lunedì 29 giugno 2015

Shampoo di recupero

Sono giorni in cui la mia autostima è a livelli minimi. Causa calo delle attività professionali, la reazione più comune è quella di sentirsi inutili, rifiutati per lasciar posto ad un branco di incompetenti ciarlatani il cui unico pregio è quello di saper mentire e scaricare le proprie responsabilità sugli altri.
Per evitare di pensarci troppo ed andare incontro alla depressione, si cerca di reagire cercando di tenere occupata la mente sulle cose che procurano un minimo di soddisfazione personale e le occasioni non mancano. Stavolta è toccato alla montagna di flaconi di shampoo che si trovano nelle camere d'albergo nella doccia. Sono pagate e mi porto a casa ciò che avanzo. Col tempo, trasferta dopo trasferta, i flaconi si accumulano ed occorre trovare un loro utilizzo. Quale miglior modo che travasare il tutto in un flacone più grande? Si ma perchè? Allora. Ad utilizzarli uno ad uno va a finire che se ne spreca un botto in quanto non si ha il tempo di aspettare che lo shampoo, troppo denso a volte, scenda tutto ed inevitabilmente un pò ne resta nel flacone e va a finire assieme alla plastica che deve essere lavata con spreco di acqua inimmaginabile (tanto la paghiamo noi vero?).
Per risolvere, si prende un contenitore grande, trasparente e col collo abbastanza largo, rigorosamente di recupero. Si toglie il tappo e si infila il flaconcino capovolto. Si lascia sgocciolare per tutta la notte e magicamente il flaconcino risulterà pulito e completamente vuoto. Si ripete l'operazione per tutti i flaconcini sino a riempimento del contenitore ospitante. Fatto, non serve una laurea magistrale per questo.
Lasciamo perdere tutte le minchiate sulle differenze dei detergenti per il corpo, sulle proprietà miracolose, sui risultati... è SOLO SAPONE liquido! sono solo varianti di colore, consistenza ed odore, nulla di più. Lo so in quanto ho effettuato dei lavori presso industrie che producono cosmetici....quelli vendono solo per i creduloni che soddisfano emozioni e non reali bisogni. Ora, con quello che ho recuperato, posso andare avanti ancora per un anno o forse più, al ritmo di una doccia al giorno e godo nell'immaginare imprenditori e commercianti in crisi o interminabili riunioni di marketing per incentivare le vendite.... da me no grazie, andatevene in grecia a vendere le vostre pappette. Alla prossima. 

il grano è maturo e l'uva è alta. Ripeto: il grano è maturo e l'uva è alta.

mercoledì 24 giugno 2015

DIY Chisel sharpening jig (work in progress)

E' un work in progress, ovvio. L'accrocchio autocostruito con pezzi di recupero comunque fa la sua parte. Sono stato costretto a costruirmelo per due ragioni, anzi tre. 

  1. Affilare a mano... è una questione di esperienza e manualità che non ho ancora acquisito e non volevo consumare gli scalpelli a furia di passarli sulla mola a smeriglio, sulla carta vetrata, sulla pietra o sulla mola ad acqua, sulle pietre ad olio.
  2. Una brutta esperienza presso un "arrotino" industriale (con tanto di capannone) mi ha davvero deluso, ovvero un peracottaro che mi ha massacrato le punte a tal punto che ora tagliano meno di prima e francamente a me venivano meglio con i miei tentativi.
  3. Non ho soldi per comperare il supporto professionale, le pietre giapponesi e le basi diamantate... costano davvero un pò troppo per un hobbista come me ed il bastardo peracottaro di prima mi ha prosciugato. 

Allora? ci si arrangia come meglio si può, raccattando pezzi quà e là, adattandoli, modificandoli, aggiustandoli. Sono partito da due gambe avanzate da una sedia già modificata a sgabello (bellissima ma niente foto e l'ho già regalato), una barra filettata da 8, due dadi, due cuscinetti di due lettori floppy da 5 1/4, due ruote di legno ricavate con la sega a tazza da uno scarto in multistrato, due gommini forati di una stampante, un elemento di alluminio preso da un antenna Yagi direzionale ed un pò di lavoro di sega, carta vetrata, scalpello non affilato, trapano, pialla, svasatore... senza attrezzi specifici occorre eseguire le lavorazioni a manina e la precisione a volte va a farsi benedire, almeno sino a quando la manualità e l'esperienza non fanno col tempo la loro parte.
A volte la punta del trapano è troppo corta per dei fori passanti o è affilata malino, la sega non taglia bene o non è adatta a tagli profondi, la raspa non raspa, la carta vetrata scarseggia ed occorre riciclare (per l'ennesima volta) quella già riciclata millemila volte, il mandrino del trapano a colonna balla (ferramenta di merda e commerciante bastardo) e non è tanto preciso come servirebbe... vabbè, animo! ci si arrangia con quello che si ha. 
La parte che richiede più attenzione si concentra nel supporto che teve tenere perfettamente in piano ed in squadra lo scalpello rispetto al piano di affilatura (prevedendo lo spazio anche per le lame larghe delle pialle), altrimenti l'affilatura "pende" rispetto alla lunghezza del ferro che deve essere anche perfettamente parallelo con la pietra... la pietra... trovata al brico (non è specificata nemmeno la grana) con due parti...grossa e fina (altri dati non ce ne sono). Per tenerla ferma l'ho circondata con delle assi di bancale invecchiato, il tutto fissato su una base di compensato. Anche questa morsa dovrebbe essere perfettamente in piano (la lama sulla pietra e le ruote sul legno) e perfettamente a filo con la pietra....dovrebbe. Purtroppo la pialletta non funziona (affilata da schifo dal peracottaro) e pertanto anche qui ci si arrangia...per tentativi. Un metodo per compensare i dislivelli dei piani su cui le ruote girano, consiste nel farne correre una delle due (dipende da quale parte pende) su degli spessori temporanei (dei fogli di lamiera, cartoncino, plexyglass...).
Completa "l'attrezzatura" una lastra di granito (recuperata agratis da un amico) su cui ho fissato della carta vetrata a varie finiture da 80 a 1000 per la lucidatura a specchio. 
Per una buona affilatura occorre che la parte piatta dello scalpello sia perfettamente piatta, possibilmente finita a specchio. Un set di scalpelli nuovi (specie per quelli da pochi euro) ha evidenziato che invece non è così ed occorre spianarli appena acquistati, prima di usarli. La parte inclinata del tagliente (22 - 30°) deve essere piatta (possibilmente con finitura a specchio) e non curva come risulta se la si passa sulla smerigliatrice o su quegli attrezzini di plastica dei negozi faidate. Occorre inoltre eliminare la "bava" che si crea con le affilature aggressive dalla parte opposta dell'abrasione. 
Se si seguono queste indicazioni lo scalpello entra nel legno come un ferro caldo nel burro, anche controvena. 
E l'attrezzo? funziona? eh? eh? Si, discretamente devo dire, non è la perfezione ma sicuramente meglio dei tentativi di affilatura manuale. Ovvio che ci sono dei notevoli margini di miglioramento ma l'affilatura a lavoro finito è decisamente accettabile. Non sarà come certi scalpelli giapponesi, ma per quello che devo fare io il risultato per ora mi soddisfa, almeno sino a quando deciderò di realizzare la versione 2....work in progress. Alla prossima.

