lunedì 27 aprile 2015

Castelgarden XP 41 EL (manutenzione straordinaria)

Gli impegni di lavoro sono tanti, a volte inderogabili, e nel frattempo... l'erba in giardino cresce sino a raggiungere un altezza che la foresta pluviale amazzonica ci fa una sega. Viene il giorno che ci si decide di mettere mano al giardino e ci si rende conto dei mille problemi dimenticati e lasciati in disparte per altre stupidissime "priorità". Un rasaerba elettrico da 1300W, progettato appunto per rasare l'erba e non certo disboscare una jungla, si rivela insufficiente a tal punto da richiedere una piccola manutenzione. Il rotore fa fatica a girare affaticando il motore, le croste di erba risecchita sotto il vano lame appensantiscono la struttura assieme all'attrito delle rotelle di plastica ormai quasi bloccate. 
Stiamo parlando di un rasaerba Castelgarden XP41EL, prodotto da GGP Italy (di un paese chiamato Castelfrancoveneto in provincia di Treviso) e rivenduto da un certo GUSI (sempre nel Veneto a tradizione agricola). 
Non è certo un modello "professionale", concepito per piccoli prati "inglesi" tutti perfettini che sembrano sintetici, privi di erbacce e graminacee dure come l'acciaio, un modello abbastanza economico per farla breve. Il Corpo di supporto è interamente in plastica ed è dotato di un motore elettico ad induzione da 1300Watt  FEVILL Electric KFT mod KUC 752F7N13-P02 da 2800 giri al minuto (lento, troppo lento). 
L'apertura è estremamente facile e ciò significa facilità di manutenzione periodica. Con un cacciavite a stella si smonta la calotta superiore nera copri motore, fissata su un punto ed agganciata dalla parte opposta con un dentino a scorrimento che si aggancia al corpo di supporto. Una leggera trazione verso l'alto spingendo in direzione frontale ed il coprimotore viene su con facilità. Sotto scopriamo il motore ed il condensatore (tutti i collegamenti elettrici sono a fast-on per cui non serve tagliare nulla). Si scollegano i fili, magari segnando con un pennarello le corrispondenze in modo da ricollegare il tutto esattamente come era prima. Prima di togliere il motore, occorre smontare la lama. Un dado centrale tiene le lame ed un supporto plastico che assicura la ventilazione del motore (soffiando inevitabilmente nel tempo particelle d'erba all'interno del motore) e che va sfilato (è sufficiente tirare).
Dalla parte superiore si svitano 4 viti autofilettanti con testa esagonale ed il motore viene via (attenzione a non afferrarlo per gli avvolgimenti). Fare attenzione che le 4 viti sono avvitate con il tramite di 4 parti di plastica nera che presumo facciano da "ammortizzatore" o "cuscinetto" (segnare il loro alloggiamento). Non c'è altro da smontare (l'interruttore di sicurezza è ok per chi non vale la pena smontarlo). 
Come si può notare l'interno è ben invaso da residui, terra, foglie, erba e dio solo sa cos'altro (e forse qualche merdina dei cani che si sa non sotterrano la merda come i gatti). Con una spatola si rimuove l'erba secca, le croste di terra e tutta la sporcizia interna. Se si vuole esagerare...un panno umido per il verde che colora la plastica rossa. 
