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mercoledì 23 ottobre 2019

Switching S-250-40 (riparato)

Un alimentatore switching cinese a cui ho tirato un pò troppo il collo. Colpa mia. Pretendere di succhiare più di 6 ampère (a vuoto), per un motorino che sotto carico assorbe moooolto di più, con un alimentatore da 5A è da imbecilli, ma del resto quel motore avevo e quell'alimentatore era l'unico disponibile per realizzare un mini tornio per tornire i manici di legno. Speravo solo tenesse un pò di più e che avesse un qualche limitatore di corrente (si certo, come no!). 
Per la riparazione, senza schema, ho dovuto improvvisare un pò. Si parte dall'ingresso e si controllano i componenti in cascata. Magari ci si può aiutare con qualche schema di principio e seguire le piste, l'esperienza fa il resto.
Questo alimentatore del resto non è poi così complicato e non ha nessun componente SMD. Il ponte raddrizzatore in ingresso era andato ma c'è una cosa che non mi spiego: il ponte raddrizzatore era da 4A mentre l'alimentatore da 5A... decisamente sottodimensionato, valli a capire i progettisti cinesi, e così l'ho sostituito con uno da 8A (oltre al fusibile ovviamente). Ho inoltre, con l'occasione, aggiunto della pasta termo conduttiva nei dissipatori a contatto con i mosfet ed i diodi, giusto per scrupolo. Comunque, riparazione effettuata, alimentatore funzionante ed ho pure sperimentato un nuovo flussante per le dissaldature, non male. Alla prossima. 

P.S. il treno per Yuma è in ritardo. Ripeto: il treno per Yuma è in ritardo.

venerdì 27 luglio 2018

Antichi cacciaviti Vintage (inizio XX secolo)

Mi sa proprio che sono un patetico accumulatore compulsivo. Non si spiega come mai ho acquistato questi cacciaviti dall'aspetto antico, molto vecchio. Qui siamo oltre la soglia del "vintage". 
Hanno il corpo interamente in metallo, prodotti quando la durevolezza era un plus, non come oggi dove è tutta plastichetta. In corrispondenza del manico sono applicati con dei rivetti, due inserti in legno che conferiscono un aspetto molto particolare. L'impugnatura che ne risulta, a sezione ovale, permette una presa migliore e con le mani è così possibile esercitare una forza di torsione superiore a quella che si potrebbe esercitare se il manico fosse tondo. 
I segni di ribattitura in testa, ci raccontano che il cacciavite è stato usato assieme ad un martello, per chissà quale operazione. 
Particolare è quello che ho definito un "levachiodi". Forse in realtà, questo taglio particolare serviva per l'apertura di qualche coperchio o vite con testa a due punti. Ho il sospetto che questi cacciaviti fossero a corredo di qualche automobile o mezzo militare inglese, avendone visti di simili per le auto d'epoca. L'assenza di marchi o segni distintivi non aiuta molto ma la lavorazione, il legno, il metallo e la patina ci suggeriscono di collocare questi oggetti ad inizio secolo, probabilmente fra gli anni '30 o '40. A quell'epoca in itaglia i cacciaviti erano meno elaborati, con il manico tondo.
Vorrei venderli (subito, non svenderli) a qualche intenditore o a qualche collezionista. In alternativa li uso come oggettistica per un arredamento vintage, con i mobili costruiti da vecchi bancali, che fa rustico ed elegante allo stesso tempo. Di lucidarli e cambiare le impugnature nemmeno a parlarne, questo lo fanno gli americani che di restauri non capiscono un caxo!. La patina, la ruggine e l'usura devono restare a testimonianza, conferendo valore storico agli oggetti. 
Alla prossima

P.S. Venezia affonda. Roma brucia. Ripeto: Venezia affonda. Roma brucia.