La mente è in viaggio. Ripeto: la mente è in viaggio.


mercoledì 17 giugno 2015

Vasi ermetici (recupero fai da te)

Lo scenario è perfetto. Una cantina abbandonata da più di vent'anni, la proprietaria che non dà il giusto valore alle cose e desidera solo sgomberare il vano per poter riporre altro ciarpame inutile, un dedalo incredibile di ragnatele, tantissima umidità dovuta ad una scarsa areazione del locale, un cumulo di cose riposte alla rinfusa in attesa di essere riutilizzate alla bisogna ma di fatto dimenticate, degli scaffali di legno marcio, ormai polverizzato dai tarli e dall'umido, che crolla all'improvviso. Ecco, fra tutte le cose inutili una serie di vasi ermetici di vetro, alcuni vuoti altri con dentro conserve, frutta, olive, pomodori, liquidi non meglio definiti, riposti in tempi di abbondanza con l'intento di essere consumati in tempi di carestia (per fortuna mai arrivata). 
L'umido ed il tempo hanno fatto la loro parte. La chiusura metallica è completamente arrugginita, quasi distrutta. La proprietaria, di recuperare cose che non le servono non ne vuole nemmeno sentir parlare, troppa fatica, meglio buttare. Ed allora l'occasione diventa ghiotta per recuperare e tentare di rigenerare. Il vetro non marcisce, è al 100% riciclabile ed un vaso a tenuta ermetica può sempre servire, per conservare o magari solo per riporre temporaneamente alimenti che si deteriorano all'aria. Le chiusure metalliche e le guarnizioni si possono sostituire. Dopo aver dato una pulita sommaria ai contenitori, si procede a togliere la chiusura metallica. Si prende il coperchio e si sfilano i due occhielli dal filo metallico che sorregge la clip di chiusura a scatto. Poi con una pinzetta si toglie l'anello ovale che chiude il gancio posto attorno al vaso e si toglie tutto. Facilissimo.
Il vetro così "pulito" del superfluo, presenta delle incrostazioni di ruggine... come toglierla? Ecco la procedura. Acqua calda (che velocizza le reazioni chimiche) e candeggina (non quella profumata) a bagno per un paio di giorni (anche meno, dipende dal livello di incrostazioni). La candeggina intacca i metalli e non il vetro. Poi, con una paglietta leggermente abrasiva, si strofina per bene, anche dentro le scanalature, ed il vetro torna come nuovo. Una sciacquata finale con abbondante acqua calda e pulita rende il vetro sterile. 
Le guarnizioni si trovano facilmente in commercio, in gomma o para caucciù. Il secondo è da preferire, più elastico e durevole. 
Le chiusure metalliche di ricambio invece non si trovano facilmente in commercio. Certi commercianti (tutti) preferiscono vendere il vaso completo e di ricambi nemmeno l'ombra. Dopo una lunga ricerca li ho trovati presso enologiavite.it (dove manca la foto ma sono quelli "giusti"). Il sito non ha cassa e carrello ma via mail ho trovato una persona gentilissima e disponibilissima che me li ha spediti a casa previo pagamento con bonifico bancario (niente carta di credito, vabbè) e non senza avermi mandato una foto del prodotto (si sa mai che è meglio chiedere prima di spendere). Ne approfitto qui per ringraziare di cuore. 
Costo? la chiusura viene circa 50 centesimi, la guarnizione 30 centesimi (al momento in cui scrivo). Con poco meno di un euro si ha un vaso a chiusura ermetica praticamente nuovo, andate a controllare in negozio cosa costano e fate due conti. 
A lavoro finito il vaso ermetico torna come nuovo, pronto a fare il suo dovere per chissà quanti anni ancora. Ora ne ho una quarantina di tutte le misure, da 0.5Lt, 1Lt, 1,5Lt 2Lt e sono pronti per accogliere ermeticamente conserve, marmellate, frutta sciroppata... ne farò dono ai bisognosi, a chi conta i centesimi a fine mese, a tutti quelli ai quali il danaro ha un valore correlato allo sforzo per produrlo ed alle angherie subìte per guadagnarlo. A me basta il sorriso generato e la riconoscenza per non farmi sentire inutile nel vostro pianeta popolato in gran parte da unani merdosi ignoranti. Alla prossima.
 
P.S. il topo è gigio. ripeto: il topo è gigio.
 
Aggiornamento del primo giugno 2023 - Giuseppe F. è il proprietario di un azienda che produce le chiusure per i vasi Bormioli (nuovamec.ap (at) gmail.com). 

giovedì 11 giugno 2015

Sacchetti assorbi umidità

Cosa c'entrano una lettiera per il gatto, uno sbiancante assorbicolore per lavatrice e la colla permanente? Ma per produrre dei sacchetti per assorbire l'umidità che si forma nei luoghi chiusi e freddi, che domande. Ok, andiamo con ordine. L'obiettivo è quello di eliminare, o perlomeno limitare, l'umidità che inevitabilmente, per condensa, si forma nei luoghi chiusi e freddi. Cassetti per gli attrezzi, contenitori dei chiodi e delle viti, ma anche armadi, ripostigli, cantine, cabine di stoccaggio di tutti i ciòttoli inutili che accumuliamo per una vita, per usarli un paio di volte e poi... la ruggine se li mangia! Ecco, è ora di basta!
Per realizzarli occorre procurarsi un sacco di sabbietta che viene utilizzata come lettiera per i gatti. Io gatti non ne ho, preferisco mangiarli che anche le proteine nella dieta sono importanti e la carne costa un occhio. Servono quelli naturali composti al 99% da silicio (così almeno scrivono sulla confezione). Assorbono l'acqua, impediscono la formazione di batteri e di odori sgradevoli (tipo quello della muffa), contengono un blando "profumante" (meglio soprassedere su questo) e si presentano come dei cristalli semi trasparenti, dei granuli irregolari (niente a che vedere con la "sabbia") assieme a dei granuli azzurri di materiale non definito. 
Il problema è insacchettarli in modo da evitare di utilizzare delle vaschette aperte. Serve qualcosa di pratico, che non disperda il contenuto. Di soluzioni ce ne soon a iosa. Dai vecchi calzini (troppo porosi secondo me), ai sacchetti per fare il thè (li vendono sfusi). Se si ha il braccino corto causa introiti ZERO, occorre arrangiarsi. La scelta è ricaduta sui sacchetti da lavatrice che vengono inseriti assieme al bucato per acchiappare il colore e contemporaneamente sbiancare la biancheria, ovvero quel prodotto per massaie dementi che mischiano i capi colorati per poi fracassare i maroni al marito che occorre comprare dei vestiti nuovi in sostituzione a quelli rovinati. Quei sacchetti sono fatti con una specie di tessuto non tessuto, sono porosi quanto basta per far passare l'umidità ma non fanno passare i granuli... quasi perfetti. Se al termine del lavaggio restano integri (qualcuno si strappa, qualcuno si buca) basta asciugarli su una superficie piana ed una volta asciutti tagliare un lato con una forbice (sono "sigillati" sui 4 lati). Con un cucchiaio li si riempie circa a metà e li si richiude con il metodo preferito... graffette, punti metallici, nastro adesivo o con il dispenser di colla permanente in rotolo (da ufficio per richiudere le buste). Per produrre sacchettini più piccoli basta tagliare la bustina a metà. 
Il risultato è ottimo, ma... funzionano? Direi di si. Da mesi, a titolo sperimentale, ne ho piazzato uno dove ripongo le risme di carta in un mobile addossato ad una parete esterna, in un luogo dove il riscaldamento è praticamente inesistente. Prima dell'operazione, all'apertura delle porte si sentiva un leggero odore di muffa, di carta bagnata (che appariva leggermente ondulata per effetto del "bagnato"), pur in assenza di evidenti segni di formazione di muffe. Ora l'odore è sparito e la carta conservata conserva le sue caratteristiche. Si, direi che funziona. Costo dell'operazione? i sacchetti li recupero da chi li butta, la lettiera costa una cretinata (non ricordo ma se costasse "tanto" non l'avrei presa). 
Alternative? Comperare i sacchetti specifici con le palline sintetiche... costano un occhio e funzionano pure bene, ma....inquinano tantissimo. Preferisco il mio metodo a costo quasi zero. Soddisfazione? al 100%. alla prossima. 

