venerdì 13 giugno 2008

CCFL ed inverter

CCFL è l'acronimo di Cold Cathode Fluorescent Lamp. Sono delle lampade simili ai tubi al neon che siamo abituati a vedere, solo che sono molto corti e sottili. Si prestano bene per una serie di utilizzi illimitati. I CCFL vengono utilizzati specialmente nella retroilluminazione dei display dei computers portatili, ma trovano posto anche in molti modelli di scanner. Per poter funzionare occorre applicare ai loro capi una tensione di centinaia di volts, dipende dal tipo e modello. Recentemente ho disassemblato una serie di stampanti multifunzione HP (PSC2175, PSC2210, V40 ecc.). Spinto dalla curiosità innata che mi spinge a ridurre ai minimi termini tutto ciò che mi capita per le mani, ho disassemblato le unità di lettura di alcuni scanner ed ho notato al loro interno, oltre a degli interessanti sensori di immagine lineari, questi tubicini bianchi, collegati a dei piccoli circuiti da cui partono 2 fili, uno nero ed uno rosso (o giallo). Si tratta dell'inverter che trasforma una tensione continua ad una tensione più elevata necessaria all'innesco della scarica utile all'emissione della luce (ionizzazione del gas all'interno del tubo). Allora ho deciso di prendere una batteria (recuperata da un gruppo di continuità ormai atomizzato in una sera di "follia" elettronica) e provare ad alimentare l'inverter. Ci avevo già provato con un inverter smontato da un PC portatile con un risultato deludente. Nonostante avessi cercato di comprendere la piedinatura del pettine di collegamento, decodificare le sigle degli integrati e cercare di capire come alimentare il tutto, non sono alla fine riuscito a concludere nulla. Stavolta, con solo 2 fili, l'unica cosa che posso eventualmente "sbagliare" è il valore della tensione di alimentazione. Provo inizialmente con il valore di tre volt, poi 5, poi 6 ed alla fine 9,2 volt (la batteria era da 12 ma un pò scarica). Il tubo si illumina bene senza problemi anche a 12 volts. Già sto pensando ad alcune applicazioni. La luce è intensa, bianchissima e la tensione non troppo elevata. Potrei utilizzarli per illuminare l'interno dei cassetti, il mobile rack dove ho stipato i server e l'impianto di rete, magari il baule dell'auto che quella lampadina ingiallita è simile ad un lumino da cimitero. Mi resta solo il dubbio per la durata. Uno scanner è progettato per funzionare ad intervalli, giusto quello che serve per qualche pagina. Come si comporterà l'inverter ed il CCFL se decido di realizzare una lampada da tavolo? Posso trovare una risposta solo se provo ed esperimento. Come si può vedere dalle foto, ho smontato anche un modello a doppio CCFL. Prendo dei tubi di plastica o cartone, li taglio a metà, dipingo l'interno con una vernice riflettente (tipo cromo) e fisso il tutto su un asta flessibile. Il doppio CCFL lo userò per realizzare una lampada con due tubi disposti a V. La chiamerò Vaffa lamp.
alla prossima.

P.S. Il circo ha assunto dei pagliacci. Ripeto: Il circo ha assunto dei pagliacci

lunedì 2 giugno 2008

Il pitale del nonno II




L'ho finito. Ne è uscito un vero capolavoro. Dopo l'antitarlo, la ricostruzione delle parti mancanti, la sistemazione di due cornici, le mani di impregnante e vernice satinata all'acqua, il risultato è sbalorditivo. Posso solo mettere qui alcune foto che si commentano da sole . Nonostante il pessimo tentativo di un precedente "recupero", direi che il risultato finale può ritenersi soddisfacente. Ho utilizzato due zoccoli di legno vecchio per rifare due cornici mancanti.
Ci sono anche alcuni chiodi usati, fatti a mano, provenienti da altri recuperi. L'interno e la parte posteriore presentano ancora l'originale colorazione blu. Per uno dei due coperchi rotondi, ho preferito non procedere con l'aggiunta della parte mancante. Non sono così poi tanto bravo e temo che il risultato sarebbe stato deludente. Ad ogni modo, sono contento, non meno della mia compagna che mi ha ringraziato sin troppo per il "regalo" un pò particolare. Nel ringraziarmi mi ha caricato in auto 1 comodino antico, due panchetti tarlati da imbottire e ricoprire ed una cornice da sistemare... azz. Mi sa che ora se ne approfitta un pò troppo. Fortuna che non ha fretta, per cui posso prendermela comoda e iniziare quando voglio, fra un progetto e l'altro. Ok. per ora basta. Alla prossima.

