo devo realizzare, con degli assi da bancale, una cornice per due quadrifogli trovati in giardino (che portano tanta fortuna a chi ci crede). Per il vetro...no no, userò il foglio di plastica trasparente di alcuni schermi LCD disassemblati per curiosità, sono della dimensione giusta. Manca solo un pò di lavoro di falegnameria, a tempo perso... alla prossima. 

P.S. Gigi, vai in bagno!. Ripeto: Gigi, vai in bagno!

mercoledì 2 marzo 2016

DIY Blackboard

Eccola, finita. Il fondo di un mobile da cucina, un asse in pino per la copertura delle pareti (tipico di certe case o rifugi in montagna), della tinta lavagna, un gancio per appenderla ed un gessetto recuperato dai tempi delle scuole elementari (qui non si butta nulla, si ricicla e si riusa TUTTO), più un pezzetto di lamierino di ottone che proprio non mi ricordo da dove l'ho recuperato.
In realtà è un esperimento, un epic fail a dirla tutta, ma piace tantissimo alla mia compagna... regalo!
Il problema è stata la tinta lavagna, presa in occasione di una visita dal fornitore, quando l'estate scorsa mi è venuta l'idea di ridipingere le scale interne... sono pure pittore. 
Un barattolo...14 euro, una sassata nei maroni, ma l'idea mi piaceva. In realtà sono stato un vero coglione, vittima di un impulso alla spesa non controllato. Avrei potuto risparmiarli in quanto c'è un metodo pratico per farsela in casa... vabbè, si impara. Il problema di quella acquistata? Credo che quel barattolo sia rimasto per troppo tempo sullo scaffale del negozietto, dai tempi delle guerre puniche. Un blocco nero quasi solido ed il liquido tutto attorno... ho dovuto agitare emescolare non poco per tentare di sciogliere e riportare alla consistenza cremosa originaria (più l'idea di fare un agitatore elettrico...). I grumi rimasti hanno fatto la loro parte. La base poi non l'ho carteggiata e complice lo strato abbondante di tinta, ha iniziato a screpolare all'asciugatura e staccarsi in vari punti. Tecnicamente un esperimento fallito. 
Ma, qui non si butta nulla... carteggio la superficie in modo da renderla più liscia possibile, poi alla fine uno strato di flatting impregnante per colmare le crepe, una mano finale di vernice satinata e la lavagna funziona. La polvere nera dopo la carteggiatura l'ho mescolata con la vernice per dare alla cornice una splendida tonalità "anticata" scura (il pino è pallido), sulla base ingrigita trattata all'aceto. Esteticamente il risultato finale è gradevole, grezzo, un pò vintage, non male tutto sommato, anche se desideravo una superficie più liscia per scriverci tutti i giorni l'elenco delle cose che mancano in cucina (il cibo di solito, ho fame). 
Come esperimento iniziale non è malaccio dai, ho intenzione di proseguire e farne altre, magari con la tinta lavagna fatta da me, ricetta in elaborazione. La prossima volta che passo accanto ad un azienda di produzione biliardi o magari nelle vicinanze delle cave di lavagna, mi fermo e vado a frugare negli scarti, come un barbone affamato però di materiali di scarto da resuscitare, a cui dare la giusta dignità. alla prossima. 

P.S. Il pino è pallido. Ripeto: Il pino è pallido

lunedì 15 febbraio 2016

Forno fusione elettrico (Klim parte1)

Un sabato mattina, tanta voglia di ordinare il ciarpame che da tempo campeggia al limite dell'accumulo compulsivo, un pezzo di lamiera di alluminio che viene per le mani quasi per caso ed il risultato, per ora, è soddisfacente. Da una ristruttirazione di uno studio dentistico, dallo scantinato adibito a laboratorio protesi (S.A.E.D. Pinerolo), salta fuori un forno per la cottura, elettrico... preso! In realtà il recupero è da un pò che è successo ed il motivo per cui non mi ero mai prima cimentato nel suo "restauro" era dovuto alla lavorazione necessaria per sistemarlo. Difetto? La lamiera paracalore posteriore, quella che sorregge la termocoppia è in parte disintegrata. Occorre ricostruirla. La ruggine ed il tempo hanno fatto la loro parte, complimenti. Ma il mestiere del lattoniere non rientra fra le mie competenze ed abilità, per cui occorrono tre cose... fantasia, coraggio ed attrezzature adatte. Le prime due non mi mancano certo. Le attrezzature... mmm... pian piano, ricordando il lavoro in sospeso, ho preso l'indispensabile, rinunciando a millemila altre comodità che mi mancano, tipo calzini, mutande, magliette, medicinali specifici, benzina, ecc,ecc...
Come al solito ci si arrangia. Con una forbice da lattoniere si taglia a misura la lamiera, non prima di aver preso lo "stampo" con un forglio di carta fatto aderire alle piegature (ci si aiuta con delle mollette) per determinare la lunghezza giusta del pezzo. Si segnano con un pennarello, dopo pulizia con una levigatrice, le piegature, sperando che alla fine il raggio di piegatura non accorci troppo il prodotto finito. Con un pò di intuito si segnano le posizioni dei fori, quelli di fissaggio della termocoppia (un pò ad intuito vista la distruzione della vecchia copetrura) e quelli di passaggio dei cavi. La posizione critica è quella della termocoppia che deve corrispondere esattamente al foro nel cemento refrattario. Lasciamo stare i commenti su come ho svitato delle viti incrostate di ruggine e le bestemmie in aramaico antico... nulla che alla fine un pò di WD4* + pazienza non possano fare... successo.
Per i fori grandi ho usato una fresa a gradini, in mancanza di punte da trapano da 20mm per il metallo. Alla fine la foratura è riuscita alla grande, con solo due errori nel posizionamento (mascherati alla fine con un pannello aggiuntivo rivettato). 
Per la piegatura... semplice... un pezzo di sedia avanzata dal modding per i tre sgabelli (vedi post precedenti) due morsetti, una morsa da falegname rinforzata con due "L" di un vecchio telaio metallico e tanto sforzo, facendo attenzione al punto di piegatura che deve corrispondere alla distanza segnata (perfettamente orizzontale ed a 90° in squadra) più mezzo raggio di piegatura dato dallo spessore della lamiera... insomma... si va un pò ad occhio che non sono un ingegnère. 
Alla fine... mica ho finito!... occorre infatti fissare il pannello al retro. Inizialmente la copertura di lamiera più sottile, era incastrata nella parte superiore con due alette sporgenti e nella parte inferiore con due viti che premevano due levette che si potevano ruotare. Ho dovuto sostituire le viti e sto pensando ad un sistema per tenere meglio fermo il tutto. Che dire ancora? Mi manca ancora un quadrato 20X20 di lana di roccia... dubito che mi venderanno mai un pezzettino così piccolo...dovrò ingegnarmi un pò per recuperarlo non so ancora dove...cmq...  Un ottimo recupero in attesa del collaudo. 
Ma a che mi servirà mai un forno che può raggiungere i 1000 gradi ed oltre? Sto pensando alla fusione del vetro per finalità "artistiche", tipo pendenti in vetro dicroico, vassoi fatti con le bottiglie di recupero o ancora piccoli oggetti di ceramica. Oppure per la tempera dell'acciaio, dato che da un pò mi sto documentando sulla metallurgia di lame e taglienti da tornio... frese fai da te... una goduria ;-)
Vedremo. Alla prossima.