Il gatto soffia, graffia la porta e la fame è brutta. Ripeto: Il gatto soffia, graffia la porta e la fame è brutta.

giovedì 14 maggio 2015

ovovogio cinese (riparazioni parte 2)

Ed anche la sveglia in sciopero a singhiozzo è andata. Aperta, oliata, rimontata. Il maccanismo posto all'interno di un guscio apribile con l'attrezzo per smontare i cellulari, quella specie di plettro di plastica che fa leva senza rigare il guscio, è un GS 588-08 fissato con due viti autofilettanti al guscio esterno. Il meccanismo stesso fa da supporto al quadrante, un foglio di carta fermato con due strisioline di biadesivo ed è apribile facendo delicatamente leva su 4 clips plastiche, una per lato. 
Nel rimontare le lancette, è sufficiente prestare attenzione a due aspetti

  • si monta per prima la lancetta col foro più largo e via via poi quelle a scalare, per ultima quella dei secondi
  • attenzione a non piegarle e fare in modo che nella rotazione non si tocchino fra loro

Particolari attenzioni ulteriori non ce ne sono, se non dichiarare al mondo ed a quelli che continuano ad insistere che conviene buttare e prendere il nuovo (all'infinito in questo caso in quanto il nuovo non funziona), che ripaare si può, basta unpò di svit*él o wd4* al limite. L'olio minerale per la macchine da cucire è perfetto, in alternativa, basta che sia molto fluido... manca da provare l'olio grafitato... he he he...  alla proxima

P.S. l'uveite ubriaca. Ripeto: l'uveite ubriaca.

Ovovogio cinese (riparazioni)

Gli orologi cinesi, quelli con stampigliato made in china, quelli di plastichetta che si trovano sulle bancarelle o negli store tipo "hiper hu" o similari... costano pochissimi euro, sono delle fogge più disparate (spesso orribili) ma contengono più o meno gli stessi "meccanismi" del movimento con alcune variazioni. Quelli da parete possono avere o meno la lancetta dei secondi, mentre le svegliette hanno anche la quarta lancetta per impostare lo scatto della suoneria. 
Dentro, il principio di funzionamento è sempre lo stesso... un quarzo tarato sulla medesima frequenza, un bobinone di rame smaltato, un rotore con ingrnaggio che trasmette il movimento a tutto il resto. Qualche settimana fa ho deciso di acquistarne un paio, una sveglia ed uno da parete, qualche euro nonostante lo sciopero della spesa, per sostituire la sveglietta rotta di qualche post fa ed un altro da parete che ad intervalli regolari si fermava sempre nello stesso punto. 
Con mia sorpresa, anche questi due nuovi ovovogi presentano lo stesso difetto....funzionano per qualche giorno e poi le lancette si fermano. Gi si dà una bottarella e per qualche giorno funzionano ancora. Pensavo, per risolvere, di fare come un utente della rete con un problema simile che si presenta però con un televisore... ha risolto con un solenoide che ad intervalli regolari, comandato dall'ormai onnipresente Arduino, aziona una leva che dà un colpo all'hardware...funziona... poi... decisamente incazzato e poco propenso a far valere i diritti di consumatore per pochi euro (la garanzia), dato che perderei più tempo e soldi senza poi essere sicuro che gli orologi sostituiti funzionino, decido di riparare. Non sono un orologiaio, questo è ovvio, ma che sarà mai? Forse qualche dentino difettoso, forse qualche bavetta di plastica che si incastra dove non dovrebbe, forse... decido di aprire. 
Il primo meccanismo (nuovo da parete) - S6188 No(o) jewels unadjusted quartz - è facilissimo da smontare: tre alette di plastica tengono un coperchietto che se sfilato rivela gli ingranaggi all'interno. Un ispezione rapida con una potente lente non rivela nulla di anomalo... allora? SVITOL! lubrifico il tutto, leggermente, perni e dentini... rimonto il tutto e da quel giorno l'ovovogio sta funzionando senza intoppi e senza perdere un secondo. Con l'occasione ho colorato le lancette di nero per vederle meglio (su un orribile sfondo arancione il bianco non è poi il massimo come contrasto). 
Tocca al secondo (quello da parete rotto) - HQ3268 Wellgain No(o) jewels unadjusted quartz- ...apertura ad esplosione... nel senso che il coperchio è anche l'alloggiamento dei perni degli ingranaggi, per cui se lo si toglie le rotelline se ne vanno ognuna per la sua strada. Rimontare il tutto nella giusta sequenza non è un impresa impossibile... impossibile però con questo meccanismo è richiuderlo.... non c'è verso di far tornare le rotelline nella loro sede, c'è nè sempre una che è fuori posto... decido di desistere ed aspettare l'occasione per acquistarne uno nuovo, magari tedesco da 16 euro ma sicuro che non mi abbandonerà. 
Ora tocca alla sveglia...anonima esternamente, senza viti da aggredire... un incastro malefico di un progettista giallo... temo dovrò far saltare qualcosa... pazienza, mi sto divertendo troppo. Stay Tuned. alla prossima.

P.S. Gino e Piero sono a Roma, l'aquila vola. Ripeto: Gino e Piero sono a Roma, l'aquila vola.

martedì 28 aprile 2015

Brother DCP 115C (pulizia impossibile)

Mi portano una stampante multifunzione Brother DCP 115C lamentando il difetto che la carta si inceppa, non va su, è stata già smontata, forse è il tamburo ma è a posto...eh?... i soliti peracottari riparatori del menga, analfabeti ed approfittatori. NON portate mai a riparare una stampante se chi la deve riparare le rivende nuove, è la regola aurea
Prendo in carico l'hardware, rassegnato che è un lavoro agratis della serie "darci un occhiata non costa nulla se poi serve un preventivo"... un caxo! io non vendo e non faccio preventivi di vendita, io recupero, riciclo, riuso e nient'altro, per cui è solo la curiosità che mi spinge ad accettare con la premessa "o la va o si spacca" e la promessa che "se proprio è da buttare" nemmeno vengono a ritirarla...ok.
Il difetto lamentato in realtà è un altro (vatti a fidare degli utonti). Il display scrive un laconico "Pulizia impossibile"... eh? come osa? il firmware ha deciso che il serbatoio dell'inchiostro di scarto è pieno, dopo un numero di cicli di pulizia preimpostato. Tipico caso di obsolescenza programmata. E' la stampante che decide quando smettere di funzionare, sapendo già che si procederà a prenderne una di nuova, complici i rivenditori consumisti che, così facendo, in realtà fanno più danni agli altri che vantaggi a se stessi. Bastardi maledetti.
Decido di approfondire la ricerca, magari il service manual può aiutare, ma non trovo nulla se non alcune procedure per resettare il contatore delle pulizie e fare così in modo che la stampante possa riprendere a lavorare per chissà ancora quanto tempo. Le istruzioni che seguono sono valide per i seguenti modelli  DCP 315C / DCP 310CN / DCP 120C / DCP 115C / DCP 117C / DCP 110C


  • accendere la stampante (scollegata dal computer)
  • premere il tasto Menu, poi il tasto Inizio Mono e nuovamente il tasto Menu, la stampante è in maintenance status (stato di manutenzione) ed il pulsante Photo Capture assieme alla spia a forma di punto esclamativo lampeggiano
  • Con le freccine su e giù si fa apparire prima il valore 8 e si preme SET poi il valore 0 e si preme SET
  • Premere il tasto Inizio Mono tante volte finché sul display non compare il testo "Purge:XXXXXXXX" (al posto delle X ci sono delle cifre).
  • Con le frecce si imposta il codice 2783 (2 set 7 set 8 set 3 set).
  • Al termine della sequenza la stampante è resettata.
  • Premere il tasto Stop/Uscita per tornare al menu precedente.
  • Comporre il codice 9 set 9 set  per uscire dallo stato di manutenzione.
  • La stampante è resettata e pronta a stampare. Procedere con cicli di pulizia e stampa pagine di verifica. 


Facciamo ora alcune considerazioni. Resettare il contatore risolve il blocco ma, per essere corretti, occorre "svuotare" il serbatoio dell'inchiostro esausto. In realtà non è un contenitore che raccoglie del liquido. E' un vano riempito con una spugna densa, assorbente, che sembra del feltro pressato. O si trova qualcosa di simile per caratteristiche o in mancanza d'altro lo si lava sotto l'acqua calda (molta acqua) togliendo più inchiostro possibile, considerando che col tempo si sarà addensato e la sua rimozione totale quasi impossibile (che il feltro torni bianco...impossibile a meno di non usare cloro o sbiancanti...troppo complicato). 
Con l'occasione, una pulizia e lavaggio generale non guastano. Alla fine la stampante può tornare come nuova, essendo improbabili usure meccaniche o rotture fisiche delle parti. Bisognerà poi resistere alla tentazione indotta dalla pubblicità, alla tentazione che si prova quando si va al centro commerciale e se ne vedono tante in fila sugli scaffali.... la tentazione è forte... ma cosa comporta per l'ambiente e la società in generale consumare, buttare e comprare in continuazione? Pensateci bene e riflettete per dio! Alla prossima.