La manutenzione del motore: Ho provato a togliere le 4 viti Torx T30 che uniscono i due supporti a croce dei cuscinetti. L'intento era quello di pulire il tutto internamente e sostituire i cuscinetti (controllando l'eventuale formazione di ruggine). Niente da fare. Sembra che lo statore lamellare sia saldamente fissato ad incastro con delle specie di "chiodini" frapposti con il supporto esterno, per cui ho deciso di procedere solo con la lubrificazione dei cuscinetti....un abbondante innaffiata con un pò di Svit*l (nei cuscinetti) ed una notte ad agire hanno fatto un mezzo miracolo...solo mezzo, ma meglio di niente. Una bella soffiata con l'aria compressa ed il motore può tornare al suo posto. L'apertura totale non è impossibile ma la regola "ciò che funziona non si tocca" è d'obbligo. 
Le ruote:... sono di plastica con perno metallico filettato (rotazione ad attrito)... vanno leggermente "lubrificate" per renderle un pò più scorrevoli e pulite per evitare che i residui del taglio vadano ad appesantire la rotazione. Hanno tre fori dove possono essere montate, per "regolare" l'altezza di taglio...erba molto alta = altezza massima ovvero prato inglese  = altezza minima. 
Un ispezione finale per verificare se ci sono crepe o rotture sui supporti e si rimonta il tutto. 
La lama: va affilata un pò. Dopo anni a frantumare pigne, sassi, radici, terra ecc... si riduce ad uno schifo, non taglia più ma strappa, affaticando ulteriormente il motore che si scalda, brunisce lo smalto degli avvolgimenti ed è solo questione di tempo... il motore muore e di cambiarlo nemmeno a parlarne. Per affilarla...a mano con una lima da metalli, un flessibile con mola vetrata grana 80 o alla peggio con disco per taglio metalli. Si passa sul filo sino a togliere dentellature o parti pestate dai sassi. non serve un affilatura giapponese... basta che sia affilato al tatto senza badare tanto all'angolo di affilatura. 
Alcuni accorgimenti: Il rasaerba andrebbe pulito per bene appena terminato l'uso (e chi ci ha la forza dopo una giornata in giardino?) per evitare la formazione delle croste ed andrebbe riposto in luogo asciutto dopo averlo asciugato al sole (lo si adagia su un fianco al sole). 
Recensione gratuita: il ciottolo non è poi un disastro come credevo (compatibilmente con quello che ci si aspetta), seppure in presenza di tanti margini di miglioramento. Il corpo di supporto per essere irrobustito presenta delle "camere" vuote che si riempiono di tutto (dai ragni all'erba sminuzzata) rendendone un pò difficoltosa la pulizia. Il motore... è troppo lento, si affatica facilmente. Vale la pena eventualmente di farlo riavvolgere?? non lo so, dipende. Il costo si aggirerebbe dagli 80 ai cento euro, credo di più del valore dell'attrezzo... per cui forse è meglio pensare ad un motore da recupero preso magari da un altro con i supporti rotti. La lama...non guasterebbe una di qualità leggermente superiore a parità di fascia di prodotto. Di positivo ha che è silenzioso (93dB) ben al di sotto del rasaerba a scoppio del vicino di me***, con un motore Tupolev di fabbricazione sovietica in epoca della guerra fredda, acceso sempre nell'ora del riposo pomeridiano o al mattino presto, bastardo! Alla prossima. 