P.S. Ugo taglia la corda e la scimmia scappa. Ripeto: Ugo taglia la corda e la scimmia scappa.

sabato 6 febbraio 2016

Yankee Candle (recupero/recycling)

Maledetti Yankee verrebbe da dire, che certo innocenti non sono. E maledetti chi butta i soldi in un barattolo di vetro pieno di cera, coloranti sintetici ed olio chimico profumato (tanto ve lo respirate voi, chissenefrega). E le chiamano pure "candele americane". Sarà, ma preferisco i ceri ricostruiti, modellati dentro i tubi di cartone per le spedizioni, magari in cera d'api, che i produttori ne hanno da vendere anche a cifre accessibili ai più "poveri". La comodità di avere la cera dentro un barattolo è data dalla praticità di non dover comprare un candelabro, dalla sicurezza che la cera non se ne vada in giro per il piano di appoggio e dalla vastissima scelta di aromi sintetici con cui sono prodotte. Se si trova un negozio ben fornito, la tentazione di prenderne una cinquantina è molto forte, vista l'ampia scelta.... ed i maledetti del marketing lo sanno bene, anche perchè non trascurano di aggiungere il colorante giusto per stimolare corteccia ed amigdala, si sa mai che qualche unano dalle fragili capacità mentali ci caschi e compri (e pare proprio che funzioni con gli unani). L'unico deterrente? il costo (anche quello calcolato ad arte assieme alla presentazione). Provate ad andare a vedere quanto costa il vaso più grande... fatti due conti la cera al grammo costa più del caviale (e non la si può nemmeno mangiare!).
Così, quando inevitabilmente il livello della cera nel vaso arriva a poco più della metà, l'ossigeno fatica ad arrivare, lo stoppino troppo sottile si piega annegando nella cera fusa, l'aroma fatica a diffondersi... praticamente un barattolo pagato a peso d'oro, all'inizio vita è quasi da buttare.... grazie geni del "marcheting", che qualcuno vi fulmini. 
 Allora che si fa? si butta? Certo che no. Si recupera con un paio d'ore di preziosissimo tempo, meglio impiegarlo così che andare al family day (tanto per fare un esempio). 
Ma...lo stoppino? Semplice. Si prende lo stoppino già pronto (consumate maledetti unani, consumate dai) o lo si fa in casa con una cordicella di cotone del diametro giusto. Troppo grosso e la candela fa fumo, troppo sottile e la fiammella nemmeno scioglie la cera attorno producendo un cratere nel quale affogherà... e poi lo stoppino deve stare in piedi... come si fa? semplice. Si smonta un motorino da buttare (magari bruciato in qualche esperimento ove si studia come distruggere gli unani dal pianeta) si smonta il filo di rame del  rotore e lo si avvolge a spirale attorno al cotone. Il filo di rame, sottile al punto giusto, terrà in piedi la fiamma ed impedirà che lo stoppino si pieghi affogando nella cera fusa, consentendo nel contempo che si consumi più lentamente. Se la fiamma dovesse risultare troppo alta, basta accorciarlo con un tronchesino. 
Una volta fuso a bagnomaria la cera (non scaldarla troppo altrimenti fuma e l'aroma si disintegra) si svuota il barattolo, lo si pulisce per bene (anche in acqua bollente), si trova un modo per tenere in piedi lo stoppino e si versa la cera fusa evitando che eventuali residui dello stoppino bruciato ed altre porcherie ci finiscano dentro (se è troppo calda è facile si formino delle cavità, attenzione alla temperatura). Con l'occasione si può aggiungere altro aroma o altri coloranti per ottenere risultati diversi. Da altre candele si possono recuperare (oltre alla cera per rabboccare quella mancante) anche i bottoncini di metallo che servono a tenere in piedi lo stoppino quando lo si piazza al centro del contenitore e che ha anche la funzione di tenerlo in piedi verso la fine della sua vita, quando è circondato solo da cera liquida. 
Ecco fatto. Continuo però a preferire l'alternativa, più economica, sicuramente più naturale. Con un pò di manualità, un pò di cera d'api ed il barattolo giusto (rigorosamente di recupero) a mio avviso il risultato è superiore, nettamente superiore anche per l'aroma naturale nettamente più sano di chissà quale composto chimico usato nelle candele "ammericane". Vedremo in futuro, se riuscirò a procurarmi il distillatore giusto di crearci in casa l'olio di lavanda (è un pò che ci penso e visto quello che costa...) o altri olii essenziali dalle piante officinali. Qualcuno ha delle candele da buttare? Grazie, datele a me, che non vanno nell'umido, nemmeno nel secco non riciclabile, nè vetro, nè carta e cartone, plastica o metalli.... Alla prossima. 

P.S. c'era la cera. Ripeto: c'era la cera.

venerdì 16 ottobre 2015

Wind chimes (DIY repair)

Ok, erano anni che quei tubicini di ottone campeggiavano nei cassetti in attesa di essere ri-assemblati. Stavolta mi sono messo di impegno ed ho rimesso a posto questo aggeggio. Pronto per essere regalato ad una persona che so li apprezza. 
Ho dovuto però modificarlo un pò perchè mancavano dei pezzi. Il disco di supporto è un disco di lamierino di ottone ed è stato brasato con un asticina di ottone, per tenerlo orizzontale. Sono stati praticati dei fori aggiuntivi per far passare il filo, meglio la lenza da pesca sottile in fibra (più flessibile del nylon). 
Il batacchio è un pezzo di tubo di rame, raccattato tempo fa da un cantiere edile, dopo che l'idraulico ha realizzato il suo impianto di riscaldamento per un facoltoso professionista fascista in vena di spese. 
Il peso è una sfera di finto legno, di quelle che si trovano al brico e che non ho mai capito a cosa servano (e chissà perchè ne ho presa una...boh, non me lo ricordo proprio).  
L'asse in legno naturale invecchiato, viene da un vecchissimo bancale messo da parte proprio per queste ed altre evenienze.
Il ricciolo metallico di sostegno... recuperato non ricordo quando e da quale pattume di cose giudicate "inutili" ed appartenuto ad un vecchio supporto di una campanella persa chissà dove. 
Ne ho un altro di campanello da sistemare, di alluminio stavolta ma orfano di uno dei 5 tubi. Credo che anche quello troverà riutilizzo presso qualche famiglia adottiva. 
In foto, accanto alla cassa giapponese, usata per una importazione dall'oriente (salvata dal mucchio di ciarpame destinato al riscaldamento domestico) riadattata ad armadietto porta thè con finestra realizzata con il vetro di un vecchio scanner HP ed alla pannocchia raccattata da terra dopo essere caduta dal camion, il cartello con il mio promemoria preferito: La legge non è uguale per tutti... smentitemi dai. alla prossima.