P.S. un utonto è felice. Ripeto: un utonto è felice.

lunedì 27 aprile 2015

Castelgarden XP 41 EL (manutenzione straordinaria)

Gli impegni di lavoro sono tanti, a volte inderogabili, e nel frattempo... l'erba in giardino cresce sino a raggiungere un altezza che la foresta pluviale amazzonica ci fa una sega. Viene il giorno che ci si decide di mettere mano al giardino e ci si rende conto dei mille problemi dimenticati e lasciati in disparte per altre stupidissime "priorità". Un rasaerba elettrico da 1300W, progettato appunto per rasare l'erba e non certo disboscare una jungla, si rivela insufficiente a tal punto da richiedere una piccola manutenzione. Il rotore fa fatica a girare affaticando il motore, le croste di erba risecchita sotto il vano lame appensantiscono la struttura assieme all'attrito delle rotelle di plastica ormai quasi bloccate. 
Stiamo parlando di un rasaerba Castelgarden XP41EL, prodotto da GGP Italy (di un paese chiamato Castelfrancoveneto in provincia di Treviso) e rivenduto da un certo GUSI (sempre nel Veneto a tradizione agricola). 
Non è certo un modello "professionale", concepito per piccoli prati "inglesi" tutti perfettini che sembrano sintetici, privi di erbacce e graminacee dure come l'acciaio, un modello abbastanza economico per farla breve. Il Corpo di supporto è interamente in plastica ed è dotato di un motore elettico ad induzione da 1300Watt  FEVILL Electric KFT mod KUC 752F7N13-P02 da 2800 giri al minuto (lento, troppo lento). 
L'apertura è estremamente facile e ciò significa facilità di manutenzione periodica. Con un cacciavite a stella si smonta la calotta superiore nera copri motore, fissata su un punto ed agganciata dalla parte opposta con un dentino a scorrimento che si aggancia al corpo di supporto. Una leggera trazione verso l'alto spingendo in direzione frontale ed il coprimotore viene su con facilità. Sotto scopriamo il motore ed il condensatore (tutti i collegamenti elettrici sono a fast-on per cui non serve tagliare nulla). Si scollegano i fili, magari segnando con un pennarello le corrispondenze in modo da ricollegare il tutto esattamente come era prima. Prima di togliere il motore, occorre smontare la lama. Un dado centrale tiene le lame ed un supporto plastico che assicura la ventilazione del motore (soffiando inevitabilmente nel tempo particelle d'erba all'interno del motore) e che va sfilato (è sufficiente tirare).
Dalla parte superiore si svitano 4 viti autofilettanti con testa esagonale ed il motore viene via (attenzione a non afferrarlo per gli avvolgimenti). Fare attenzione che le 4 viti sono avvitate con il tramite di 4 parti di plastica nera che presumo facciano da "ammortizzatore" o "cuscinetto" (segnare il loro alloggiamento). Non c'è altro da smontare (l'interruttore di sicurezza è ok per chi non vale la pena smontarlo). 
Come si può notare l'interno è ben invaso da residui, terra, foglie, erba e dio solo sa cos'altro (e forse qualche merdina dei cani che si sa non sotterrano la merda come i gatti). Con una spatola si rimuove l'erba secca, le croste di terra e tutta la sporcizia interna. Se si vuole esagerare...un panno umido per il verde che colora la plastica rossa. 
La manutenzione del motore: Ho provato a togliere le 4 viti Torx T30 che uniscono i due supporti a croce dei cuscinetti. L'intento era quello di pulire il tutto internamente e sostituire i cuscinetti (controllando l'eventuale formazione di ruggine). Niente da fare. Sembra che lo statore lamellare sia saldamente fissato ad incastro con delle specie di "chiodini" frapposti con il supporto esterno, per cui ho deciso di procedere solo con la lubrificazione dei cuscinetti....un abbondante innaffiata con un pò di Svit*l (nei cuscinetti) ed una notte ad agire hanno fatto un mezzo miracolo...solo mezzo, ma meglio di niente. Una bella soffiata con l'aria compressa ed il motore può tornare al suo posto. L'apertura totale non è impossibile ma la regola "ciò che funziona non si tocca" è d'obbligo. 
Le ruote:... sono di plastica con perno metallico filettato (rotazione ad attrito)... vanno leggermente "lubrificate" per renderle un pò più scorrevoli e pulite per evitare che i residui del taglio vadano ad appesantire la rotazione. Hanno tre fori dove possono essere montate, per "regolare" l'altezza di taglio...erba molto alta = altezza massima ovvero prato inglese  = altezza minima. 
Un ispezione finale per verificare se ci sono crepe o rotture sui supporti e si rimonta il tutto. 
La lama: va affilata un pò. Dopo anni a frantumare pigne, sassi, radici, terra ecc... si riduce ad uno schifo, non taglia più ma strappa, affaticando ulteriormente il motore che si scalda, brunisce lo smalto degli avvolgimenti ed è solo questione di tempo... il motore muore e di cambiarlo nemmeno a parlarne. Per affilarla...a mano con una lima da metalli, un flessibile con mola vetrata grana 80 o alla peggio con disco per taglio metalli. Si passa sul filo sino a togliere dentellature o parti pestate dai sassi. non serve un affilatura giapponese... basta che sia affilato al tatto senza badare tanto all'angolo di affilatura. 
Alcuni accorgimenti: Il rasaerba andrebbe pulito per bene appena terminato l'uso (e chi ci ha la forza dopo una giornata in giardino?) per evitare la formazione delle croste ed andrebbe riposto in luogo asciutto dopo averlo asciugato al sole (lo si adagia su un fianco al sole). 
Recensione gratuita: il ciottolo non è poi un disastro come credevo (compatibilmente con quello che ci si aspetta), seppure in presenza di tanti margini di miglioramento. Il corpo di supporto per essere irrobustito presenta delle "camere" vuote che si riempiono di tutto (dai ragni all'erba sminuzzata) rendendone un pò difficoltosa la pulizia. Il motore... è troppo lento, si affatica facilmente. Vale la pena eventualmente di farlo riavvolgere?? non lo so, dipende. Il costo si aggirerebbe dagli 80 ai cento euro, credo di più del valore dell'attrezzo... per cui forse è meglio pensare ad un motore da recupero preso magari da un altro con i supporti rotti. La lama...non guasterebbe una di qualità leggermente superiore a parità di fascia di prodotto. Di positivo ha che è silenzioso (93dB) ben al di sotto del rasaerba a scoppio del vicino di me***, con un motore Tupolev di fabbricazione sovietica in epoca della guerra fredda, acceso sempre nell'ora del riposo pomeridiano o al mattino presto, bastardo! Alla prossima. 