P.S. il grillotalpa non rode. Ripeto: il grillotalpa non rode.

martedì 21 aprile 2015

Saldatrice fai da te con MOT (parte 1)


E' periodo di trasformatori e... e... è venuto il momento di iniziare la costruzione della saldatrice a punti con un MOT (Microvawe Oven Transformer) ossia il trasformatore del forno a microonde. 
Per la verità, da tempo, si trovano in rete un sacco di soluzioni, non è una novità, per cui voglio documentare qui le "difficoltà" incontrate,  poco mi importa delle brutte figure, sono pazzo, per cui. 
Allora, andiamo con ordine. Il trasformatore proviene da un forno a microonde buttato da un ristorante, produttore DONG YANG Power Systems Co, LTD DMC-M Class 200 YS-450. Non certo un modello economico, che ormai si trovano a meno di 40 euro dai cinesi, anche se è di produzione cinese. L'ho tenuto proprio per questo, fatto a pezzi e recuperato il recuperabile, compresa la ventola, i microinterruttori, il condensatore ad alta tensione (quest'ultimo da sperimentare). Il magnetron e relativo magnete l'ho buttato. Sì, contiene quel collarino rosa che è una sostanza altamente tossica, velenosa, per cui preferisco rinunciare al magnete toroidale e tenermi la salute. Non scherzo, non è nemmeno da toccare per nessun motivo (#sapevatelo). 
Il trasformatore va modificato, per ottenere sul secondario una bassa tensione ma una corrente poderosa, sufficiente a fondere in pochi secondi dei piccoli lamierini da saldare assieme. Con due trasformatori modificati messi in serie o parallelo, è possibile ottenere anche una saldatrice ad elettrodo, opportunamente ventilata ovviamente perchè non si scaldi troppo e lo smalto del rame sugli avvolgimenti vada a farsi friggere (diventa scuro e perde le sue capacità isolanti).
Come si fa a riconoscere l'avvolgimento da togliere? E' quello con il filo più sottile e maggior numero di spire (è un trasformatore che "alza" la tensione e non come quelli tradizionali degli alimentatori che la abbassano). Per cui è quello usato come "primario" a 230V da tenere, quello con meno spire e filo più grosso. Per togliere il secondario ci sono varie scuole di pensiero. C'è chi taglia con un flessibile le lamelle in corrispondenza della saldatura e poi risalda il tutto dopo aver pulito per bene l'interno. Altri invece tagliano, sempre con il flessibile, il secondario facendo bene attenzione a non rovinare il primario. Il primo sistema è più "pulito" e sicuro ed assicura la costruzione del secondario più facilmente. Il secondo metodo è più rischioso e difficoltoso ma almeno non si deve usare una saldatrice che magari uno nemmeno ce l'ha. Io ho preferito tagliare delicatamente col simildr*mel e disco diamantato l'avvolgimento e sfilare pian piano il tutto, compreso l'avvolgimento ausiliario ed alcune lamelle aggiuntive poste fra primario e secondario del MOT. Ci ho messo di più, certo, ma nessuno mi corre dietro. 
Ora devo trovare il filo per rifare il secondario... non so dove recuperarlo... qualche cantiere? boh, vedremo. I collegamenti e gli elettrodi prevedo di farli con delle barre di alluminio, meno costose, più facilmente reperibili e comunque sempre un buon conduttore, al limite ho dei profili di ottone...valuterò il dafarsi. Per il supporto penso di utilizzare una vecchia colonnina porta trapano (quelle da hobbisti che sono delle vere ciofeche). Così mi assicuro un movimento lineare nella discesa dell'elettrodo superiore e non radiale come per la versione a cerniera. Inizialmente opterò per un collegamento grezzo... voglio verificare fino a cosa riesco a saldare. Se tutto mi soddisfa procederò con un contenitore adeguato, e se mi gira...lo faccio portatile per saldature al volo (in giardino serve sempre una puntatrice per i supporti dei pomodori e delle melanzane. Come primo progetto? devo saldare dei fili di ferro per crearmi delle grucce su misura da usare nell'asciuga biancheria a sacco, quella ad aria calda. Vedremo. Alla prossima. 
P.S. L'involtino plimavela è plonto. Ripeto: L'involtino plimavela è plonto.

sabato 18 aprile 2015

Trasformatore (esperimenti)