P.S. il maiale grufola nell'orto. Ripeto: il maiale grufola nell'orto. 

sabato 5 settembre 2015

DIY clothes hangers

Una cosuccia da nulla, fatta al volo ma utile per appendere le cose che sono in giro per casa. Un asse di legno di scarto, tre ganci tagliati da un porta spezie, altri due in metallo brunito e tre targhette identificative, in ottone marchiato. Una mano di impregnante e colla epossidica per fissare il tutto. Dove troverà posto ancora non lo so in quanto è l'ennesimo regalo costruito nei momenti di "tempo libero", che ormai per me stesso ne resta davvero poco ma preferisco così. L'affetto, l'attenzione per chi si ama, si dimostra anche con queste piccole cose. Sempre meglio che un "ti amo" detto ormai come luogo comune, un clichè per unani imbecilli in crisi ipologorroica. Vabbè, mi fa comunque piacere tenere in moto i neuroni e soprattutto la manualità, che con l'occasione ne approfitto per tenere efficienti gli attrezzi ed i macchinari (pulizia, affilatura, ingrassaggio...). Alla prossima.

Il rosmarino è sempreverde. ripeto: il rosmarino è sempre verde.  

venerdì 4 settembre 2015

DIY Breadbox

Da quando alla compagna ho "regalato" una macchinetta per fare il pane (futura recensione credo) è stato un esplodere di pagnotte buonissime e particolari, come se piovesse. Ma dove mettere delle pagnotte enormi? all'aria? no. A fettte? no. Dentro quelle orribili scatolette che vendono? no. Ecco che da tempo per fermare le continue frecciatine, richieste, insistenze, petulanze, rilievi, battute ecc.ecc... mi decido di intervenire, anche per evitare l'acquisto di un cesto che a meno di 40 euro non si trova nulla (e francamente sono bruttini). Serve qualcosa che protegga dall'aria e dalla luce, che il pane fatto in casa, se si usano le farine ed i lieviti giusti (ma questo è un segreto), dura una settimana (ed è ancora fragrante). 
Allora, pannelli di multistrato (costano relativamente poco e pannelli di recupero al momento non ne ho oltre ad essere difficili da trovare)... troppo facile inchiodarli, banalissimo unirli con la colla... l'oggetto deve anche arredare, deve stare in una cucina frequentatissima e non deve essere brutto. Quindi? incastri a coda di rondine, fatti a manina, senza utilizzare frese, CNC, sagome... alla vecchia maniera insomma. Sega, scalpello, un attrezzino per segnare il legno realizzato con il perno del carrello di una stampante a getto... il risultato non è malaccio per essere la prima volta, serve solo pazienza e molto tempo, quel tempo che in nome di una fretta ingiustificata non sappiamo più impiegare bene. Fondo e coperchio vanno incastrati realizzando una scanalatura sul bordo (aumenta la superfice  di incollaggio) Si chiude il tutto e poi con la sega circolare si taglia il coperchio (così è perfettamente a misura). Due cerniere in ottone avvitate (previa realizzazione dell'intaglio per la loro "scomparsa" e si pensa alle maniglie. 
Maniglie... troppo banale comperare quelle già pronte. Serve qualcosa di unico, mai visto, del resto che senso ha copiare? Allora mi viene un idea. Delle maniglie di corda (canapa grezza) conferiscono l'aspetto desiderato. Per fissarle? Pensa e ripensa, non volendo infilarle dentro un foro e fare all'interno un banalissimo nodo (che dato il diametro sarebbe stato enorme) opto per l'utilizzo di alcuni giunti a "T" di rame da idraulica. Ci infilo il pezzo di corda e termino le sue estremità con dei cappucci terminali, sempre utilizzati per gli impianti idraulici, diametro 14mm. Un pò di colla epossidica bicomponente ed è fatta. 
Per fissare e  fermare le "T" alla cassa...foro, intagli radiali e ribattitura a martello che il rame è abbastanza tenero... da lì non si muoveranno più. 
Per conferire un aspetto vissuto, usato, "antico", vintage (anche se il tempo farà il resto).... trattamento all'aceto bianco con paglietta di acciaio (vedi post precedente)... poi due mani di impregnante all'acqua e passaggio con carta vetrata fina (per ottenere una specie di effetto decapato), inisistendo su alcuni punti per dare un aspetto "consumato" alla cassa. Toccherà alla compagna pensare al rivestimento interno in stoffa...
Il risultato in foto è decisamente inferiore a quello dal vivo... un vero capolavoro (IMHO), grezzo al punto giusto (non deve sembrare un oggetto industriale fatto in serie), un pezzo unico... sono più che soddisfattisimo. Purtroppo ho promesso di regalarlo, per cui me ne dovrò privare ma, che diamine, posso sempre farne un altro. Alla prossima. 

P.S. le foglie sono ancora verdi. Ripeto: le foglie sono ancora verdi. 

DIY stools (again)

