Quando ci vuole, ci vuole. Permalosi che vi considerate *normodotati* o, peggio, dotati di intelligenza “sopra la media” (se esistesse davvero, sarebbe già su TikTok a vendere corsi). Detto ciò: veniamo ai fatti.
Tanto tempo fa, in una galassia non proprio lontana ma decisamente migliore, esisteva una categoria: i medici. Umani con un fuoco sacro — non un algoritmo — che curavano, ascoltavano, andavano a trovare chi non poteva muoversi e, sì, prescrivevano medicine, ma anche consigli sensati, non intossicati dalle big pharma. Non era un’operazione di copia-incolla farmacologico: era cura. Era rispetto. Era quella cosa rara che fa la differenza tra “ok” e “sopravvissuto”.
Oggi invece il primo impatto è il “medico di base”: quell’entità burocratica che, per ottenere una ricetta, devi invocare come se fosse una startup in fase seed. I tagli sciagurati al pubblico hanno creato perle organizzative degne di un reality: il medico va in pensione ma continua a lavorare privatamente, ergo i pazienti vengono avvisati *via e-mail* il giorno dopo la chiusura dello studio. Nel listone telematico dei medici disponibili (mai aggiornato, perché la tecnologia è una suggestione) i più vicini vivono a decine di kilometri. Risultato: l’anziano "single" senza patente è ufficialmente abbandonato a sé stesso. Tragedia umana? No: *efficienza amministrativa*. Non siamo più pazienti da assistere ma voci di bilancio, vittime della freddezza finanziaria di un "azienda" eurivora.
La risposta aziendale è geniale nella sua crudeltà: la continuità assistenziale. Traduzione: due giorni a settimana, ciascuno diviso in due finestre di… due ore. Nella prima (1 ora e 45, per la precisione) puoi provare a prenotare. Nella seconda si fanno gli incontri in presenza. Se non hai appuntamento? Beh… buona fortuna. Muori? Non proprio — ma quasi.
Non puoi muoverti? Tranquillo, c’è l’APP sacra: lì trovi le prescrizioni da mostrare in farmacia. Bello, no? NO. Perché i medici sono turnisti, si susseguono come cameo in una serie low-budget, non conoscono la tua storia — per loro sei un'anonima voce nell’ecosistema delle “prescrizioni richieste”. E siccome la tecnologia per alcuni è roba da science fiction, per certi farmaci ti sparano la *ricetta rossa* cartacea, scritta a mano: vai a ritirarla di persona, ma solo se hai prima telefonato per chiedere il permesso di esistere. Se non lo fai in tempo, riclicca il processo: prenota, richiama, spera nel medico puntuale (spoiler: non lo è; arriva come chi prende il treno per andare in gita).
Siamo fortunati? Beh, c’è almeno un numero di telefono. Se qualcuno risponde. Alcuni medici hanno solo un recapito WhatsApp. Facebook? No, quello è per chi vuole raccontare la propria vita al mondo: tu, senza l’app giusta, sei ufficialmente *senza diritti digitali*.
E non è finita: succede che il medico dica “ho lasciato la ricetta rossa in farmacia X”. Ottimo. Se non ci corri, la ricetta svanisce nel nulla. Dove? Mistero. Il medico se l’è dimenticata? La farmacia l’ha smarrita? Il sistema ha deciso che il foglio è entrato in una dimensione parallela? Ti risponde il solito scaricabarile statale: *non è colpa di nessuno*, tranne che tua, ovviamente, che hai osato vivere.
Ora parlo per me: ho delle ernie *non operabili* (testualmente: “non operabili”), e sto male. Al punto che non riesco né a stare in piedi, né seduto, né sdraiato — l’ideale per praticare le faccende domestiche o anche solo per lavarti un pò. Da un anno aspetto che la sacra azienda mi comunichi data e ora per valutare cure palliative... cure e palliative....un ossimoro. Spegnere il dolore senza risolvere le cause è come spegnere la fastidiosissima sirena dell'allarme con i ladri in casa. Nel frattempo, da più di otto anni, mi sto lentamente avvelenando di oppioidi (sì, quelli che sul bugiardino ti dicono: *se dopo una settimana non stai meglio, consulti il medico*). Ecco: io quella consultazione la sto ancora aspettando. Mi sento preso per il chiulo? Sì. Molto.
Qualche tempo fa un tizio ha preso a botte un dirigente sanitario per strada, urlandogli “…tu sai perché…”. Le aggressioni a medici e infermieri aumentano, e io? Io sono nettamente contro la violenza, punto. Però — e qui mi autorizzo una nota personale e cattivella — vedere quel dirigente curato subito al pronto soccorso mentre noi aspettiamo ere geologiche mi fa venire pensieri non esattamente angelici. Posso formularne delle ipotesi nella mia testa, che è gratis e ancora non censurata.
Tirando le somme (con tanto amore e sarcasmo): il Servizio Sanitario Nazionale sta degradando, lentamente ma inesorabilmente. I livelli di assistenza garantiti dalla Costituzione? Sputati fuori con mille scuse. I medici? Spesso non più degni del rispetto che si meritavano. E no, non è colpa del singolo medico: è un sistema che funziona da schifo. E se lo avete votato? Beh, complimenti per il vostro senso civico selettivo.
Io insisto che, continuando così, si arriverà ai ferri corti. Leggo sui giornali che qualcuno ha già cominciato. Nel frattempo vado a sedermi sulla sponda del fiume: passeranno i cadaveri dei miei nemici… almeno fino a quando non mi addormento per il dolore o mi arriva la chiamata per la visita palliativa — che, lo ricordo, sto ancora aspettando.
P.S. La puzzola è sana e sta bene. Ripeto: la puzzola è sana e sta bene. (Questa è l’unica certezza in un sistema che pare inventato da un algoritmo con malfunzionamento cronico.)
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