Mi accingo a riparare un alimentatore a 24 volts 6 ampère (non switching) da me progettato e realizzato e dal mucchio dei trasformatori ne salta fuori uno che sembra fare al caso mio. 12+12 con presa centrale, dimensioni generose (per non avere sorprese a carico)... prima di installarlo provo a misurare le tensioni in uscita. Purtroppo solo uno dei due avvolgimenti del secondario funziona....strano, non sembra bruciato, consumato o danneggiato. Decido allora di smontarlo e vedere quanto è mai difficile ricostruire gli avvolgimenti. Senza l'attrezzatura idonea, senza un avvolgitore ma soprattutto senza un bobinone di filo smaltato della sezione giusta... la vedo dura. Metto quindi da parte l'alimentatore e penso di moddizzare il trasformatore, un pò come si fa per quelli installati nei forni a microonde per costruire la saldatrice a punti (oggetto di un futuro progetto che ho in mente), ma di potenza più piccola, magari per la saldatura a punto dei terminali delle batterie che a saldarle con lo stagnatore ci si riesce ma il calore non gli fa certo bene alla chimica. 
Il nucleo del trasformatore sotto sperimentazione è lamellare, costruito inserendo alternativamente delle lamelle di materiale ferromagnetico isolate l'una dall'altra, di forma rettangolare "I" ed a forma di "E" maiuscola. L'estrazione delle lamelle rettangolari non è poi un operazione tanto difficoltosa. Con un coltello da cucina, o una lama sottile almeno verso la parte della lama che può essere (meglio se) dentellata, si aprono delicatamente le lamine in mod da far saltare il sottile strato di resina gialla. Poi si fa leva da una parte e si toglie il lamierino a forma di I da una parte e dall'altra. Man mano che si crea spazio, l'operazione è sempre più agevole, facendo attenzione a non piegare troppo o per niente i lamierini che dovranno essere poi reinseriti. Per quelli a forma di E la cosa è un pò più difficile, soprattutto per i primi due o tre. Si mette il trasformatore in morsa (senza stringere troppo altrimenti si creano dei corti sulla superficie esterna) e con la lama inserita nel corpo centrale facendo attenzione a non rovinare gli avvolgimenti,  si picchietta con un martello sino a quando la resina salta e si sfila la lamiera. Non è cosa risultata facile ma con molta pazienza, manualità e delicatezza ci si può riuscire. Tolto il corpo centrale (l'avvolgimento) si toglie il secondario, riconoscibile per il fatto di avere un numero di spire inferiore al primario e di sezione più grossa (è un trasformatore che abbassa la tensione). Durante lo svolgimento si prova a contare le spire: 85 circa per ognuno dei due avvolgimenti. Quindi con la formula Vp/Vs=Np/Ns posso calcolare il numero degli avvolgimenti del primario, in modo da calcolare il numero di spire sul secondario per ottenere la tensione desiderata. In questo caso, per 4 volts in uscita dovrei avvolgere 21 spire nel secondario. Ho preso del filo elettrico rigido da un millimetro, recuperato dall'impianto dei casa di 50 anni fa, quando era previsto lo sdoppiamento di impianto luce e forza motrice (qui non si butta nulla, qui si ricicla). Con un trapano si allargano i fori di supporto dei terminali in uscita e si avvolge ordinatamente cercando di tenere il filo a ridosso (il più possibile) del primario... 10 spire, non di più, per cui mi dovrei aspettare in uscita 2 volts circa ed un generoso amperaggio inversamente proporzionale a quello sul primario. 
Si rimonta il tutto inserendo alternativamente le E e poi le I, con un martelletto si riporta tutto in pari e se c'è qualche corto fra lamierini...pazienza, scalderà un pò ma sempre entro i parametri di sicurezza (spero:-). 
Di "E" ne ho avanzate solo quattro ma sono convinto che con un pò di pazienza e calma si può rimettere tutto dentro senza avanzare nemmeno un pezzettino. Impaziente del risultato, ho inserito le viti originali serrandole alla meglio, consapevle che con un lavoro non perfetto il trasformatore emetterà il tipico ronzio a pieno carico. 
Con mia sorpresa, a lavoro ultimato nel misurare la tensione in uscita...mi ritrovo 36,7 volts... why?? i casi sono due:
  • ho sbagliato a contare le spire secondarie in fase di smontaggio
  • ho il tester che fa un pò quello che vuole. 

proprio non mi capacito del risultato.  (AGGIORNAMENTO) misurando la tensione sotto carico la tensione misurata scende a circa 1 volts ed in mancanza di un amperometro che misuri più di 20A non riesco a sapere a quanto ammonti. Fatto sta che con una tensione così bassa non si riesce a fare poi molto, la potenza è insufficiente per qualsiasi lavoro. Cortocircuitando l'uscita si notano solo delle deboli scintille ma niente di che. Forse dovrei dimezzare la sezione del filo e raddoppiare il numero di spire sul secondario...l'esperimento condinua. 
Cmq... il lavoro è in corso d'opera. Voglio collegare in uscita un terminale di grafite o di rame per verificare se si riesce ad incidere l'acciaio... ricordo che a scuola in laboratorio si usava un trasformatore per incidere i pezzi all'ora di meccanica. Vedremo se riuscirò a bruciare qualcosa... senza calcoli più accurati le sorprese sono dietro l'angolo...poco male. Alla prossima