Altri tre sgabelli, dopo il primo, realizzati dal recupero di altrettante sedie da salotto, brutte come il peccato, alle quali è stata conferita nuova dignità. Il primo prototipo lo abbiamo già visto in un post precedente. Qui documentiamo gli ultimi due. Il secondo è proprio grezzo, privo di particolari lavorazioni, per cui vedremo in futuro se sarà il caso di documentarlo. 
Procedura di recupero:
Spagliatura: la seduta delle sedie era in finta pelle, una crosta anni settanta, marrone, sintetica, tenuta ai bordi con delle finte borchie di finto ottone. Dentro, molle di acciaio (in attesa di futuro riutilizzo), paglia, pezzi di stoffa, ovatta di scarto, pezzettini di vera pelle (chissà come mai nascosta all'interno). Si capovolge la sedia e si inizia col togliere le borchie sul bordo facendo leva con un cacciavite piatto e sottile. Poi, tolto il telo di chiusura, si tagliano le corde che tengono unite fra loro le molle. si procede poi con rimuovere la quantità industriale di punti metallici. Alcuni di loro, specialmente quelli che fissano le corde, sono conficcati profondamente nel legno e la corda impedisce di fare leva col cacciavite. Con una fiamma (io uso quella per caramellare lo zucchero sulla crema gialla) si brucia la corda facendo attenzione a non incendiare la casa, incenerendo la canapa. In questo modo si riesce a creare uno spazio ove infilare il cacciavite. Con una pinza si tolgono tutti i punti sollevati dal cacciavite e rimane lo scheletro di legno della sedia.
Taglio e ridimensionamento. Si elminina lo schienale (solitamente inclinato riapetto alle gambe della sedia) alla stessa altezza delle due gambe frontali. Con raspa e carta vetrata si arrotondano le parti terminali (opzionale). Si eliminano i rinforzi angolari triangolari, inchiodati in prossimità del giunto gambe/seduta (se si riesce a non romperli in quanto inchiodati con chiodi senza testa, meglio recuperarli per il ri-assemblaggio). Con un martello di gomma si scollano i pezzi fra loro in modo da rimanere con gambe e traversine separati fra loro (per una più efficace eventuale pulitura dalla vernice). Si eliminano eventuali fregi orripilanti e si ricostruiscono, con i pezzi rimossi, le traversine mancanti. La sedia va accorciata da un lato altrimenti risulta troppo larga per uno sgabello (ma se vuole uno sgabello quadrato...lavoro in meno). Io ho accorciato su misura in modo che la nuova dimensione sia leggermente più grande del mio piede (per avere un appoggio sicuro quando lo si utilizza). Nella seconda foto si vede il tenone (che avanza) ove era incastrato un traversino largo con degli orribili fregi.
Pulitura: (opzionale) con carta vetrata si rimuove colore e vernice in modo da riportare a legno tutti i pezzi. In questa fase è possibile evidenziare l'eventuale presenza di punti metallici dimenticati. 
Rifacimento tenoni: in 4 punti (in prossimità del taglio di accorciatura) occorre ricostruire gli incastri a tenone. Sega piatta, scalpelli, raspa, carta vetrata, manina ferma e misure corrette. Occhio alle dimensioni che una volta re-incollato il tutto lo sgabello si presume dovrà tenere il proprio peso e dovrà risultare fermo e stabile. 
Incollaggio e riassemblaggio: si rimonta il tutto, con abbondante colla, avendo cura di tenere tutto in squadra a 90°. Con dei morsetti si stringe la struttura e si attende che la colla (da falegname) asciughi (24 ore per sicurezza). 
Rifacimento seduta: si recuperano delle assi da bancale o qualsiasi altra cosa possa essere giudicata adatta e dopo aver tagliato a misura (più o meno) si incolla e si fissa con delle viti (svasare il foro per affogare la testa della vite). Se la dimensione della seduta è larga, è il caso di inserire un traversino di rinforzo, specie se il legno utilizzato è pieno di fori che lo indeboliscono o è talmente "vecchio" che sorgono dubbi sulla sua tenuta. Calcolare che dovrà tenere almeno 100Kg (il proprio corpo ed il peso degli oggetti che si stanno per riporre in alto se si usa lo sgabello per arrivarci).
Finitura (opzionale): la soluzione più economica consiste nell'immergere per 24/48 ore della paglietta di acciaio (quella per pulire e raschiare le pentole non smaltate) dentro dell'aceto bianco. Il liquido di risulta va spennellato sul legno sverniciato. Immediatamente non accade nulla, ma... dopo qualche ora il legno acquista un aspetto ingrigito, come se fosse rimasto all'aperto da tempo... stupendo. Altre finiture, previo uso di impregnante per il legno da bancale)... a piacimento (de gustibus). Nell'ultima foto si nota dove il legno è trattato con l'aceto e dove no.

Ecco, finito. Una giornata di lavoro ed una sedia orripilante, destinata alla discarica, ritorna a miglior vita, pronta per essere riutilizzata (l'ambiente ringrazia, gli unani non so, non credo) e francamente, con l'arredamento giusto, ci sta bene anche in casa. Non si butta nulla ma occorre uno sforzo di fantasia per riutilizzare (sforzo ed unani è un ossimoro). Alla prossima.

P.s. il cuculo canta e la merla mangia l'uva. Ripeto: il cuculo canta e la merla mangia l'uva.

martedì 21 luglio 2015

Coltellaccio da cucina (riparazione manico)

No, non mi sto preparando ad un probabilissimo e forse imminente attacco di zombie, per quello ho difese ben più sofisticate. Si sa mai, ho paura degli zombie e se ne vedono parecchi in giro, in fila al centro commerciale, al cinema, nei bar, sono ovunque, li si riconosce dallo sguardo assente e dalla più totale vacuità di pensiero. Sono la maggioranza, siamo circondati, occorre essere preparati. Scherzo.
E' solo che da anni mi ritrovo per le mani la lama di un vecchio coltello da cucina, con il manico spezzato. Mi ero da sempre ripromesso di mettermi di impegno e resuscitarlo, non per la cucina ma solo per appuntire i sostegni dei pomodori coltivati in guardino (l'accetta è troppo pesante per lavoretti di questo tipo). Ed è venuto il momento di farlo. Un pò di tutorial su iutùb e mi invento il mio sistema. Mi manca la sega a nastro, per cui di fare due metà da unire all'acciao nemmeno a parlarne. Così ho preso un asse di legno a sezione quadrata ed ho inciso a mano una scanalatura longitudinale per infilarci la lama (sino alla profondità che serve a garantire un adeguato supporto), con successiva foratura. Eseguiti i fori sul manico si passa al punteruolo per segnare sulla lama i due punti di foratura corrispondenti (punta dura per acciaio ovviamente, chi non ce l'ha?). Poi si ritagliano due pezzettini di ottone da infilare nei fori. Poi si mescola un pò di colla epossidica bicomponente e si incolla il tutto. Alla fine si scartavetra il tutto e si passa una buona mano di impregnante, cera d'api. Ultimo passaggio...lucidatura dell'acciao e affilatura a rasoio... giusto per collaudare il supporto appena acquistato che pare funziona da dio. 
La lama è un buon pezzo di acciaio e vale la pena di recuperarlo. Alla prossima. 

P.S. sangui e suga vanno al bar. Ripeto: sangui e suga vanno al bar.

lunedì 20 luglio 2015

Ventilatore V6340C (riparato)

Il mese più caldo degli ultimi 150 anni (o 60, o 125 come dicono altri... altre offerte? mettetevi d'accordo) ed un ventilatore che improvvisamente entra in sciopero. Una tragedia, non per me ma per un'anziana. Il sintomo? le pale girano a passo di lumaca con il selettore alla massima velocità (III), molto lentamente ed il motore si surriscalda. La prima cosa che viene in mente è il condensatore, dato che stiamo parlando di un motorino asincrono simile per principio a quelli della lavatrice. Allora.... il ventilatore è del tipo a colonna, diametro 40 centimetri, senza marca, made in PRC mod. V 6340C con delle sigle in etichetta S1 50087138 RD-40A (va a sapere cosa significano, lo sapranno solo i cinesi). 
Il motore invece è un "volgarissimo" asincrono 220Volts da 40Watt modello R12-1 della Fonshan Shunde Rihuang Electric Co.Ltd (tre fratelli che prima di mettersi a produrre motori pescavano di frodo gamberetti sul Mekong, affluente minore del Mechung)
Per smontare il ciòttolo, occorre in sequenza:

  • aprire i gancetti che tengono unite le due valve del guscio a rete che protegge l'elica. 
  • svitare il dadone che tiene l'elica fisstata all'asse del motore, girandolo al contrario che il filetto è "storto" rispetto al normale senso di avvitamento e svitamento.
  • togliere il dadone che tiene la parte retrostante del guscio proteggi elica
  • svitare 4 viti con testa a croce che chiudono frontalmente il pannello di chiusura del vano motore
  • svitare la vite centrale nel retro, fissata sul supporto oscillante dietro al motore (occhio che è nascosta da un tappino di gomma bianca)
  • togliere il nottolino di armatura del meccanismo oscillante (è a pressione)
  • svitare 4 viti nel corpo pulsantiera per aprirlo.