martedì 6 marzo 2018

Porta inserti fai da te

Sto procedendo con lo smontaggio TOTALE della macchinetta del caffè De Longhi Eco310.V
In realtà dovrei solo sostituire la pompa dell'acqua e già che ci sono, sostituirò anche la guarnizione sottocoppa e perchè no anche il filtro del serbatoio. Ma dopo l'ultima pulizia a fondo (3 anni fa), noto che è ora di procedere con una rigenerazione totale, smontandola ai minimi termini, pulendo anche le parti meno accessibili e rimuovere la polvere di caffè ed il calcare che con il tempo si sono annidati ovunque. Come annoterò in seguito, ne vale la pena. Il problema che si presenta quando si decide di smontare completamente la macchina del caffè in questione... è che ci si scontra con le paranoie del produttore e con i magheggi del progettista che ha ben pensato di creare delle "trappole tecniche" atte ad impedire agli utilizzatori domestici di riparare in proprio, utilizzando i normali attrezzi che si trovano al brico center di zona (o anche ormai ai supermercati Lidl, tanto per capirci).
Per rimuovere la base, occorre svitare 4 viti "di sicurezza", del tipo W1, quelle a foro esagonale ma con un piolo centrale che richiede l'inserto a punta forata. Ma non basta. L'inserto non è certo reperibile con estrema difficoltà, basta andare da un buon ferramenta ben fornito e con l'occasione si prende il kit che contiene quasi tutti gli inserti disponibili. Conscio di ciò, il progettista frustrato in vena di dispetti pensa bene di affondare la testa della vite ad una profondità tale che non può essere raggiunta con i porta inserti "standard". Non contento, in pieno delirio vendicativo, pensa bene anche di creare un foro (l'alloggiamento della vite) di diametro inferiore rispetto al diametro dei più comuni porta inserti, così proprio non si riesce ad accedere alle viti per svitarle, tiè, così impari maledetto riparatore fai da te!! Del resto, povero "pollocliente", devi solo pensare a comprare il nuovo, buttare il vecchio o alla peggio andare dai riparatori "ufficiali" ed "autorizzati" che ti aspettano al varco, dopo essere stati costretti a frequentare costosissimi corsi di formazione dei produttori ed acquistare i loro costosissimi attrezzi esclusivi (con il miraggio di rifarsi sul primo ignaro cliente).
Scherzi a parte (ma nemmeno tanto scherzo), ci si può arrangiare diversamente... basta farsi una prolunga di diametro esterno più piccolo di un normale porta inserto a magnete... come?
Provvisoriamente, senza tante lavorazioni, si prende un tubicino di ottone, da 7mm, lo si taglia a misura e ci si infila dentro l'inserto che però ha un diametro da 7,15 e difficilmente entra dentro ad un foro interno da 5,7mm
Allora si pratica un taglio in testa al tubo, si infila l'inserto e con un martello si picchia il tubo in modo che prenda la forma esagonale e non possa far ruotare l'inserto. Fatto.
Per una soluzione sporca e frettolosa, da pochi minuti, è perfetto e la cosa che spacca proprio... è che FUNZIONA!. hack hack!

Per migliorare invece la presa e creare una prolunga porta inserti più funzionale, si può pensare a colmare i margini di miglioramento:
praticare tre tagli sottilissimi con una mola da taglio tipo Dr*mel. Ogni taglio è fatto in corrispondenza degli spigoli dell'esagono e per non sbagliare basta infilare il tubo in un dado esagonale che avrà così i 6 lati di riferimento rispetto alla mola che dovrà essere tenuta il più orizzontale (o verticale) possibile. 
Una volta inserito l'inserto campione, con un martello si adattano le 6 linguette così create alle pareti piatte dell'inserto esagonale. Per chiudere il tutto si possono stagnare (con una torcia ed un pò di stagno e flussante) le fessure, senza paura che lo stagno si attacchi all'inserto (non si attacca manco a provarci). Per sicurezza, e per irrobustire, si può anche pensare di avvolgere un sottile filo di rame non smaltato che prenderà lo stagno all'esterno e che andrà poi rifilato o smussato per diminuire il diametro esterno dell'attrezzo.
Per finire, una passata al tornio (o sulla testa di un mandrino da avvitatore) per mettere tutto in pari e lucidare l'ottone. Un bel manico ricavato da un ramo (nocciolo, ulivo, un vecchio bancale.... bastano 10/13 cm al massimo) fa il resto. Vogliamo esagerare inserendo anche un magnetino al neodimio? perchè no? Alla prossima.

P.S. la gallina ha fatto l'uovo, Ripeto: la gallina ha fatto l'uovo.

P.P.S .......,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,;;;;;;;èèèééé ecco un pò di punteggiatura e di "E" accentate in più, di scorta. Mettila un pò dove 'zzo ti pare, pensa al tuo di blog e vaffanculo e te, alla grammatica ed alle regolette da giornalista. 

P.P.P.S ...si, sono stronzo, ma avete cominciato prima voi.