P.S. il gufo è a caccia e l'asino raglia. Ripeto: il gufo è a caccia e l'asino raglia.

giovedì 16 aprile 2015

White LED 8mm

10 LED bianchi da 8mm ad alta luminosità... ritrovati nei cassetti dopo averli inseriti in un ordine di materiale di cui si sono perse le tracce. Il che significa niente datasheet, niente caratteristiche, niente di niente (e niente foto per ora che le batterie della digitale sono a terra). Allora, come si fa ad accenderli? Un pò di intuito può bastare. Se si ricercano in rete le caratteristiche di prodotti simili, qualcosa si trova. Dovrebbe essere da mezzo watt, corrente 120mA, e tensione da min 3,0 max 3,6 volts. Con questi parametri e con la legge di ohm non è difficile calcolare la resistenza necessaria per varie tensioni di alimentazione. 
Ho assunto che la corrente ideale sia proprio da 120mA, contrariamente a quella per i led flash che ne richiedono da 20 a 40mA, mentre ho assunto una tensione di 3,5 volts... rischio, tanto i valori si assomigliano un pò tutti su vari modelli apparentemente simili. I valori della resistenza da mettere in serie sono quindi nella tabella che segue:

12V 70,83ohm 1,02Watt
9V 45,83ohm 0,66Watt
5V 12,5ohm 0,18Watt

Se si va a spulciare sui valori Standard delle resistenze in commercio, assunto lo si voglia far funzionare a 5 volts, la resistenza da 12,4ohm 1% serie E96 è l'ideale ma difficilmente reperibile dai componenti di recupero. Ho quindi ripiegato su una da 12 ohm (serie E24 5% - bande colorate marron rosso nero oro), leggermente inferiore nel valore nominale ma a misurarla con la tolleranza... 12,3 ohm... perfetta. 
Il risultato? è ok,  è un led che illumina bene ed in modo uniforme, complice anche la piccola lente frontale, tanto da farmi pensare ad un utilizzo nel microscopio analogico... vedremo (e perchè, pezzenti, non mi si regala un microscopio decente di quelli bonoculari e digitali?). 
Ora devo provare a metterne più in serie o parallelo, sino a metterne assieme 5 da inserire sul faro della bici. Il problema sarà trovare un contenitore adeguato... non dispero, magari recupero un vecchio fanale per le lampade ad incandescenza e lo modifico. Un altra prova (distruttiva) sarà quella di spremere la massima efficienza luminosa dal LED, compatibilmente con la tensione di batteria.... litio o alcaline? Per il litio mi mancano molti passaggi sperimentali, ma la cosa non mi spaventa. Pensavo di utilizzare delle vecchie batterie da cellulare, che ormai le si trovano a pochi euro se non addirittura recuperate da qualche telefono pronto per la discarica (continuate a buttare dai che mi serve materiale, grazie). Credo inoltre che mi servirà un regolatore di carica e scarica e, perchè no, un sistema per i lampeggi flash (utilissimi per le trasferte ciclistiche in notturna contro i guidatori ubriachi e strafatti)...vedremo cosa si riesce a recuperare. Alla prossima. 

P.S. la tana del tasso è calda. Ripeto: la tana del tasso è calda.

mercoledì 15 aprile 2015

Accendere un led con 230 volts (parte 1)