P.S. il grillotalpa non rode. Ripeto: il grillotalpa non rode.

martedì 21 aprile 2015

Saldatrice fai da te con MOT (parte 1)


E' periodo di trasformatori e... e... è venuto il momento di iniziare la costruzione della saldatrice a punti con un MOT (Microvawe Oven Transformer) ossia il trasformatore del forno a microonde. 
Per la verità, da tempo, si trovano in rete un sacco di soluzioni, non è una novità, per cui voglio documentare qui le "difficoltà" incontrate,  poco mi importa delle brutte figure, sono pazzo, per cui. 
Allora, andiamo con ordine. Il trasformatore proviene da un forno a microonde buttato da un ristorante, produttore DONG YANG Power Systems Co, LTD DMC-M Class 200 YS-450. Non certo un modello economico, che ormai si trovano a meno di 40 euro dai cinesi, anche se è di produzione cinese. L'ho tenuto proprio per questo, fatto a pezzi e recuperato il recuperabile, compresa la ventola, i microinterruttori, il condensatore ad alta tensione (quest'ultimo da sperimentare). Il magnetron e relativo magnete l'ho buttato. Sì, contiene quel collarino rosa che è una sostanza altamente tossica, velenosa, per cui preferisco rinunciare al magnete toroidale e tenermi la salute. Non scherzo, non è nemmeno da toccare per nessun motivo (#sapevatelo). 
Il trasformatore va modificato, per ottenere sul secondario una bassa tensione ma una corrente poderosa, sufficiente a fondere in pochi secondi dei piccoli lamierini da saldare assieme. Con due trasformatori modificati messi in serie o parallelo, è possibile ottenere anche una saldatrice ad elettrodo, opportunamente ventilata ovviamente perchè non si scaldi troppo e lo smalto del rame sugli avvolgimenti vada a farsi friggere (diventa scuro e perde le sue capacità isolanti).
Come si fa a riconoscere l'avvolgimento da togliere? E' quello con il filo più sottile e maggior numero di spire (è un trasformatore che "alza" la tensione e non come quelli tradizionali degli alimentatori che la abbassano). Per cui è quello usato come "primario" a 230V da tenere, quello con meno spire e filo più grosso. Per togliere il secondario ci sono varie scuole di pensiero. C'è chi taglia con un flessibile le lamelle in corrispondenza della saldatura e poi risalda il tutto dopo aver pulito per bene l'interno. Altri invece tagliano, sempre con il flessibile, il secondario facendo bene attenzione a non rovinare il primario. Il primo sistema è più "pulito" e sicuro ed assicura la costruzione del secondario più facilmente. Il secondo metodo è più rischioso e difficoltoso ma almeno non si deve usare una saldatrice che magari uno nemmeno ce l'ha. Io ho preferito tagliare delicatamente col simildr*mel e disco diamantato l'avvolgimento e sfilare pian piano il tutto, compreso l'avvolgimento ausiliario ed alcune lamelle aggiuntive poste fra primario e secondario del MOT. Ci ho messo di più, certo, ma nessuno mi corre dietro. 
Ora devo trovare il filo per rifare il secondario... non so dove recuperarlo... qualche cantiere? boh, vedremo. I collegamenti e gli elettrodi prevedo di farli con delle barre di alluminio, meno costose, più facilmente reperibili e comunque sempre un buon conduttore, al limite ho dei profili di ottone...valuterò il dafarsi. Per il supporto penso di utilizzare una vecchia colonnina porta trapano (quelle da hobbisti che sono delle vere ciofeche). Così mi assicuro un movimento lineare nella discesa dell'elettrodo superiore e non radiale come per la versione a cerniera. Inizialmente opterò per un collegamento grezzo... voglio verificare fino a cosa riesco a saldare. Se tutto mi soddisfa procederò con un contenitore adeguato, e se mi gira...lo faccio portatile per saldature al volo (in giardino serve sempre una puntatrice per i supporti dei pomodori e delle melanzane. Come primo progetto? devo saldare dei fili di ferro per crearmi delle grucce su misura da usare nell'asciuga biancheria a sacco, quella ad aria calda. Vedremo. Alla prossima. 
P.S. L'involtino plimavela è plonto. Ripeto: L'involtino plimavela è plonto.

sabato 18 aprile 2015

Trasformatore (esperimenti)


Mi accingo a riparare un alimentatore a 24 volts 6 ampère (non switching) da me progettato e realizzato e dal mucchio dei trasformatori ne salta fuori uno che sembra fare al caso mio. 12+12 con presa centrale, dimensioni generose (per non avere sorprese a carico)... prima di installarlo provo a misurare le tensioni in uscita. Purtroppo solo uno dei due avvolgimenti del secondario funziona....strano, non sembra bruciato, consumato o danneggiato. Decido allora di smontarlo e vedere quanto è mai difficile ricostruire gli avvolgimenti. Senza l'attrezzatura idonea, senza un avvolgitore ma soprattutto senza un bobinone di filo smaltato della sezione giusta... la vedo dura. Metto quindi da parte l'alimentatore e penso di moddizzare il trasformatore, un pò come si fa per quelli installati nei forni a microonde per costruire la saldatrice a punti (oggetto di un futuro progetto che ho in mente), ma di potenza più piccola, magari per la saldatura a punto dei terminali delle batterie che a saldarle con lo stagnatore ci si riesce ma il calore non gli fa certo bene alla chimica. 
Il nucleo del trasformatore sotto sperimentazione è lamellare, costruito inserendo alternativamente delle lamelle di materiale ferromagnetico isolate l'una dall'altra, di forma rettangolare "I" ed a forma di "E" maiuscola. L'estrazione delle lamelle rettangolari non è poi un operazione tanto difficoltosa. Con un coltello da cucina, o una lama sottile almeno verso la parte della lama che può essere (meglio se) dentellata, si aprono delicatamente le lamine in mod da far saltare il sottile strato di resina gialla. Poi si fa leva da una parte e si toglie il lamierino a forma di I da una parte e dall'altra. Man mano che si crea spazio, l'operazione è sempre più agevole, facendo attenzione a non piegare troppo o per niente i lamierini che dovranno essere poi reinseriti. Per quelli a forma di E la cosa è un pò più difficile, soprattutto per i primi due o tre. Si mette il trasformatore in morsa (senza stringere troppo altrimenti si creano dei corti sulla superficie esterna) e con la lama inserita nel corpo centrale facendo attenzione a non rovinare gli avvolgimenti,  si picchietta con un martello sino a quando la resina salta e si sfila la lamiera. Non è cosa risultata facile ma con molta pazienza, manualità e delicatezza ci si può riuscire. Tolto il corpo centrale (l'avvolgimento) si toglie il secondario, riconoscibile per il fatto di avere un numero di spire inferiore al primario e di sezione più grossa (è un trasformatore che abbassa la tensione). Durante lo svolgimento si prova a contare le spire: 85 circa per ognuno dei due avvolgimenti. Quindi con la formula Vp/Vs=Np/Ns posso calcolare il numero degli avvolgimenti del primario, in modo da calcolare il numero di spire sul secondario per ottenere la tensione desiderata. In questo caso, per 4 volts in uscita dovrei avvolgere 21 spire nel secondario. Ho preso del filo elettrico rigido da un millimetro, recuperato dall'impianto dei casa di 50 anni fa, quando era previsto lo sdoppiamento di impianto luce e forza motrice (qui non si butta nulla, qui si ricicla). Con un trapano si allargano i fori di supporto dei terminali in uscita e si avvolge ordinatamente cercando di tenere il filo a ridosso (il più possibile) del primario... 10 spire, non di più, per cui mi dovrei aspettare in uscita 2 volts circa ed un generoso amperaggio inversamente proporzionale a quello sul primario. 
Si rimonta il tutto inserendo alternativamente le E e poi le I, con un martelletto si riporta tutto in pari e se c'è qualche corto fra lamierini...pazienza, scalderà un pò ma sempre entro i parametri di sicurezza (spero:-). 
Di "E" ne ho avanzate solo quattro ma sono convinto che con un pò di pazienza e calma si può rimettere tutto dentro senza avanzare nemmeno un pezzettino. Impaziente del risultato, ho inserito le viti originali serrandole alla meglio, consapevle che con un lavoro non perfetto il trasformatore emetterà il tipico ronzio a pieno carico. 
Con mia sorpresa, a lavoro ultimato nel misurare la tensione in uscita...mi ritrovo 36,7 volts... why?? i casi sono due:
  • ho sbagliato a contare le spire secondarie in fase di smontaggio
  • ho il tester che fa un pò quello che vuole. 