martedì 25 luglio 2017

Controllare la pressione della pompa macchina caffè

Il caffè rientra fra i diritti fondamentali dell'uomo, assieme agli altri ma senza riconoscimento ufficiale (ipse dixit). Ragion per cui, se per un motivo qualsiasi la macchinetta del caffè espresso che troneggia in cucina smette di funzionare... no... l'eventualità non è contemplata, la macchinetta del caffè è come un dispositivo salvavita e ne va garantito il funzionamento. 
Per i più intraprendenti, previo consenso dell'amministratore delegato che scettico concede al manutentore di casa il permesso di intervenire, è riservato il sacro compito di armarsi di attrezzi  e procedere con la riparazione urgente. 
Fra i difetti maggiormente riscontrati nelle macchinette per il caffè espresso possiamo elencare:
  • perdite di acqua 
  • gocciolii e stillicidi
  • mancanza di pressione
  • rumori strani e vibrazioni inusuali
  • altri strani sintomi solvibili solo con uno sciamano 
Più in generale quindi o perdite di acqua o pressione in calo. 
Per la pressione (fornita da una pompa elettrica) occorre innanzitutto assicurarsi che tutti i percorsi siano liberi da calcare che, in alcune zone con l'acqua particolarmente calcarea, provoca dei veri e propri ostacoli con incrostazioni "facilmente" rimovibili grazie ad appositi prodotti principalmente a base di acido citrico (o più drasticamente con l'apertura della caldaia). 
Per assicurarsi se l'acqua scorre a vuoto in modo fluido e la pompa funziona, è sufficiente staccare il tubicino di mandata (in uscita), direzionarlo in un contenitore ed azionare il pulsante di erogazione. In questo modo si esclude il problema di malfunzionamento dovuto al calcare (flusso d'acqua insufficiente) o alla bobina della pompa (quando proprio non parte). 
Tuttavia, può verificarsi un problema intermedio. La pompa, a vuoto eroga acqua (bobina integra), sembra funzionante, ma sotto carico la pompa non ce la fa proprio a far uscire caffè dall'erogatore che dovrà però essere caricato con la polvere "giusta" (non macinata troppo finemente). 
A questo punto il problema può risiedere nelle membrane usurate della pompa che va sostituita. Ma c'è un modo più rapido per individuare da subito quest'ultimo problema senza dover perdere tempo a sezionare, pulire, decalcificare, smontare, rimontare, scaldare e provare a fare un caffè con conseguente spreco del sacro macinato?
Per misurare se una pompa funziona o meno entro i parametri di costruzione, occorre ovviamente conoscerli. A quale pressione deve essere l'acqua in uscita da una pompa normalmente installata in una macchinetta del caffè per uso domestico? Sembra che il valore più gettonato si aggiri attorno ai 4 bar ma è sempre bene cercare di conoscere il valore del modello in possesso, magari rompendo le balle a qualche centro di assistenza o, perchè no? direttamente al produttore. 4 bar valgono per la pompa, non per il vapore che è generato all'interno della caldaia ed esce direttamente dal beccuccio del cappuccino. 
Ma... dove deve essere misurata la pressione? appena dopo la pompa o dopo la caldaia? Dipende da cosa si vuol provare. Se si desidera testare solo la pompa, occorre collegare in uscita un manometro per liquidi, costruendo un adattatore che assicuri la tenuta in pressione (no perdite). Si aziona la pompa con il pescaggio nel serbatoio principale e si misura. Semplice. 
E' ovvio che l'auto costruzione di strumento simile è giustificato solo per chi abitualmente effettua riparazioni. Per chi invece si ritrova con il problema (statisticamente probabile ogni tre o 4 anni di uso intenso se la manutenzione periodica viene effettuata) e decide di far da sè, occasionalmente, c'è qualche alternativa? Forse sì, ma è un metodo meno preciso e che andrebbe tarato con una pompetta sicuramente funzionante. Basta costruirsi un sifone trasparente, un tubicino di gomma piegato ad U fissato su una scala graduata (del legno compensato), riempito parzialmente di acqua e chiuso nell'estremità opposta all'estremità che va alla mandata della pompa. La pompa comprime l'aria residua all'interno del tubicino tanto quanto sarà in grado di farlo. Ci si segna con un pennarello il livello a zero pressione, poi il livello con una pompa funzionante e si prova la pompa oggetto di misura. Se si nota una grande differenza, allora la pompa è da sostituire, altrimenti il difetto va cercato altrove. Un minimo di intelligenza, ingegno e manualità fanno il resto (tutte qualità che a me mancano). Alla prossima

P.S. il fiume è in piena e c'è siccità. Ripeto: il fiume è in piena e c'è siccità.