Il condensatore responsabile del problema è un poliestere da 1 microfarad 450 volts AC, fissato con una vite tramite un aletta metallica (che non è un dissipatore)) e collegato con un filo rosso ed uno nero all'avvolgimento di start del motore. Tutto abbastanza semplice...abbastanza... due delle 4 viti del corpo pulsantiera hanno la testa a triangolo...niente cacciavite nonostante la mia fornitissima scatola con più di 150 pezzi... come fare?? Basterebbe costruirsi una punta adeguata, facile in questo caso usando un perno di dimensione adeguata ed una mola a smeriglio... ma è troppo caldo per mettersi a lavorare, troppo...allora? per toglierle ho utilizzato un kit per rimuovere le viti rovinate, con le punte simili a quelle del trapano ma con il torciglione al contrario...funziona, senza trapano, a mano... ingegnoso no? Nel rimontaggio basta trovare 4 viti uguali ma con la testa "normale" (e chi non ha 10 Kg di viti messe pazientemente da parte?). 
Ma le vere complicazioni vengono dopo. Il condensatore non si trova uguale per dimensioni e caratteristiche dimensionali. I peracottari di zona hanno solo quelli tipo lavatrice (3,50€), con il perno centrale dotato di dado di fissaggio.... impossibile alloggiarlo dentro il vano motore, ho provato, non ci sta proprio... allora ho optato per una modifica. Ho prolungato i fili di collegamento del condensatore, li ho fatti passare assieme a quello di alimentazione per arrivare nel vano pulsantiera. Lì il nuovo condensatore per fortuna ci sta come un pisello nel suo baccello, non senza prima proteggere i terminali fast-on con una guaina termorestringente.  Ma non era solo un problema di condensatore... il perno del motore è durissimo, quasi bloccato... polvere... non c'è altra spiegazione., e polvere di quella sottile, tipica di quella in sospensione nelle città di merda inquinate in modo invisibile. Ad occhio, l'apertura del motore non dovrebbe comportare particolari problemi, 4 dadi e via. Ma la presenza di avvolgimenti legati con lo spago ed altre avanzatissime soluzioni ipertecnologiche mi hanno convinto che non è il caso.  Allora? SVIT*L o WD4* dentro i perni (davanti e dietro), per un blando lavaggio e lubrificazione generale. Anche la scatola del meccanismo di oscillazione è meglio controllarla e lubrificarla (così si accede meglio al cuscinetto interno del motore). Sono solo 3 vitine sul lato della leva di riarmo e con l'occasione si ridistribuisce il grasso e si aggiunge un pò di lubrificante anche sui perni in movimento. Con il lubrificante è meglio non abbondare troppo e metterne un pò anche con motore in movimento in modo che penetri a fondo... alla fine il perno gira più liberamente.... ufficialmente riparato. Si rimonta il tutto e.... un ultimo problema, etico stavolta... l'aggeggio è di una (...)... che faccio? la lascio soffocare di caldo per qualche giorno (o settimane) a dimostrazione che tutte le troiate che fai nella vita prima o poi ti si ritorcono contro? No, non sono bastardo come quei deficienti fascisti unani di merda ed è per questo che sopravvivono, grazie a noi troppo buoni... mmmm, devo trovare una soluzione anche a questo problema. Suggerimenti? alla prossima.
P.S. la fonte è arida e il cammello non beve. Ripeto: la fonte è arida e il cammello non beve.

lunedì 6 luglio 2015

sgabello post-atomico

Hai presente quando devi prendere qualcosa a cui non riesci ad arrivare e ti manca sempre "uno scalino" a portata di mano? pochi centimetri magari e ti manca sempre una scaletta a portata di mano. ecco, lo so, ci si arrangia salendo sulle sedie imbottite o su quelle girevoli con le ruote, su una bacinella, su un contenitore progettato per altri usi, sempre in precario equilibrio col rischio di cadere (ed a volte accade con conseguenze a volte gravi). ecco, serve allora qualcosa che non occupi spazio, che si possa riporre tra un mobile ed una poltrona, qualcosa di leggero, maneggevole, pratico... ecco, si va al brico più vicino e si comperano quelle scalette pieghevoli. Il guaio, oltre che costano, è che sono brutte peggio di una multipla e con l'aredo di casa non si intonano per niente, per cui finiscono sempre in uno sgabuzzino ripieno di cianfrusaglie da togliere alla vista e quando serve, la pigrizia ci scoraggia ad andare a prenderla. 
Mi ritrovo con 4 sedie destinate alla discarica, cassone legno trattato all'ecocentro, immediatamente intercettate in extremis e riadattate allo scopo. Un comodo sgabellino in stile post atomico (usabile anche per una seduta), grezzo quel che basta per non urtare troppo l'estetica, leggero e poco ingombrante, utilizzabile anche come piano di appoggio se serve. 
Tolte le imbottiture, le molle di acciaio (da riusare ancora non so come e dove), il rivestimento in finta pelle, le borchie di ottone, gli spaghi, la paglia, l'ovatta.... un lavoraccio soprattutto per la quantità industriale di punti metallici.... 4 ore per sedia, davvero tanto. Un pò di colpi con un martello di gomma e ogni elemeno è smontato e passato con carta vetrata grana 80. Poi...la sedia va accorciata su un lato, dopo aver segato via la spalliera che non serve. Si prendono i 4 montanti orizzontali, li si accorcia e si ricrea il tenone da incastrare nei fori pre esistenti... tutto a mano, scalpello e sega. Una notte in morsa per riassemblare il tutto con un pò di colla da falegname e lo scheletro è fatto. Per la copertura.... assi di bancale avvitati uno ad uno, dopo averli carteggiati un pò e smussato gli spigoli... il look risultante è più che gradevole, almeno a me piace (e piace anche alla compagna che non lo vuole restituire). Ora, nei ritagli di tempo, ne ho altri da fare e piazzare per la casa in attesa che tornino utili, come ieri ad esempio che mi sono montato le zanzariere a striscia sulla porta di ingresso.  La discarica e la municipalizzata dei rifiuti non saranno contenti ma io si. Alla prossima.