P.S. Il tarlo preferisce il castagno. Ripeto: Il tarlo preferisce il castagno.

domenica 1 giugno 2008

Reti resitive

Nel frugare fra i componenti elettronici, deciso a verificare il funzionamento del modulo che ho sviluppato per il kernel linux con la realizzazione di un circuito a led da collegare alla porta parallela che dovrà pilotare lo stepper installato nel fusore progettato per realizzare i circuiti stampati col metodo a trasferimento di toner, mi sono trovato in mano un cassettino etichettato "Resistenze da catalogare". Quale miglior posto per reperire 8 resistenze da 1000 ohm 1/8 di watt?
Ad una più attenta analisi trovo anche dei componenti neri con i piedini tutti in una fila e con una sigla sconosciuta, accantonati in attesa di essere classificati ed ordinati. Sono delle reti di resistenze confezionate in quel modo per risparmiare spazio sui circuiti stampati, generalmente usate come resistenze di pull-up. Dopo averle separate dal resto, inizio un paziente lavoro di raggruppamento per valore... già, ma quale valore? Una rapida e superficiale ricerca in rete non mi è molto di aiuto. Decido di andare ad intuito. Innanzitutto occorre scoprire come sono disposte le resistenze, solitamente con un capo in comune o singolarmente separate le une dalle altre.
Per fare questo infilo il componente in una breadboard sperimentale e con dei ponticelli di filo "porto fuori" i collegamenti per poterli misurare agevolmente con i puntali del tester. Una piccola serie di misurazioni confrontata con le sogle stampigliate sul contenitore della rete resistiva mi permette di classificarle molto rapidamente. Dalle prove sperimentali ci si accorge che ogni produttore adotta un proprio metodo di sigle che però, con un minimo di fantasia è possibile decodificare, fatte salve alcune eccezioni. Facciamo alcuni esempi con alcune sigle...
Una lettera A o B indica nel primo caso un collegamento della rete resistiva con un comune a tutte le resistenze, mentre nel secondo caso (ove può comparire anche la lettera "C") indica che ogni resistenza è isolata dalle altre. In alcune codifiche, la lettera A o B è preceduta da un numero che può indicare o il numero di resistenze presenti nella rete resistiva o il numero di pin che caratterizza la rete. La cifra 9 ad esempio può indicare la presenza di 8 resistenze più un capo in comune (quindi rete resistiva di tipo A).
Poi solitamente esiste un numero a tre cifre, le prime due delle quali indicano il valore a cui va aggiunto un numero di zeri pari alla terza cifra (è il moltiplicatore simile a quello delle resistenze con le bande colorate). Una lettera "finale" J o G dovrebbe indicare, presumo, la tolleranza. In alcuni casi il valore è indicato in chiaro con tanto di unità di misura. Un puntino o una barretta serigrafata, indica il pin comune a tutte le resistenze collegate secondo la disposizione di tipo "A".

Ecco alcuni esempi:
AE10K
9A103J
10KJ
1A103J
10KohmJ
Le sigle qui sopra sono sigle comuni per rete resistiva di tipo A, composta da resistenze del valore di 10 Kohm

A102J rete resistiva di tipo A, da 1 Kohm
B100J rete resistiva di tipo B, da 10 ohm
C10ohm rete resistiva di tipo C (?), da 10 ohm
B472J rete resistiva di tipo B, da 4,7 Kohm
A472J rete resistiva di tipo A, da 4,7 Kohm
A472G rete resistiva di tipo A, da 4,7 Kohm
A8472J rete resistiva di tipo A, da 4,7 Kohm
9A472J rete resistiva di tipo A, da 4,7 Kohm

Di fronte alla sigla 316J, dato che il mio multimetro misura solo sino a 2 mega ohm, suppongo siamo in presenza di resistenze da 31 mega ohm

Esistono anche delle sigle "esotiche", quali:
10X561G rete da 9 resistenze (10 pin) collegate con lo schema A (1 capo in comune), da 560 ohm
L101S104 rete da 10 resistenze collegate con lo schema A (1 capo in comune), da 100 Kohm

E per finire la sigla misteriosa su un contenitore tipo DIL da 16 piedini compatibili con gli zoccoli a passo integrato. Sigla IAM E3318. Le prime tre lettere presumo indichino il produttore, la cifra indica 8 resistenze indipendenti da 330 ohm.
OK. Ora, "finalmente" anche questi componenti sono in ordine nei cassetti. Pian piano, man mano che mi serve qualcosa, ne approfitto per mettere un pò d'ordine. Non penso nemmeno alle sorprese che avrò quando inizierò a catalogare i chip di memoria flash, i processori, le E2prom, le interfacce rs232 che so di avere da qualche parte in attesa che li utilizzi per qualche progetto. Per stasera basta. Mi sono meritato un pò di riposo. alla prossima.


P.S. Attenti al lupo. Ripeto: Attenti al lupo.