venerdì 17 marzo 2017

Calibro digitale

Da qualche tempo il calibro digitale di plastica, acquistato per pochissimi euri al brico di zona, ha iniziato a dare dei problemi, a volte non si accende, a volte non si azzera. Segno evidente che i contatti dei pulsanti sono andati a causa dell'umidità o a causa dell'ossido della batteria a bottone. Preso dalla curiosità, ho deciso di smontarlo per soddisfare la mia innata curiosità tecnica. 
L'apertura è abbastanza semplice. Si tolgono due semi posti in prossimità del lato posto dalla parte dove si usa solitamente il pollice per far scorrere la parte mobile. Poi occorre togliere l'etichetta posteriore per scoprire 4 viti con testa a croce. Altre due vitine sono poste all'interno per fissare il circuito stampato. 
L'apertura conferma i sospetti iniziali. Il contatto di azzeramento, il più vicino alla batteria, è ormai completamente andato. Impossibile pensare di rigenerare le piste. Quello di accensione è un pò meno malandato ma ormai quasi distrutto. Quello di spegnimento... inutile se il calibro non si accende nemmeno.  Sembra persino si sia rivelata inutile la doratura delle piste per proteggerle dall'ossidazione.
Dentro non si notano parti in movimento. Sotto l'etichetta dell'asta dove scorre il cursore si nota una striscia di rame con un disegno "strano. Nal retro del circuito stampato una basetta con tante scanalature. Con buona probabilità si tratta di un sensore capacitivo (per esclusione non è nè ottico nè induttivo). Il chip dedicato (affogato nell'epox) fa il resto, ovvero decodifica il sensore e traduce in caratteri sul display la misura. Questo calibro digitale quindi sfrutta un encoder capacitativo, semplice da realizzare, costa poco ed è abbastanza preciso. Per contro queste tipologie di calibro digitale non reggono elevate velocità di scorrimento. Mistero sulla compensazione della dilatazione termica, credo trascurabile dato che il corpo è di plastica e dato che per pochi euro non è che si può pretendere di usarli per la meccanica di precisione. 
Bene, questo lo buttiamo, impossibile ripararlo o cercare il ricambio. Lo sostituiamo con uno simile a quelli che si trovano a volte al lidl (credo a meno di venti euro), sperando che durino un pò di più, dato che il calibro per un hobbista è uno strumento indispensabile. Alla prossima.

P.S. la scimmia è in gabbia. ripeto: la scimmia è in gabbia. 

domenica 17 aprile 2016

Saldatrice fai da te con MOT (parte 4 - pressa e puntali)

Prosegue pian piano la sperimentazione della saldatrice a punti realizzata con il trasformatore di un vecchio forno a microonde. Stavolta tocca ai punti di saldatura ed al sistema per pressare i puntali sul pezzo da saldare. Molto tempo fa avevo messo in pensione un supporto a colonna per trapano manuale, recuperato da una massaia che aveva deciso di disfarsene, dopo che si era resa conto che il fai da te non è cosa per comuni mortali (meglio continuare in cucina e specializzarsi ad aprire scatolette e confezioni di plastica).  Il tempo, l'ossigeno ed un ripostiglio non proprio secco, hanno contribuito alla formazione di ruggine ed il meccanismo di scorrimento era praticamente bloccato. 
Dopo una quantità industriale di sv*tol e WD4* e botte da orbi con il mazzuolo in gomma, alla fine, sono riuscito a rimettere in funzione il meccanismo che ora va meglio di prima (grazie anche ad alcune modifiche minori che non vale la pena di documentare). 
La scelta della pressa per i puntali di saldatura è dettata dalla necessità di avere le mani libere, oltre a quella che per ogni pezzo da saldare si possono realizzare i puntali della forma più adatta con un sistema di aggancio "rapido". Per cominciare, in mancanza di una barra di rame, ho utilizzato degli spezzoni dei perni di scorrimento onnipresenti nelle stampanti. Si tagliano a misura, si filetta una parte (M8) e si fissano con dei bulloni gli occhielli dei capicorda, realizzati nelle puntate precedenti. Uno dei due contatti deve restare isolato dal supporto. Quale materiale utilizzare? Plastica no, si fonde o si ammorbidisce col calore. Metallo no perchè conduce l'elettricità. Vetro o Ceramica? difficile da lavorare. Silicone? costa troppo. Cemento refrattario? anche si, ma alla fine ho preferito il calssico pezzetto di legno tagliato a disco, forato nel centro. 
L'elettrodo inferiore lo si fissa con una piccola morsa, da posizionare al momento, in asse con l'elettrodo superiore. Un breve lavoro di setup e la soluzione è servita.
I puntali: devo saldare in croce due fili di ferro, per cui con una lima a triangolo ho praticato due incavi di alloggiamento. Per le lamiere piane, i puntali andranno a punta per concentrare il calore il più possibile (non troppo a punta però). 
Occorre però fare alcune considerazioni, che dimostrano come i puntali in acciaio non vanno bene. Stiamo parlando di correnti molto alte, per cui anche un centrimetro in più (sia di cavo che di puntale) provocano una caduta di tensione significativa, che può compromettere la saldatura. Già nel mio caso ho i cavi troppo lunghi e la lunghezza dei puntali (8cm) riduce la tensione a valori sufficienti ad arrossire il pezzo in saldatura che però non si salda bene (con la filettatura superiore posso regolare la lunghezza). La soluzione ideale quindi è realizzare puntali in rame e cavi corti, molto corti. La misura ideale non esiste, in quanto la resistenza finale è influenzata anche dalla resistenza dei contatti e del materiale sottoposto a saldatura. Se si va a controllare la mole industriale di esempi già realizzati, si nota che il più delle volte, per dimostrazione, si saldano due lamierini sottili, due rondelle, pezzetti di metalli non specificati... il tempo di saldatura varia da pochi secondi sino a trenta... dipende anche dalla ruggine... la tenuta non sempre è dimostrata ma, per ottenere un giunto a prova di strappo, occorre arrivare alla quasi fusione del pezzo in prossimità dei puntali. Occorre anche aggiungere che questo tipo di soluzione non è adatto alla saldature delle lamelle sulle batterie (ricaricabili). Per questo serve un circuito che permetta di produrre un piccolo impulso di durata regolabile, per non scaldare la batteria che altrimenti si distruggerebbe (batterie e calore non vanno d'accordo). Ad ogni modo, ad ora, sono arrivato quaasi alla fine. Devo procurarmi agratis un pezzettino di tondino di rame ed accorciare un pò i cavi. 
Ma il legno usato per il supporto del puntale superiore non si brucia? Ovvio che tende ad annerirsi, se ci si mette a saldare per mezz'ora senza sosta ( e c'è pure il pericolo che si incendi), ma qui non c'è nessun capo reparto aguzzino testa di c*zzo che mi impone di produrre tot pezzi al minuto, per cui basta fare delle pause e prendersela comoda, non ci corre dietro nessuno, non ci alita sul collo nessuno, qui conta solo il risultato, non come ci si è arrivati. Alla prossima. 