P.S. la mucca è zoppa. Ripeto: la mucca è zoppa.

lunedì 29 giugno 2015

Shampoo di recupero

Sono giorni in cui la mia autostima è a livelli minimi. Causa calo delle attività professionali, la reazione più comune è quella di sentirsi inutili, rifiutati per lasciar posto ad un branco di incompetenti ciarlatani il cui unico pregio è quello di saper mentire e scaricare le proprie responsabilità sugli altri.
Per evitare di pensarci troppo ed andare incontro alla depressione, si cerca di reagire cercando di tenere occupata la mente sulle cose che procurano un minimo di soddisfazione personale e le occasioni non mancano. Stavolta è toccato alla montagna di flaconi di shampoo che si trovano nelle camere d'albergo nella doccia. Sono pagate e mi porto a casa ciò che avanzo. Col tempo, trasferta dopo trasferta, i flaconi si accumulano ed occorre trovare un loro utilizzo. Quale miglior modo che travasare il tutto in un flacone più grande? Si ma perchè? Allora. Ad utilizzarli uno ad uno va a finire che se ne spreca un botto in quanto non si ha il tempo di aspettare che lo shampoo, troppo denso a volte, scenda tutto ed inevitabilmente un pò ne resta nel flacone e va a finire assieme alla plastica che deve essere lavata con spreco di acqua inimmaginabile (tanto la paghiamo noi vero?).
Per risolvere, si prende un contenitore grande, trasparente e col collo abbastanza largo, rigorosamente di recupero. Si toglie il tappo e si infila il flaconcino capovolto. Si lascia sgocciolare per tutta la notte e magicamente il flaconcino risulterà pulito e completamente vuoto. Si ripete l'operazione per tutti i flaconcini sino a riempimento del contenitore ospitante. Fatto, non serve una laurea magistrale per questo.
Lasciamo perdere tutte le minchiate sulle differenze dei detergenti per il corpo, sulle proprietà miracolose, sui risultati... è SOLO SAPONE liquido! sono solo varianti di colore, consistenza ed odore, nulla di più. Lo so in quanto ho effettuato dei lavori presso industrie che producono cosmetici....quelli vendono solo per i creduloni che soddisfano emozioni e non reali bisogni. Ora, con quello che ho recuperato, posso andare avanti ancora per un anno o forse più, al ritmo di una doccia al giorno e godo nell'immaginare imprenditori e commercianti in crisi o interminabili riunioni di marketing per incentivare le vendite.... da me no grazie, andatevene in grecia a vendere le vostre pappette. Alla prossima. 

il grano è maturo e l'uva è alta. Ripeto: il grano è maturo e l'uva è alta.

mercoledì 24 giugno 2015

DIY Chisel sharpening jig (work in progress)

E' un work in progress, ovvio. L'accrocchio autocostruito con pezzi di recupero comunque fa la sua parte. Sono stato costretto a costruirmelo per due ragioni, anzi tre. 

  1. Affilare a mano... è una questione di esperienza e manualità che non ho ancora acquisito e non volevo consumare gli scalpelli a furia di passarli sulla mola a smeriglio, sulla carta vetrata, sulla pietra o sulla mola ad acqua, sulle pietre ad olio.
  2. Una brutta esperienza presso un "arrotino" industriale (con tanto di capannone) mi ha davvero deluso, ovvero un peracottaro che mi ha massacrato le punte a tal punto che ora tagliano meno di prima e francamente a me venivano meglio con i miei tentativi.
  3. Non ho soldi per comperare il supporto professionale, le pietre giapponesi e le basi diamantate... costano davvero un pò troppo per un hobbista come me ed il bastardo peracottaro di prima mi ha prosciugato. 

Allora? ci si arrangia come meglio si può, raccattando pezzi quà e là, adattandoli, modificandoli, aggiustandoli. Sono partito da due gambe avanzate da una sedia già modificata a sgabello (bellissima ma niente foto e l'ho già regalato), una barra filettata da 8, due dadi, due cuscinetti di due lettori floppy da 5 1/4, due ruote di legno ricavate con la sega a tazza da uno scarto in multistrato, due gommini forati di una stampante, un elemento di alluminio preso da un antenna Yagi direzionale ed un pò di lavoro di sega, carta vetrata, scalpello non affilato, trapano, pialla, svasatore... senza attrezzi specifici occorre eseguire le lavorazioni a manina e la precisione a volte va a farsi benedire, almeno sino a quando la manualità e l'esperienza non fanno col tempo la loro parte.
A volte la punta del trapano è troppo corta per dei fori passanti o è affilata malino, la sega non taglia bene o non è adatta a tagli profondi, la raspa non raspa, la carta vetrata scarseggia ed occorre riciclare (per l'ennesima volta) quella già riciclata millemila volte, il mandrino del trapano a colonna balla (ferramenta di merda e commerciante bastardo) e non è tanto preciso come servirebbe... vabbè, animo! ci si arrangia con quello che si ha. 
La parte che richiede più attenzione si concentra nel supporto che teve tenere perfettamente in piano ed in squadra lo scalpello rispetto al piano di affilatura (prevedendo lo spazio anche per le lame larghe delle pialle), altrimenti l'affilatura "pende" rispetto alla lunghezza del ferro che deve essere anche perfettamente parallelo con la pietra... la pietra... trovata al brico (non è specificata nemmeno la grana) con due parti...grossa e fina (altri dati non ce ne sono). Per tenerla ferma l'ho circondata con delle assi di bancale invecchiato, il tutto fissato su una base di compensato. Anche questa morsa dovrebbe essere perfettamente in piano (la lama sulla pietra e le ruote sul legno) e perfettamente a filo con la pietra....dovrebbe. Purtroppo la pialletta non funziona (affilata da schifo dal peracottaro) e pertanto anche qui ci si arrangia...per tentativi. Un metodo per compensare i dislivelli dei piani su cui le ruote girano, consiste nel farne correre una delle due (dipende da quale parte pende) su degli spessori temporanei (dei fogli di lamiera, cartoncino, plexyglass...).
Completa "l'attrezzatura" una lastra di granito (recuperata agratis da un amico) su cui ho fissato della carta vetrata a varie finiture da 80 a 1000 per la lucidatura a specchio. 
Per una buona affilatura occorre che la parte piatta dello scalpello sia perfettamente piatta, possibilmente finita a specchio. Un set di scalpelli nuovi (specie per quelli da pochi euro) ha evidenziato che invece non è così ed occorre spianarli appena acquistati, prima di usarli. La parte inclinata del tagliente (22 - 30°) deve essere piatta (possibilmente con finitura a specchio) e non curva come risulta se la si passa sulla smerigliatrice o su quegli attrezzini di plastica dei negozi faidate. Occorre inoltre eliminare la "bava" che si crea con le affilature aggressive dalla parte opposta dell'abrasione. 
Se si seguono queste indicazioni lo scalpello entra nel legno come un ferro caldo nel burro, anche controvena. 
E l'attrezzo? funziona? eh? eh? Si, discretamente devo dire, non è la perfezione ma sicuramente meglio dei tentativi di affilatura manuale. Ovvio che ci sono dei notevoli margini di miglioramento ma l'affilatura a lavoro finito è decisamente accettabile. Non sarà come certi scalpelli giapponesi, ma per quello che devo fare io il risultato per ora mi soddisfa, almeno sino a quando deciderò di realizzare la versione 2....work in progress. Alla prossima.