proprio non mi capacito del risultato.  (AGGIORNAMENTO) misurando la tensione sotto carico la tensione misurata scende a circa 1 volts ed in mancanza di un amperometro che misuri più di 20A non riesco a sapere a quanto ammonti. Fatto sta che con una tensione così bassa non si riesce a fare poi molto, la potenza è insufficiente per qualsiasi lavoro. Cortocircuitando l'uscita si notano solo delle deboli scintille ma niente di che. Forse dovrei dimezzare la sezione del filo e raddoppiare il numero di spire sul secondario...l'esperimento condinua. 
Cmq... il lavoro è in corso d'opera. Voglio collegare in uscita un terminale di grafite o di rame per verificare se si riesce ad incidere l'acciaio... ricordo che a scuola in laboratorio si usava un trasformatore per incidere i pezzi all'ora di meccanica. Vedremo se riuscirò a bruciare qualcosa... senza calcoli più accurati le sorprese sono dietro l'angolo...poco male. Alla prossima

P.S. il gufo è a caccia e l'asino raglia. Ripeto: il gufo è a caccia e l'asino raglia.

giovedì 16 aprile 2015

White LED 8mm

10 LED bianchi da 8mm ad alta luminosità... ritrovati nei cassetti dopo averli inseriti in un ordine di materiale di cui si sono perse le tracce. Il che significa niente datasheet, niente caratteristiche, niente di niente (e niente foto per ora che le batterie della digitale sono a terra). Allora, come si fa ad accenderli? Un pò di intuito può bastare. Se si ricercano in rete le caratteristiche di prodotti simili, qualcosa si trova. Dovrebbe essere da mezzo watt, corrente 120mA, e tensione da min 3,0 max 3,6 volts. Con questi parametri e con la legge di ohm non è difficile calcolare la resistenza necessaria per varie tensioni di alimentazione. 
Ho assunto che la corrente ideale sia proprio da 120mA, contrariamente a quella per i led flash che ne richiedono da 20 a 40mA, mentre ho assunto una tensione di 3,5 volts... rischio, tanto i valori si assomigliano un pò tutti su vari modelli apparentemente simili. I valori della resistenza da mettere in serie sono quindi nella tabella che segue:

12V 70,83ohm 1,02Watt
9V 45,83ohm 0,66Watt
5V 12,5ohm 0,18Watt

Se si va a spulciare sui valori Standard delle resistenze in commercio, assunto lo si voglia far funzionare a 5 volts, la resistenza da 12,4ohm 1% serie E96 è l'ideale ma difficilmente reperibile dai componenti di recupero. Ho quindi ripiegato su una da 12 ohm (serie E24 5% - bande colorate marron rosso nero oro), leggermente inferiore nel valore nominale ma a misurarla con la tolleranza... 12,3 ohm... perfetta. 
Il risultato? è ok,  è un led che illumina bene ed in modo uniforme, complice anche la piccola lente frontale, tanto da farmi pensare ad un utilizzo nel microscopio analogico... vedremo (e perchè, pezzenti, non mi si regala un microscopio decente di quelli bonoculari e digitali?). 
Ora devo provare a metterne più in serie o parallelo, sino a metterne assieme 5 da inserire sul faro della bici. Il problema sarà trovare un contenitore adeguato... non dispero, magari recupero un vecchio fanale per le lampade ad incandescenza e lo modifico. Un altra prova (distruttiva) sarà quella di spremere la massima efficienza luminosa dal LED, compatibilmente con la tensione di batteria.... litio o alcaline? Per il litio mi mancano molti passaggi sperimentali, ma la cosa non mi spaventa. Pensavo di utilizzare delle vecchie batterie da cellulare, che ormai le si trovano a pochi euro se non addirittura recuperate da qualche telefono pronto per la discarica (continuate a buttare dai che mi serve materiale, grazie). Credo inoltre che mi servirà un regolatore di carica e scarica e, perchè no, un sistema per i lampeggi flash (utilissimi per le trasferte ciclistiche in notturna contro i guidatori ubriachi e strafatti)...vedremo cosa si riesce a recuperare. Alla prossima. 

P.S. la tana del tasso è calda. Ripeto: la tana del tasso è calda.

mercoledì 15 aprile 2015

Accendere un led con 230 volts (parte 1)

...ma anche no. Perchè dovrei usare la 230 di rete per una stupidissima spia onoff? Troppo facile. Quello che in realtà mi serve è qualcosa per accendere i led di potenza, tipo il Luxeon III star (LXHL-LW3C bianco da 3 watt ad oggi discontinued) da 1 ampère 3,7 volts, i led a filamento tipo quelle barrette gialle dentro le lampadine, che per accendersi richiedono almeno 60 volts, perchè no le lampade dei vecchi fusori recuperati dalle stampanti laser di una volta, 20 centimetri di pura potenza resistiva per una piantana da ufficio o per un riscaldatore artigianale, o perchè no... di necessità ce n'è un fottìo e procurarsi un trasformatore di recupero... non si trova mai quello giusto... troppo grande, troppo piccolo, troppi volts, troppe tensioni in uscita quando ne serve una... un disastro e la necessità aguzza l'ingegno.
In rete, come al solito, si trovano in infinità di "soluzioni" spiegate malissimo (a parte un paio di esempi sensati), mal funzionanti, che bruciano il led dopo 4 o 5 accensioni, pericolose, prive di dettagli importanti, copiaincollate dai soliti trolls vanitosi a caccia di click per sè grazie alla fatica altrui... andrebbero sterminati col gas. Ad ogni modo... il metodo del fai da te capendo bene cosa si va a fare è sempre il migliore, meglio ancora se accompagnato da tanta sperimentazione e da tanto magic smoke (Bang!! e l'adrenalina sale, così si fa più attenzione, tiè).
L'ultimo esperimento è l'accensione del Luxeon alimentandolo a 5 volts, dopo averlo montato su un dissipatore di un chipset (arancione...una figata). Una resistenza da 2,2 ohm  1Watt, un pò sotto la luminosità che può produrre, ed il faro da bicicletta sta prendendo forma. Divagazioni a parte, voglio documentare qui il metodo "standard" per alimentare quasi qualsiasi carico con la tensione di rete, così non impazzisco più quando la memoria fa cilecca. Il trucco misterioso è il calcolo della reattanza capacitiva. Come si calcola la capacità necessaria?? e quale componene utilzzare? Da dove recuperarlo? andiamo per gradi.
Innanzitutto, dato che vogliamo usare la reattanza per un led da illuminazione, la soluzione a semionda non va bene...tutto sto casino per mezza luminosità....nonono... serve un ponte raddrizzatore o almeno 4 diodi ad alta tensione per prevenire anche le problematiche delle sovratensioni presenti in rete (e negate dal fornitore), i picchi o spikes dovuti a circuiti mal progettati o peggio dai fulmini contro i quali nessuno ad oggi ha mai offerto nulla di efficace, ma questa è un altra storia. Allora...il condesatore... poliestere da 400 a 630 volts... meglio quello da 630, meglio stare larghi ma anche quello da 400 può andare. Perchè no uno da 300?? perchè la 230 è il valore efficace, non il valore di picco che si ottiene moltiplicando per la radice di due...(325Volts che è il valore corretto da usare nelle formule). Ci serve poi sapere la corrente che il carico assorbirà. E qui iniziano i problemi. Se si ha a disposizione il datasheet la cosa è semplice. Per il led Luxeon III star citato prima, la corrente è di 1Ampère ma... se si ha per le mani un led privo di caratteristiche? magari recuperato da qualche lampada bruciata? Lì occorre andare un pò ad intuito e prepararsi a bruciare qualcosa, è quasi inevitabile. Vedremo nei prossimi esperimenti cosa fare. Comunque, per ora, la corrente di assorbimento e la tensione... con la legge di ohm si calcola la reattanza necessaria (in ohm) 

R=V/I  

dove V è la tensione ai capi della resistenza, ovvero la tensione efficace (Vrete per radice di due) meno la tensione ai capi del carico, mentre R=Xc (è  una resistenza all'atto pratico)

Xc= 325,3-3,7/1=321,6 ohm 

(difficile vero?). Con la formula si calcola poi la capacità corrispondente 

C=1/(2*3,141*50*Xc) 

(i numeri corrispondono alla pulsazione ovvero  due per pi greco per la frequenza di rete... consideriamola una costante 314,15), quindi C=0,000009898 farad, ovvero :

C=0,000009898 farad
C=9,898 microfarad
C=9898 nanofarad
C=9898000 picofarad
possiamo arrotondare il tutto a 10 microFarad? certo che si. Esagerando, si potrebbe pure sfruttare la reattanza induttiva, servirebbe una bobina da 1 henry, circa (meglio se verifichi).
Possiamo anche intuire come maggiore è la reattanza e minore sarà la capacità necessaria... ovvero, a parità di tensione al carico, più corrente=meno reattanza=più capacità.... giusto?...meglio se verifichi e non fidarti di quello che trovi in rete.
Ma...un poliestere da 10 microfarad....non si è mai visto. Quindi?? Ci si arrangia mettendo in parallelo tanti condensatori quanti necessari a raggiungere la capacità richiesta?. Boh...mai provato, per cui... esperimento continua... alla prossima. 