P.S. ora vado a votare SI al referendum, NO alle trivelle. Ripeto: ora vado a votare SI al referendum, NO alle trivelle.

martedì 12 aprile 2016

Saldatrice fai da te con MOT (parte 3 - capicorda ad occhiello)


Merita un promemoria a parte. Per collegare l'unità di potenza con i puntali di saldatura della puntatrice in corso di realizzazione con il trasformatore del microonde moddizzato, mi servono dei capicorda ad occhiello in grado di supportare le correnti elevate e che abbiano un occhiello da almeno 10 millimetri, per poterli fissare ai morsetti. Nei brico center non si trova quasi mai nulla di quello che va leggermente oltre le necessità domestiche, per cui... occorre arrangiarsi (as usual). 
Frugo nel ciarpame, da tempo immemore messo da parte, non si sa mai, e trovo due tubetti di ottone del diametro e lunghezza giusta. Non ricordo proprio da dove arrivino, ma sembrano fare al caso mio. Con una morsa li schiaccio per metà. Nella parte piatta si pratica il foro necessario, mentre la parte tonda serve per collegare il cavo. Con una lima si arrotondano gli spigoli. Ovviamente l'epic fail, dato dall'impazienza, è dietro l'angolo. I tubetti sono rivestiti di uno strato di plastica protettiva che fatica a venire via (specie quando ci si accorge della presenza del preservativo dopo la modifica). Plastica e corrente elettrica non vanno d'accordo. Pazienza, appena avrò tempo e voglia procederò a rimuovere la protezione e recuperare i due capicorda autocostruiti. 
Per risolvere, opto per due pezzettini di tubo di rame, raccolti da terra da un cantiere dopo che l'idraulico aveva finito di "lavorare" (per non dire sprecare il rame, cmq grazie). Stesso procedimento ed i capicorda sono pronti per attaccarci il cavo. 
Per fissare il cavo ci sono due possibilità: crimpare o stagnare. Per crimpare...senza crimpatrice ovviamente... occorre ingegnarsi un pò. Morsa da ferro, scalpelli per metallo per creare l'invito alla piegatura all'interno (perfetta quella a "quadrifoglio"), si stringe come meglio si può e per esagerare si pratica un foro in cui infilare una vite. Al limite si può praticare un taglio sulla parte tonda e ripiegare all'interno i due lembi. In mancanza d'altro, funziona. 
L'alternativa è stagnare. Pulire perfettamente il rame, innaffiare abbondantemente con flussante in pasta (si trova dal ferramenta), stringere il pezzo fra due blocchetti di legno per evitare che la morsa metallica assorba il calore. Meglio usare la fiamma (quella delle mini torce per caramellare va benissimo) facendo attenzione a scaldare solo il rame e non la guaina che inevitabilmente si fonderà un pò in prossimità del tubo di rame (preferire sempre cavi ignifughi di alta qualità). A temperatura raggiunta si infila il cavo impregnato di flussante e si accompagna dentro il filo di stagno fino a quasi riempire il capicorda e lasciare raffreddare. Tolta la fiamma, si sfrutta la guaina ammorbidita dal calore per riportarla in prossimità del giunto e migliorare l'isolamento generale. 
Alla fine, a pezzo freddo, si infila un pezzetto di guaina termo-restringente ed il gioco è fatto, semplice, rapido, economico, efficace. Alla prossima. 