La mente è in viaggio. Ripeto: la mente è in viaggio.


giovedì 11 giugno 2015

Sacchetti assorbi umidità

Cosa c'entrano una lettiera per il gatto, uno sbiancante assorbicolore per lavatrice e la colla permanente? Ma per produrre dei sacchetti per assorbire l'umidità che si forma nei luoghi chiusi e freddi, che domande. Ok, andiamo con ordine. L'obiettivo è quello di eliminare, o perlomeno limitare, l'umidità che inevitabilmente, per condensa, si forma nei luoghi chiusi e freddi. Cassetti per gli attrezzi, contenitori dei chiodi e delle viti, ma anche armadi, ripostigli, cantine, cabine di stoccaggio di tutti i ciòttoli inutili che accumuliamo per una vita, per usarli un paio di volte e poi... la ruggine se li mangia! Ecco, è ora di basta!
Per realizzarli occorre procurarsi un sacco di sabbietta che viene utilizzata come lettiera per i gatti. Io gatti non ne ho, preferisco mangiarli che anche le proteine nella dieta sono importanti e la carne costa un occhio. Servono quelli naturali composti al 99% da silicio (così almeno scrivono sulla confezione). Assorbono l'acqua, impediscono la formazione di batteri e di odori sgradevoli (tipo quello della muffa), contengono un blando "profumante" (meglio soprassedere su questo) e si presentano come dei cristalli semi trasparenti, dei granuli irregolari (niente a che vedere con la "sabbia") assieme a dei granuli azzurri di materiale non definito. 
Il problema è insacchettarli in modo da evitare di utilizzare delle vaschette aperte. Serve qualcosa di pratico, che non disperda il contenuto. Di soluzioni ce ne soon a iosa. Dai vecchi calzini (troppo porosi secondo me), ai sacchetti per fare il thè (li vendono sfusi). Se si ha il braccino corto causa introiti ZERO, occorre arrangiarsi. La scelta è ricaduta sui sacchetti da lavatrice che vengono inseriti assieme al bucato per acchiappare il colore e contemporaneamente sbiancare la biancheria, ovvero quel prodotto per massaie dementi che mischiano i capi colorati per poi fracassare i maroni al marito che occorre comprare dei vestiti nuovi in sostituzione a quelli rovinati. Quei sacchetti sono fatti con una specie di tessuto non tessuto, sono porosi quanto basta per far passare l'umidità ma non fanno passare i granuli... quasi perfetti. Se al termine del lavaggio restano integri (qualcuno si strappa, qualcuno si buca) basta asciugarli su una superficie piana ed una volta asciutti tagliare un lato con una forbice (sono "sigillati" sui 4 lati). Con un cucchiaio li si riempie circa a metà e li si richiude con il metodo preferito... graffette, punti metallici, nastro adesivo o con il dispenser di colla permanente in rotolo (da ufficio per richiudere le buste). Per produrre sacchettini più piccoli basta tagliare la bustina a metà. 
Il risultato è ottimo, ma... funzionano? Direi di si. Da mesi, a titolo sperimentale, ne ho piazzato uno dove ripongo le risme di carta in un mobile addossato ad una parete esterna, in un luogo dove il riscaldamento è praticamente inesistente. Prima dell'operazione, all'apertura delle porte si sentiva un leggero odore di muffa, di carta bagnata (che appariva leggermente ondulata per effetto del "bagnato"), pur in assenza di evidenti segni di formazione di muffe. Ora l'odore è sparito e la carta conservata conserva le sue caratteristiche. Si, direi che funziona. Costo dell'operazione? i sacchetti li recupero da chi li butta, la lettiera costa una cretinata (non ricordo ma se costasse "tanto" non l'avrei presa). 
Alternative? Comperare i sacchetti specifici con le palline sintetiche... costano un occhio e funzionano pure bene, ma....inquinano tantissimo. Preferisco il mio metodo a costo quasi zero. Soddisfazione? al 100%. alla prossima. 

Il gatto soffia, graffia la porta e la fame è brutta. Ripeto: Il gatto soffia, graffia la porta e la fame è brutta.

sabato 18 aprile 2015

Trasformatore (esperimenti)