P.S. Zucchero è filato. Ripeto: Zucchero è filato. 

venerdì 10 aprile 2015

NE555P Monostabile (Timer)

Un apparecchiatura "elettromedicale" (il virgolettato è d'obbligo) dismessa, è una preziosa fonte di cose da recuperare. Una cessata attività di un poliambulatorio mi ha lasciato in eredità solo le apparecchiature guaste, irrecuperabili, da rottamare. Un laser ad infrarossi per la cura dei dolori artritici o post-trauma... l'unico problema era un diodo spezzato in prossimità di un selettore allentato. Il medico a furia di smanettare la manopola, girando oltre il necessario, ha torto i fili all'interno con conseguente rottura meccanica. Di riparare...nemmeno a parlarne in quanto non so che farmene di un apparecchio del genere (almeno il laser fosse stato visibile...), anche se mi alletta molto la soluzione adottata per il montaggio del diodo laser...un tubo metallico con pulsantino.  Smontare e recuperare? certo che sì.
Non posso nascondere il mio stupore quando l'ho aperta. Collegamenti con fili volanti, basette preforate... da un apparecchio per la terapia del dolore con laser ad infrarosso mi sarei aspettato di più. Impossibile risalire al fornitore (ad oggi scomparso, i suppose, dal mercato). Sicuramente un prodotto artigianale, risalente alla fine degli anni 70 od 80 e sicuramente fuori norma, non con quelle attuali che hanno solo complicato la vita ai produttori e lievitato il loro costo oltre il tollerabile.  La "fortuna" sta nel fatto che per fortuna in questo apparecchio i circuiti sono stati realizzati modularmente, su basette artigianali separate l'una dall'altra. La prima che ho rimesso in funzione è equipaggiata con un NE555P,.. la più semplice... dopo aver ricostruito il circuito a mano seguendo le piste, sono riuscito a capire come collegare i morsetti con i componenti mancanti. Risultato? un temporizzatore in configurazione monostabile. Ton per un certo tempo e poi off, con reset manuale.
Due pulsanti, uno di start ed uno di reset, più un potenziometro che ho stabilito da 300K per assicurarmi tempi lunghi nella temporizzazione. Ho recuperato due microswitch provenienti da chissà dove più un vecchio potenziometro (minimo ha trent'anni) che non sembra ossidato (funziona). 
Il tempo di accensione si calcola con la formula Ton=1,1 RC dove la resistenza è quella collegata al piedino Discharge (7) e C è il condensatore collegato al piedino Thresold (6). Nulla vieta di inserire un potenziometro da 1Mohm per tempi biblici, calcolabili dalla tabella presente nel datasheet dell'integrato (entrambi facilmente reperibili in rete). 
Un piccolo relè a 12 volts (privo di transistor di pilotaggio in quanto assorbe meno dei 200mA che il 555 è in grado di supportare) mi pilota due deviatori, utili per accendere un paio di lampade o in parallelo per carichi più importanti, o magari per la solita luce scale che restando accesa si mangia silentemente i miei risparmi. Possibili modifiche? sicuramente si... un sensore PIR per avviare la temporizzazione, una fotocellula per impedire che la luce si accenda di giorno o quando l'illuminazione è già sufficiente, un reset comandato da remoto...unico limite...la mancanza di fantasia. Ah, la resistenza in serie al led, da 10K a mio avviso, se so volesse portate il Led on su un pannello frontale, andrebbe diminuita alprossimo valore inferiore disponibile per renderlo un pò più luminoso.
Ora devo solo trovare un contenitore adeguato... mi sa che dovrò tornare a frugare nel garbage, qualcosa salterà fuori sicuramente. Lo schema? davvero? in rete si trovano un infinità di progetti già pronti, perchè replicarli? solo per qualche click in più? naaaa. Alla prossima. 

P.S. il bacchetto è di legno. Ripeto: il bacchetto è di legno. 

domenica 22 marzo 2015

Svegliaaaaaaaaa

Trent'anni. Tanto è durata la mia sveglietta elettrica che in camera ha svolto egregiamente il suo dovere. Presa agratis (era un gadget di un assicuratore) e moddizzata a dovere (rimozione dei loghi pubblicitari) non aveva mai dato segni di cedimento. Sempre precisa e soprattutto silenziosa, che se in camera sento un rumorino non riesco proprio a dormire. In questi giorni ha deciso di terminare la sua funzione...morta...rip. E quale migliore occasione per donare gli organi? Cacciavite e via, la apro. Dentro (circuito Kienzle W460 made in germany) c'è un buzzer da recuperare, un quarzo, filo di rame sottile, un BC547, un paio di lampadine e basta. Un integrato marchiato eurosil 1444G non credo di poterlo riutilizzare ed in ogni caso non ho nemmeno voglia di cercare il datasheet per pensare ad un suo riutilizzo. Con l'occasione ho aperto anche un altra sveglietta un pò meno vintage. Quest'ultima ha il solito chip affogato ma il principio di funzionamento sempre lo stesso. Un bobinone fa girare un piccolo rotore ad una velocità costante impostata dal quarzo. Il rotore fa girare gli ingranaggi opportunamente progettati. Niente di complicato o particolarmente stimolante, a parte la doratura dei contatti che raramente si trova nelle svegliette da pochi euro. 
Nei prossimi giorni sarà obbligatorio un giretto dai cinesi...budget...un euro. Alla prossima.

P.S. l'equinozio è il padre degli equivizi. Ripeto: l'equinozio è il padre degli equivizi.





riciclo creativo lampadine

Cazzeggio, autentico cazzeggio. Sono da tre giorni indeciso se buttare un pò di roba inutilizzata o inutilizzabile dal laboratorio. Non riesco a decidermi. Tutto mi sembra utile, riutilizzabile, riciclabile, migliorabile, trasformabile e per quello che no.... sono curioso di aprire, vedere, provare, capire come funziona... è più forte di me. Così, per derogare quello che vorrei/dovrei fare...mi capita per le mani una vecchia lampadina ad incandescenza (di quelle di una volta dirà qualcuno). Andate in pensione, man mano che si bruciano, terminata la loro vita programmata a morire dopo un tot di ore, occorre sostituirle con quelle a led (meglio di quelle a fluorescenza che fanno letteralmente schifo e inquinano da morire). Ne ho una da 40 watt e mi metto in testa di vuotarla ed utilizzarla come contenitore per ancora non so cosa. Prima di iniziare, è meglio ricordarsi di manipolare la lampadina avvolgendola in un panno o della carta, giusto per evitare, se esplodesse, di tagliarsi le mani o peggio che qualche scheggia finisca negli occhi (quest'ultimi non sono previsti di ricambio). 
Per procedere ho fatto così: con un attrezzo rotante ed una lama diamantata si asporta il contatto centrale, quello solitamente nero dove al centro c'è un bottone metallico. 
Si asporta tutto e si cerca di rendere accessibile l'interno della ghiera filettata.
Con un cacciavite si fa leva sul condotto di aspirazione in modo da farlo saltare via. Poi, sempre con un cacciavite ed un martelletto, si cerca delicatamente di far saltare anche il tubo che supporta i due contatti che sorreggono il filo in tungsteno (quello che attraversato dalla corrente diventa incandescente ed emette luce). 
Sempre con il rotary tool, con una mola abrasiva, si allarga il foro in modo da agevolare l'estrazione di quello che resta all'interno. L'operazione serve anche per poter pulire l'interno ed infilare quello che si riterrà opportuno. Per pulire per bene l'interno, la soluzione migliore è quella di usare della sabbia fina, abrasiva, Si agita per bene e si svuota il tutto, così l'interno rimane pulitissimo, provo di annerimenti.
Ora c'è il problema... che ci faccio con una lampadina vuota?. In rete principalmente si trovano delle idee.
Terrario: prevede la semina e germogliazione di semini di erba o altro... ma se il contenitore non drena l'acqua è facile che le radici possano marcire se si esagera con l'innaffiatura.
Porta fiori: si inserisce un fiore dopo aver creato un supporto in filo di ferro da appendere. Non mi piace recidere i fiori che stanno bene dove sono.
Lume a petrolio. Si riempie di olio da lanterne e si infila uno stoppino dentro la ghiera filettata, in modo che peschi il liquido. Su questa soluzione ho dei dubbi. Lasciamo stare cosa produce nell'aria la combustione di olio o petrolio derivato. Mi preoccupa il calore... anche se il vetro della lampadia è progettto per le alte temperature del filamento interno, ho il timore che il bulbo possa incrinarsi e far fuoriuscire l'olio infiammabile.
Altre idee? perchè no creare un altra lampadina, stavolta a led? magari una lampadina da tavolo, visto che ricreare l'attacco è un pò problematico. Mi sa che proverò quest'ultima soluzione non appena mi verrà l'estro di sperimentare dei circuiti a reattanza capacitiva. Alla prossima.