P.S. l'acqua stagna puzza. ripeto: l'acqua stagna puzza. 

domenica 10 aprile 2016

Saldatrice fai da te con MOT (parte 2)

Work in progress (vedi parte 1). Me la prendo con calma, come dovrebbe fare l'unanità, tutta presa dalla fretta di fare (non si sa bene cosa) dimenticando che la vita è unica e deve essere vissuta al 100% in cose utili a sè stessi ed agli altri (entrambe le cose altimenti non funziona).
In rete si trovano una quasi infinità di progetti e realizzazioni, alcune veramente interessanti, che dimostrano i diversi approcci adottati dai Diyers del mondo (grazie internet e grazie ale loro condivisioni). E' noto che a me non piacciono le cose pronte e nemmeno copiare le idee altrui, per cui ho affrontato la cosa con una visione diversa.
Dopo una serie di peripezie e problemi mai documentati da nessuno, l'unità centrale della saldatrice a punti è quasi pronta. Ho deciso di separare la parte di potenza da quella di saldatura per due ragioni. La prima è che così posso trasportare e più facilmente l'unità e riporla senza tanti ingombri dati dai bracci mai abbastanza lunghi. La seconda è che per saldare i punti dove quest'ultimo è posizionato in posti impossibili, richiede una maggiore flessibilità della parte finale, i due elettrodi  di rame. Due braccetti a molla non mi bastano, sono adatti solo per lamiere piane la cui superficie non supera la loro lunghezza. Per cui ho deciso di boxare il trasformatore e portare fuori due morsetti a cui attaccare i cavi che andranno verso gli elettrodi (ancora da realizzare). Per preparare il trasformatore ho preferito tenere integro il traferro, contrariamente a quanto suggerito da alcuni. E' più difficile ma così si riduce drasticamente il ronzio e non occorre saldare col rischio di scottare gli avvolgimenti. Il contenitore? ho preso una lamiera di alluminio che originariamente era stata realizzata per supportare l'alimentazione di un macchinario di refilling per le cartucce di stampa (anni fa, ne ho parlato). E' una lamiera di un buon spessore, con due bordi già piegati e già verniciata. In prossimità dei bordini piegati, ho praticato due tagli a 45 gradi e con l'aiuto di due pezzi di legno tagliati a misura ed una morsa ho realizzato una specie di "C" in cui alloggiare il trasformatore. Il pannello frontale è realizzato con un pezzo di pannello che proviene da una vecchia stufa catalitica, spessore 4mm, facilmente lavorabile per alloggiare un interruttore illuminato ed i due morsetti.
I morsetti sono gli attacchi per le prese degli impianti di terra, però modificati. Il foro infatti, purtroppo, è leggermente più grande del cavo da 25mm2, per cui, serrando totalmente il bullone da 10 che tira il morsetto, non si riusciva a fissare per bene il secondario. Allora con un tornio ho praticato un foro da 5 filettato ed inserito una vite che va a spingere un lamierino che schiaccia per bene il cavo assicurando nel contempo un ottimo contatto elettrico (la foto non è ottima ma sto lavorando su un PC di emergenza e non ho l'editor adatto)
Per le chiusure laterali ci devo ancora pensare, dipende dal materiale che intenderò utilizzare, anche se sto già pensando a due griglie con tanto di ventola, per raffreddare il tutto quando si intende fare un uso pesante della saldatrice. 
Durante le prove preliminari mi sono accorto di un piccolo inconveniente. Pensavo di utilizzare due cavi volanti che vengono venduti per caricare la batteria dell'auto (120 Ampère)... no, non funzionano, almeno alla massima lunghezza (2,5mt), bisognerà accorciarli drasticamente o utilizzare lo stesso cavo usato per l'avvolgimento secondario, altrimenti quello che si ottiene sono solo delle inutili ed innoque scintille che non scaldano nemmeno il pezzo da saldare (dovrò fare delle misure in tal senso ma per ora non ho la pinza amperometrica). 
Ora mi mancano gli elettrodi. Sto pensando di fissarli al volo ad una pressa per trapani (o usarli al volo manualmente). Intanto dovrò in primis realizzare due capicorda con foro da 10mm, una lamiera di rame da 3 mm o di ottone (magari un tubo), trapano, forbice, lime di precisione e sicuramente qualcosa di ottimo salterà fuori (dato che in commercio sono difficili da trovare al brico). Per gli elettrodi... una barra di rame piena (picchetto di terra) che costa una fucilata nei maroni... forse in qualche cantiere ne andrò a dissotterrare una che mi sta chiamando... un pezzettino da pochi centimetri non te lo vende nessuno... forse con un tondino di ottone riesco a risolvere.... vedremo. alla prossima.