...ma anche no. Perchè dovrei usare la 230 di rete per una stupidissima spia onoff? Troppo facile. Quello che in realtà mi serve è qualcosa per accendere i led di potenza, tipo il Luxeon III star (LXHL-LW3C bianco da 3 watt ad oggi discontinued) da 1 ampère 3,7 volts, i led a filamento tipo quelle barrette gialle dentro le lampadine, che per accendersi richiedono almeno 60 volts, perchè no le lampade dei vecchi fusori recuperati dalle stampanti laser di una volta, 20 centimetri di pura potenza resistiva per una piantana da ufficio o per un riscaldatore artigianale, o perchè no... di necessità ce n'è un fottìo e procurarsi un trasformatore di recupero... non si trova mai quello giusto... troppo grande, troppo piccolo, troppi volts, troppe tensioni in uscita quando ne serve una... un disastro e la necessità aguzza l'ingegno.
In rete, come al solito, si trovano in infinità di "soluzioni" spiegate malissimo (a parte un paio di esempi sensati), mal funzionanti, che bruciano il led dopo 4 o 5 accensioni, pericolose, prive di dettagli importanti, copiaincollate dai soliti trolls vanitosi a caccia di click per sè grazie alla fatica altrui... andrebbero sterminati col gas. Ad ogni modo... il metodo del fai da te capendo bene cosa si va a fare è sempre il migliore, meglio ancora se accompagnato da tanta sperimentazione e da tanto magic smoke (Bang!! e l'adrenalina sale, così si fa più attenzione, tiè).
L'ultimo esperimento è l'accensione del Luxeon alimentandolo a 5 volts, dopo averlo montato su un dissipatore di un chipset (arancione...una figata). Una resistenza da 2,2 ohm  1Watt, un pò sotto la luminosità che può produrre, ed il faro da bicicletta sta prendendo forma. Divagazioni a parte, voglio documentare qui il metodo "standard" per alimentare quasi qualsiasi carico con la tensione di rete, così non impazzisco più quando la memoria fa cilecca. Il trucco misterioso è il calcolo della reattanza capacitiva. Come si calcola la capacità necessaria?? e quale componene utilzzare? Da dove recuperarlo? andiamo per gradi.
Innanzitutto, dato che vogliamo usare la reattanza per un led da illuminazione, la soluzione a semionda non va bene...tutto sto casino per mezza luminosità....nonono... serve un ponte raddrizzatore o almeno 4 diodi ad alta tensione per prevenire anche le problematiche delle sovratensioni presenti in rete (e negate dal fornitore), i picchi o spikes dovuti a circuiti mal progettati o peggio dai fulmini contro i quali nessuno ad oggi ha mai offerto nulla di efficace, ma questa è un altra storia. Allora...il condesatore... poliestere da 400 a 630 volts... meglio quello da 630, meglio stare larghi ma anche quello da 400 può andare. Perchè no uno da 300?? perchè la 230 è il valore efficace, non il valore di picco che si ottiene moltiplicando per la radice di due...(325Volts che è il valore corretto da usare nelle formule). Ci serve poi sapere la corrente che il carico assorbirà. E qui iniziano i problemi. Se si ha a disposizione il datasheet la cosa è semplice. Per il led Luxeon III star citato prima, la corrente è di 1Ampère ma... se si ha per le mani un led privo di caratteristiche? magari recuperato da qualche lampada bruciata? Lì occorre andare un pò ad intuito e prepararsi a bruciare qualcosa, è quasi inevitabile. Vedremo nei prossimi esperimenti cosa fare. Comunque, per ora, la corrente di assorbimento e la tensione... con la legge di ohm si calcola la reattanza necessaria (in ohm) 

R=V/I  

dove V è la tensione ai capi della resistenza, ovvero la tensione efficace (Vrete per radice di due) meno la tensione ai capi del carico, mentre R=Xc (è  una resistenza all'atto pratico)

Xc= 325,3-3,7/1=321,6 ohm 

(difficile vero?). Con la formula si calcola poi la capacità corrispondente 

C=1/(2*3,141*50*Xc) 

(i numeri corrispondono alla pulsazione ovvero  due per pi greco per la frequenza di rete... consideriamola una costante 314,15), quindi C=0,000009898 farad, ovvero :

C=0,000009898 farad
C=9,898 microfarad
C=9898 nanofarad
C=9898000 picofarad
possiamo arrotondare il tutto a 10 microFarad? certo che si. Esagerando, si potrebbe pure sfruttare la reattanza induttiva, servirebbe una bobina da 1 henry, circa (meglio se verifichi).
Possiamo anche intuire come maggiore è la reattanza e minore sarà la capacità necessaria... ovvero, a parità di tensione al carico, più corrente=meno reattanza=più capacità.... giusto?...meglio se verifichi e non fidarti di quello che trovi in rete.
Ma...un poliestere da 10 microfarad....non si è mai visto. Quindi?? Ci si arrangia mettendo in parallelo tanti condensatori quanti necessari a raggiungere la capacità richiesta?. Boh...mai provato, per cui... esperimento continua... alla prossima. 