Mi accingo a riparare un alimentatore a 24 volts 6 ampère (non switching) da me progettato e realizzato e dal mucchio dei trasformatori ne salta fuori uno che sembra fare al caso mio. 12+12 con presa centrale, dimensioni generose (per non avere sorprese a carico)... prima di installarlo provo a misurare le tensioni in uscita. Purtroppo solo uno dei due avvolgimenti del secondario funziona....strano, non sembra bruciato, consumato o danneggiato. Decido allora di smontarlo e vedere quanto è mai difficile ricostruire gli avvolgimenti. Senza l'attrezzatura idonea, senza un avvolgitore ma soprattutto senza un bobinone di filo smaltato della sezione giusta... la vedo dura. Metto quindi da parte l'alimentatore e penso di moddizzare il trasformatore, un pò come si fa per quelli installati nei forni a microonde per costruire la saldatrice a punti (oggetto di un futuro progetto che ho in mente), ma di potenza più piccola, magari per la saldatura a punto dei terminali delle batterie che a saldarle con lo stagnatore ci si riesce ma il calore non gli fa certo bene alla chimica. 
Il nucleo del trasformatore sotto sperimentazione è lamellare, costruito inserendo alternativamente delle lamelle di materiale ferromagnetico isolate l'una dall'altra, di forma rettangolare "I" ed a forma di "E" maiuscola. L'estrazione delle lamelle rettangolari non è poi un operazione tanto difficoltosa. Con un coltello da cucina, o una lama sottile almeno verso la parte della lama che può essere (meglio se) dentellata, si aprono delicatamente le lamine in mod da far saltare il sottile strato di resina gialla. Poi si fa leva da una parte e si toglie il lamierino a forma di I da una parte e dall'altra. Man mano che si crea spazio, l'operazione è sempre più agevole, facendo attenzione a non piegare troppo o per niente i lamierini che dovranno essere poi reinseriti. Per quelli a forma di E la cosa è un pò più difficile, soprattutto per i primi due o tre. Si mette il trasformatore in morsa (senza stringere troppo altrimenti si creano dei corti sulla superficie esterna) e con la lama inserita nel corpo centrale facendo attenzione a non rovinare gli avvolgimenti,  si picchietta con un martello sino a quando la resina salta e si sfila la lamiera. Non è cosa risultata facile ma con molta pazienza, manualità e delicatezza ci si può riuscire. Tolto il corpo centrale (l'avvolgimento) si toglie il secondario, riconoscibile per il fatto di avere un numero di spire inferiore al primario e di sezione più grossa (è un trasformatore che abbassa la tensione). Durante lo svolgimento si prova a contare le spire: 85 circa per ognuno dei due avvolgimenti. Quindi con la formula Vp/Vs=Np/Ns posso calcolare il numero degli avvolgimenti del primario, in modo da calcolare il numero di spire sul secondario per ottenere la tensione desiderata. In questo caso, per 4 volts in uscita dovrei avvolgere 21 spire nel secondario. Ho preso del filo elettrico rigido da un millimetro, recuperato dall'impianto dei casa di 50 anni fa, quando era previsto lo sdoppiamento di impianto luce e forza motrice (qui non si butta nulla, qui si ricicla). Con un trapano si allargano i fori di supporto dei terminali in uscita e si avvolge ordinatamente cercando di tenere il filo a ridosso (il più possibile) del primario... 10 spire, non di più, per cui mi dovrei aspettare in uscita 2 volts circa ed un generoso amperaggio inversamente proporzionale a quello sul primario. 
Si rimonta il tutto inserendo alternativamente le E e poi le I, con un martelletto si riporta tutto in pari e se c'è qualche corto fra lamierini...pazienza, scalderà un pò ma sempre entro i parametri di sicurezza (spero:-). 
Di "E" ne ho avanzate solo quattro ma sono convinto che con un pò di pazienza e calma si può rimettere tutto dentro senza avanzare nemmeno un pezzettino. Impaziente del risultato, ho inserito le viti originali serrandole alla meglio, consapevle che con un lavoro non perfetto il trasformatore emetterà il tipico ronzio a pieno carico. 
Con mia sorpresa, a lavoro ultimato nel misurare la tensione in uscita...mi ritrovo 36,7 volts... why?? i casi sono due:
  • ho sbagliato a contare le spire secondarie in fase di smontaggio
  • ho il tester che fa un pò quello che vuole. 

proprio non mi capacito del risultato.  (AGGIORNAMENTO) misurando la tensione sotto carico la tensione misurata scende a circa 1 volts ed in mancanza di un amperometro che misuri più di 20A non riesco a sapere a quanto ammonti. Fatto sta che con una tensione così bassa non si riesce a fare poi molto, la potenza è insufficiente per qualsiasi lavoro. Cortocircuitando l'uscita si notano solo delle deboli scintille ma niente di che. Forse dovrei dimezzare la sezione del filo e raddoppiare il numero di spire sul secondario...l'esperimento condinua. 
Cmq... il lavoro è in corso d'opera. Voglio collegare in uscita un terminale di grafite o di rame per verificare se si riesce ad incidere l'acciaio... ricordo che a scuola in laboratorio si usava un trasformatore per incidere i pezzi all'ora di meccanica. Vedremo se riuscirò a bruciare qualcosa... senza calcoli più accurati le sorprese sono dietro l'angolo...poco male. Alla prossima

P.S. il gufo è a caccia e l'asino raglia. Ripeto: il gufo è a caccia e l'asino raglia.

lunedì 17 marzo 2008

Homemade DIY wire wrap

Ero alla ricerca dell'attrezzo in grado di avvolgere i fili sui pin dei connettori maschi che si trovano nelle mother board dei computers ed in altri innumerevoli punti di connessione. Ne possiedo già due, ma di dimensioni troppo grandi. Me ne serviva uno di dimensioni più piccole. Nella ricerca fra i vari cataloghi, trovo attrezzi dal costo esagerato, da far inorridire ma sicuramente da non scoraggiarmi. L'esito ha acceso il mio innato senso dell'arrangiarsi come meglio si può. Visto come sono fatti, ho deciso di procurarmi il materiale e costruirmeli da solo. Bastano tre tubicini in ottone (materiale facile da lavorare) reperibile nei "Brico Center" per "pochi" euro.
Il diametro dei tubicini deve essere tale da far si che possano entrare esattamente uno dentro l'altro. Il tubicino più piccolo deve entrare nei pin che si vogliono collegare e funziona anche da fusto centrale su cui si può inserire un manico di legno, preso da un listello quadrato (o rotondo se lo si trova dal ferramenta giusto). Si tagliano i due tubicini esterni per circa 3 centimetri, facendo in modo che il tubicino centrale sporga un pò rispetto a quello esterno. Ora viene la parte più difficile. Occorre praticare una scanalatura lungo la lunghezza del tubicino intermedio, a mano se non si dispone di una CNC di precisione.

Un paziente e preciso lavoro manuale con limetta di precisione o con il solito "dremel compatibile" (mano ferma e disco diamantato). La scanalatura serve a farci passare il filo che si vuole avvolgere, per cui occorre fare delle prove e scavare sino a quando il filo scorre abbastanza agevolmente. Nella parte di testa occorre praticare uno "scavo" particolare che a spiegarlo ho qualche difficoltà, ma serve ad agganciare il filo durante la rotazione dell'attrezzo e fare in modo che il filo stesso, scorrendo nella scanalatura, si avvolga nel pin. Terminato il tutto, si infilano i tubicini e si ferma il tutto con lo stagnatore (ecco anche perchè è meglio usare l'ottone). Il risultato è più che soddisfacente per un "improvised-wire-wrapping-tool". Non avrà un aspetto professionale ma funziona alla grande. Si infila il filo nella scanalatura (spellato della lunghezza di 2 o 4 centimetri). Poi si infila il pin nel foro centrale e si "avvita" in senso orario, senza premere troppo. Le foto si commentano da sole. Se la parte terminale risulta non avvolta, basta una pinzetta per terminare il lavoro. Per collegamenti "al volo" ti tipo hobbistico il risultato è superbo. Per lavori in serie... professionali... meglio procedere con l'acquisto che si ripagherà col lavoro svolto.
Vedrò di postare qualche foto dell'avvolgifilo e spiegare anche come fare a realizzare l'attrezzo per "svolgere" il filo avvolto (fatto ovviamente anche questo e funziona pure bene). La qualità delle foto è "cheap webcam type". Accetto donazioni per una telecamera che si possa collegare al PC portatile Linux. Grazie in anticipo.
Se calcolo cosa ho risparmiato ...sono davvero soddisfatto. Non mi risulta che ad oggi nessuno si sia mai cimentato a realizzare una cosa del genere. Alla prossima.


P.S. Bassa pressione in arrivo. Ripeto: Bassa pressione in arrivo.