P.S.  il lupo ulu là. Tipeto: il lupo ulu là. 

domenica 20 marzo 2016

Morsa per affilatura coltelli (parte 1)

E' da un pò che mi sono finalmente deciso di affilare lame ed utensili di lavoro. Mi sono già costruito una morsa per gli scalpelli da legno, ora tocca alle lame di coltello. Una lama che non taglia non serve a niente, se non per rovinare ciò che si sta tagliando e bestemmiare in aramaico. Per pialle e scalpelli aprirò un thread a parte. Per le lame di coltello questo è il posto giusto. L'arte dell'affilatura (sì è un arte), a me quasi sconosciuta sino a poco tempo fa, è un mondo a sè, come tutti i mestieri, le arti e le professioni che racchiudono ciascuno i loro trucchi del mestiere, i segreti e le scuole di pensiero. Da principianti si commettono degli errori e con il tempo, la pratica, la costanza e perseveranza, la pazienza, l'abilità manuale che ciascuno di noi ha purtroppo dimenticato, riescono a produrre dei risultati apprezzabili.
Qualche tempo fa, dopo un interminabile visualizzazione di tutorial, filmati, manuali tecnici (tutto in inglese ovviamente) per non perderci troppo tempo (maledetta ed inutile fretta) ho acquistato su "amazzon" una morsa di affilatura dai cinesi. Le altre opzioni costavano troppo e non me le potevo permettere. 4 pietre, un supporto per mantenere l'angolo di affilatura costante, più un pennarello, uno straccio in "macrofibra" ed una bustina con chiusura a velcro (giusto per "giustificare" il prezzo forse giudicato superiore al valore dal rivenditore... pochi euro in realtà). 
Con grande disappunto parziale, il difetto della morsa sta nella chiusura che ferma la lama. Per girare quest'ultima sottosopra, occorre togliere la lama aprendo una manopolina che per azionarla occorre una pinza. Così facendo si perde l'angolo di affilatura impostato nella faccia opposta ed il risultato finale non è mai perfetto, con un filo asimmetrico. Ma anche la chiusura ha i suoi difetti e non ferma saldamente la lama (a volte rigandola a causa delle "protezioni" in plastica inadatte). Così, dopo un pò, constatati i difetti, decido di rifare la base con un sistema che mi permetta di girare la lama senza dover toglierla dalla morsa. Un vecchio travetto recuperato da una vecchia morsa realizzata per i tagli a 45 gradi, due angolari di una cassetta della frutta, qualche vite ed una cerniera da finestra. La cerniera serve da morsa... funziona egregiamente assicurando che il pezzo in lavorazione resti fermo (alle estremità qualche giro di nastro di mascheratura assicura una buona protezione sostituibile quando serve). Una barretta filettata da 6 e due dadi tengono chiuso e ben serrato il tutto e altri due fori preesistenti servono per farci entrare due piolini fissati alla base di appoggio, in realtà due viti a cui ho tagliato la testa. I due angolari recuperati dalla cassetta delle arance, servono per allargare la base e dare un pò di stabilità. Ho tenuto le pietre (120,320,600,1500) e l'asta di scorrimento. Per l'angolo di affilatura posso regolare l'altezza dello snodo potendo così partire da 10 gradi sino a poco più di trenta.
Con questo setup (work-in-progress, mancano le finiture estetiche) è già possibile ottenere un ottima affilatura "a rasoio" che supera la prova carta tagliata al volo di traverso. L'angolo di affilatura resta costante e simmetrico. Una buona lucidatura del filo con paste abrasive è solo un qualcosa in più per migliorare un pò la precisione di taglio (dipende dall'applicazione che ha la lama ovviamente, se ne vale l pena).
Visto che non devo tagliare il sushi, mi accontento di questo che va più che bene, oltre le aspettative. Un pò meno entusiasta per il kit di lame assortite prese dai cinesi... si lo so 6 lame costano 4 euro--- perchè sono talmente sottili che quando le si affila si piegano, compromettendo l'angolo di affilatura. Per ovviare occorrerà una morsa più larga che tenga orizzontale tutta la lama (sulla lunghezza) ed impedisca che si pieghi sotto il peso della pietra. Lasciamo stare le considerazioni sull'acciaio usato (non mi stupirei se fosse radioattivo), non stiamo troppo a fare i pignoli su certe cose, in fin dei conti per ora devo solo tagliare la frutta. Alla prossima. 

P.S. la mela è bacata. Ripeto: la mela è bacata.

lunedì 14 marzo 2016

Vibratory Tumbler - miglioramenti (parte 3)

Troppe vibrazioni o costruzione fragile? la seconda che hai detto. Viti troppo corte, usate per fissare la levigatrice con dei blocchetti di legno, si spezzano con la vibrazione continua dopo 10 minuti. No problem. Soluzione? nuovo blocchetto più robusto e viti più lunghe. 
Nel frattempo ho notato che le due "L" di alluminio poste alle estremità, scaldano da matti, scottano al tatto... normale.... vedremo se tengono abbastanza, altrimenti le sostituisco con qualcosda di più robusto. 
Dato che ci siamo, mi è venuta la pessima idea di bagnare la sabbietta... pensavo migliorasse l'effetto abrasione e pulizia ma non è così, almeno con quella sabbia che è composta da granelli forse troppo piccoli... si impasta un pò e non garantisce che fluisca negli interstizi. Sto pensando di prendere dei pezzetti abrasivi in commercio.... vedremo. 
Nel frattempo ho sostituito la campana con uno stampo per ciambelle... 3 euro a lidl, funziona decisamente meglio del lampadario usato prima, decisamente. Effetto rotazione e rimescolamento  entrambi energici, lucidatura assicurata. 
Alla prossima.