P.S. Zucchero è filato. Ripeto: Zucchero è filato. 

venerdì 10 aprile 2015

NE555P Monostabile (Timer)

Un apparecchiatura "elettromedicale" (il virgolettato è d'obbligo) dismessa, è una preziosa fonte di cose da recuperare. Una cessata attività di un poliambulatorio mi ha lasciato in eredità solo le apparecchiature guaste, irrecuperabili, da rottamare. Un laser ad infrarossi per la cura dei dolori artritici o post-trauma... l'unico problema era un diodo spezzato in prossimità di un selettore allentato. Il medico a furia di smanettare la manopola, girando oltre il necessario, ha torto i fili all'interno con conseguente rottura meccanica. Di riparare...nemmeno a parlarne in quanto non so che farmene di un apparecchio del genere (almeno il laser fosse stato visibile...), anche se mi alletta molto la soluzione adottata per il montaggio del diodo laser...un tubo metallico con pulsantino.  Smontare e recuperare? certo che sì.
Non posso nascondere il mio stupore quando l'ho aperta. Collegamenti con fili volanti, basette preforate... da un apparecchio per la terapia del dolore con laser ad infrarosso mi sarei aspettato di più. Impossibile risalire al fornitore (ad oggi scomparso, i suppose, dal mercato). Sicuramente un prodotto artigianale, risalente alla fine degli anni 70 od 80 e sicuramente fuori norma, non con quelle attuali che hanno solo complicato la vita ai produttori e lievitato il loro costo oltre il tollerabile.  La "fortuna" sta nel fatto che per fortuna in questo apparecchio i circuiti sono stati realizzati modularmente, su basette artigianali separate l'una dall'altra. La prima che ho rimesso in funzione è equipaggiata con un NE555P,.. la più semplice... dopo aver ricostruito il circuito a mano seguendo le piste, sono riuscito a capire come collegare i morsetti con i componenti mancanti. Risultato? un temporizzatore in configurazione monostabile. Ton per un certo tempo e poi off, con reset manuale.
Due pulsanti, uno di start ed uno di reset, più un potenziometro che ho stabilito da 300K per assicurarmi tempi lunghi nella temporizzazione. Ho recuperato due microswitch provenienti da chissà dove più un vecchio potenziometro (minimo ha trent'anni) che non sembra ossidato (funziona). 
Il tempo di accensione si calcola con la formula Ton=1,1 RC dove la resistenza è quella collegata al piedino Discharge (7) e C è il condensatore collegato al piedino Thresold (6). Nulla vieta di inserire un potenziometro da 1Mohm per tempi biblici, calcolabili dalla tabella presente nel datasheet dell'integrato (entrambi facilmente reperibili in rete). 
Un piccolo relè a 12 volts (privo di transistor di pilotaggio in quanto assorbe meno dei 200mA che il 555 è in grado di supportare) mi pilota due deviatori, utili per accendere un paio di lampade o in parallelo per carichi più importanti, o magari per la solita luce scale che restando accesa si mangia silentemente i miei risparmi. Possibili modifiche? sicuramente si... un sensore PIR per avviare la temporizzazione, una fotocellula per impedire che la luce si accenda di giorno o quando l'illuminazione è già sufficiente, un reset comandato da remoto...unico limite...la mancanza di fantasia. Ah, la resistenza in serie al led, da 10K a mio avviso, se so volesse portate il Led on su un pannello frontale, andrebbe diminuita alprossimo valore inferiore disponibile per renderlo un pò più luminoso.
Ora devo solo trovare un contenitore adeguato... mi sa che dovrò tornare a frugare nel garbage, qualcosa salterà fuori sicuramente. Lo schema? davvero? in rete si trovano un infinità di progetti già pronti, perchè replicarli? solo per qualche click in più? naaaa. Alla prossima. 

P.S. il bacchetto è di legno. Ripeto: il bacchetto è di legno.