P.S. nutri la nutria e piazza la pizza. Ripeto: nutri la nutria e piazza la pizza.

domenica 15 marzo 2015

Sono malato...

...si lo so, sono malato di mente e questa è una costante. Ma a peggiorare le cose è che mi sono ammalato fisicamente. Forse durante una delle mie rarissime uscite dal bunker nel quale complotto contro il vostro stupidissimo pianeta popolato da unani m*rdosi, sono entrato senza volerlo entro il raggio di un metro da un untore infetto che, incurante del prossimo, deve avermi sputazzato qualche vairus a mia insaputa. Di sputazzatori schifosi è pieno il vostro pianeta m*rdoso. Unani che, in piedi negli stretti punti di passaggio obbligati, non si spostano di un millimetro pur consapevoli di intralciare il passaggio altrui, unani che toccano e ritoccano per richiamare l'attenzione di chi non è assolutamente interessato ai loro discorsi insulsi ed inutili, unani che se non stai attento bevono dal tuo bicchiere giusto per affinare la raffinatissima arte dello scrocco, unani che vorrebbero assaggiare la tua sigaretta elettronica prima di comprarsene una tutta loro ma che non si fidano dei racconti altrui, unani che parcheggiano un pò dove c*zzo gli pare qualsiasi mezzo possa intralciare gli altri (moto, bici, auto, monopattini, cavalli, cani, borse della spesa, sedie....). 
E così mi ritrovo con il mal di gola, mal di testa, naso chiuso, dolori articolari e muscolari... tutto per colpa di un maledetto unano, untore, lebbroso, un monatto del terzo millennio, un infetto ambulante probabilmente assoldato dalla spectre o dal NWO per sterminare l'umanità, quella sana e prevalere nel dominio degli unani. Bastardi. Guarirò... e sono 'azzi vostri, maledettissimi unani. 

P.S. il pozzo è avvelenato. Ripeto:  il pozzo è avvelenato.

martedì 10 marzo 2015

Vimar elvox art.1721 (riparazione)

 Ed era un pò di giorni che mi incazzavo con postini e corrieri, non senza sgridare mia madre che ci sente poco, ma il campanello di casa non suonava. Problema del pulsante. Provo a toglierlo dalla scatola ad incasso, tolgo l'ossido di rame che si forma su fili e contatti...niente...non chiude, è proprio "rotto". Stamattina un giro dal ferramenta di zona facilmente raggiungibile con il mio cavallo d'acciaio (non proprio, la bici è di alluminio) e l'amara sorpresona... 21 euro!! Caxo!! VENTUNEURO! Alle mie rimostranze la Dottoressa, componente della banda bassotti di turno al bancone prova a difendersi..." ...questo è il modello di qualità...." con un sorrisetto ebete stampato in faccia di chi è abituato a dire sempre la stessa cosa, automaticamente, alle lamentele dei clienti su qualsiasi articolo. Eccheccaxxo! Qualità! "L'ultimo l'ho preso qui due anni fa ed è già guasto!"Vabbè, ho fretta che sto aspettando dei pacchi dai miei fornitori abituali cinesi (che da voi in itaglia non compro proprio più un caxo!) Preso!. 
Sostituisco il pezzo ed il campanello ricomincia a funzionare. Non pago, il vecchio pulsante entra immediatamente in laboratorio. Non può essere che non si possa riparare. L'articolo è prodotto dalla Vimar (www.vimar.com), mod ELVOX Art.  1721 Pulsante da chiamata ad incasso. Non è specificato se da interno o da esterno, fatto sta che per l'umidità e la pioggia è un vero colabrodo. L'apertura, per accedere ai contatti interni, non sembra concessa a noi poveri utenti. Ma si tratta di uno stupidissimo pulsante con dei contatti ed una lampadina a bulbo. Ok, pazienza. Per aprirlo occorre fare delicatamente leva nella parte interna, in basso, sul lamierino ripiegato. Meglio se si riesce ad infilare una lama per tutta la lunghezza, altrimenti col cacciavite pian piano si creano delle inevitabili "onde" che però poi restano nella parte nascosta. Si toglie il lamierino protettivo e si prova a sfilare la parte in plastica trasparente. Poco male se si rompono i supporti dei due piolini lateriali che fanno da perno. Nel caso. o un pò di attack o una nuova sede con dei pezzettini di plastica incollati con termocolla. 
Si può fare. Il contatto viene via stringendo l'arpione centrale e facendo leva delicatamente sui due gancetti laterali, svelando l'interno. Una molla ed un lamierino di ottone che poggia su due lamine conduttrici su cui sono poi fissati i morsetti esterni. Un pò di carta vetrata grana 120 e si rimonta il tutto, grattando anche le viti ed i morsetti in modo da togliere ruggine e ossidi. 
Si rimonta il tutto et voilà, 21 euro risparmiati per la prossima volta. 
Due parole sul pezzo che abbiamo analizzato. Di margini di miglioramento ce n'è a iosa, davvero tanti. Intanto il contatto andrebbe protetto un pò meglio dalla pioggia. La tettoietta della scatola è insufficiente contro la pioggia di traverso. Il contatto poi... andrebbe fatto in modo che alla pressione la lamina di ottone si potesse piegare un pò in modo da creare un naturale sfregamento meccanico fra le superfici in contatto (nei relè si fa così per evitare che lo scintillio accorci troppo la vita alle parti dell'interruttore). Poi... nel modello di due anni fa, le viti che chiudono il pulsante hanno la testa a taglio, mentre le viti dei morsetti hanno la testa a croce... giusto per farci portare due cacciaviti al posto di uno. Già però mi immagino l'ingengere della vimar, reparto R&D ricerca e sviluppo... tutte cose fattibili, ma poi il pulsante quanto andrebbe a costare? 40 euro?
E per finire... il bulbo di illuminazione, 24 volts 3 watt... ma non è meglio un led bianco o colorato con un condensatore ed una resistenza di caduta a reattanza per l'alternata? Se calcoliamo 3 watt per ogni lampadina dei campanelli, moltiplicati per le famiglie italiane... quante centrali nucleari servono solo per illuminare inutilmente anche di giorno dei pulsanti per ogni abitazione? Ci abbiamo mai pensato a risparmiare un pò tutti, con un minimo di intelligenza, per evitare che consumi inutili ed evitabili ci portino a distruggere lo stesso ambiente in cui dovremmo vivere serenamente? Pensaci, dai. Ciao imbecilli. 

P.S. l'orso è sul pack e la foca è veloce. Ripeto: l'orso è sul pack e la foca è veloce.