C’è una specie antropologica tutta trevigiana che può essere descritta così: nasce già col cronometro in mano, parla al doppio della velocità del resto della regione, e considera la tecnologia un fastidio da risolvere con la filosofia del “meti xò el cavo che dopo sistemo tuto mì”.
È l’imprenditore della Marca versione hardcore. Quello che ha la sede aziendale in un capannone che sembra uscito da un servizio di “Linea Verde”, ma una rete informatica progettata dall'Ing. Bonobo Imbriàgo.
Ed eccolo qui, il nostro eroe, che entra in studio con lo stesso atteggiamento con cui uno entrerebbe dal parrucchiere dopo essersi tagliato i capelli da solo col decespugliatore.
La frase di apertura è un classico: «Mì gò deciso: vòjo el CRM. Quèo che integra tuto: mail, telefoni, clienti, fornidòri, la contabilità… Tuto! Che no xè pì drìo funsionàr gnènte!»
Già qui sento il fegato che smotta. Perché lo dice come se stesse ordinando un panino al radicchio: uno crede che sia semplice, poi ti ritrovi a spiegargli che serve anche il pane.
«Benissimo,» gli rispondo. «Mi fa vedere com’è strutturata la rete?»
E lui, orgoglioso come un pavone ubriaco in gita a Venèssia, apre lo schema: un router del 2006, due switch cinesi marca “SuperTiger”, quattro powerline piazzate a caso, ed un server che gira su Windows 7 “parché funsiòna ancora ben, eh”.
Sembra un Frankenstein fatto da un bambino di tre anni dopo una brutta notte di febbre.
Poi arriva la parte migliore: «Ma no stàr a tocàr massa, eh. No vojo disfàr tuto, basta che el CRM se integra. Cossa ghe vol?»
Cossa ghe vol?
Come integrare un impianto domotico in una casa dove i fili della corrente sono tenuti insieme da scotch da pacchi e bestemmie in dialetto veneto. Come trapiantare un cuore nuovo in un corpo che fuma 60 sigarette al giorno e beve grappa come fosse acqua santa.
E perché vuole il CRM?
Per “essere moderni”.
Che poi significa poter dire ai soci:«Avón anca el CRM, sì! Semo avanti!»
E magari usarlo due giorni, poi dimenticare la password e telefonare urlando: «Funsiona mìa! Candelporco! Sistema tì!»
La verità, che il Trevisàn non vuole mai sentire, è questa: un CRM in una rete marcia è come montare i freni a disco su una carriola di lamiera: la carriola resta carriola, non diventa una Tesla.
Il CRM è potente, ma non è una protesi per sistemi informatici in fin di vita.
E soprattutto non è un giocattolo da mettere sù, per vanità imprenditoriale.
Perché un CRM serio funziona solo se:
– la rete non è un cimitero di speranze,
– i dispositivi non sono riciclati da un museo di archeologia digitale,
– gli utenti non trattano la password come un optional estetico,
– e soprattutto
se il titolare capisce che il tecnico non è un garzone da comandare, ma un professionista da ascoltare.
Il Trevisàn, però, preferisce sempre l’approccio spirituale: «Dìme ti come far. Ma dopo fasso come digo mi.»
E lì, in quel momento, scatta l’illuminazione: non è un cliente, è un test di sopravvivenza. Una prova iniziatica dei cavalieri Jedi, ma al contrario.
Il CRM glielo farebbe anche volentieri, eh. Ma prima dovrebbe fargli la rete nuova, il backup, la posta, la sicurezza, la formazione, la cultura digitale… insomma, un miracolo alla Lourdes dell’informatica.
Ed io miracoli non ne faccio. Preferisco lavorare con aziende che vogliono crescere, non con aziende che vogliono un CRM per fare colpo in osteria. Alla prossima.
P.S. il capo è pelato. Ripeto: il capo è pelato.