P.S. gratatemi, ho le puLci. Ripeto: gratatemi, ho le puLci.   

venerdì 11 marzo 2016

Morsetti da falegname (parte 1)

I morsetti per stringere. Ce ne sono di tutte le forme, per svariate applicazioni, per falegnami, fabbri, muratori ecc... ovviamente a noi poveracci, barboni, taccagni e tirchi, restano quelli più cheap, cinesi per intenderci, presi al solito brico che mette in commercio attrezzi per hobbysti, non certo cose professionali da usare tutti i giorni. Quelli che ho recuperato quà e la con il tempo sono però durati un paio di volte. Inevitabilmente la parte che salta, dopo i tappi di plastica, è la rondella posta all'estremità della vite di serraggio. Risultato? Occorre proteggere la parte da stringere con dei blocchetti di legno, usando 4 mani per tenere fermo il tutto o ingegnandosi non poco in altri modi, sognando di prendere i morsetti a cricchetto che si azionano con una mano sola ma costicchiano parecchio anche se sono di plastica (e ti pareva). 
In mancanza della rondella di testa, quando si stringe, la vite tende ad affondare nel blocchetto e se si stringe troppo si va a rovinare il pezzo in lavorazione (e questa non è una cosa bella). 
Occorre quindi procedere con la sostituzione della rondella. Si smonta il tutto e si pratica un foro da filettare M4 sulla vite. Poi ci si procura una rondella delle dimensioni "giuste" e la si avvita all'estremità (testa a cono ovviamente). La lunghezza della vite deve essere tale da non bloccare la rondella che deve poter ruotare. 
Con l'occasione si infilano due pezzettini di legno duro per sostituire le plastichette di protezione e si fissa una vite all'estremità per impedire l'uscita accidentale della parte mobile. Un nonnulla come lavorazione, alla portata di tutti quelli che hanno un piccolo tornio, un kit per filettare, oltre alla normale attrezzatura per la lavorazione del legno. Alla prossima.

P.S. Guido stringe i denti e Tiziano le chiappe. Ripeto: Guido stringe i denti e Tiziano le chiappe.

Vibratory Tumbler partial success (parte 2)

Alcuni miglioramenti al vibratore a sabbia ed i risultati non si sono fatti attendere. Al posto del motorino (vedi parte 1) ho utilizzato la levigatrice orbitale, fissata con delle squadrette e delle piastrine direttamente al piano vibrante. La soluzione per ora è un pò rumorosa ma conto di mettere delle piastrine di gomma per ridurre le emissioni. Ah...per fissare i pezzi (molle e catino) è meglio usare dadi autobloccanti, quelli con l'anellino di gomma, altrimenti le vibrazioni tendono a svitare i dadi con il tempo e occorre intervenire periodicamente con la chiave da 10.
La vasca della sabbia non è ancora terminata. Occorre infatti mettere al centro un cono che permetta una corretta rotazione della sabbia abrasiva. Di comperare un imbuto dai cinesi neanche a parlarne, questo lo lasciamo fare a chi suggerisce di comprare altra plastica, incentivare i produttori che inquinano e spendere. Ho un contenitore dell'amuch*na, la cui parte superiore termina proprio a cono. Basta tagliarla all'altezza giusta e la soluzione è già pronta. Penso di fissarla al cestello con della colla epossidica... dovrebbe tenere (altrimenti mi faccio una flangia da fissare con le viti). 
Per il cestello ho utilizzato una copertura di un vecchio lampadario brutto come la fame e già cannibalizzato per produrne un altro (appena riesco a mettere in funzione il bluetooth scarico le foto dallo smartphone e scrivo due righe di promemoria). Ci sono due fori da tappare, non è un problema. L'importante è che la forma del catino sia o semi sferica o almeno conica. La vibrazione tende a far salire l'abrasivo, la gravità fa il resto riportandolo giù. 
Il movimento dell'abrasivo deve essere a toroide e ruotare su sè stesso per garantire il massimo del risultato. La potenza della vibrazione sembra sufficiente a dare dei risultati apprezzabili solo dopo pochi minuti di azionamento (non due ore come si legge da qualche parte) pur utilizzando un abrasivo non propriamente progettato allo scopo.
Per la sabbia abrasiva? lì le soluzioni possono essere molteplici. Io ho usato una sabbietta avanzata da un micro lavoro domestico di muratura. Contiene silice ed altri sassolini di materiale non meglio identificato... pare funzionare. In commercio (orrore!) ci sono anche delle sabbie specifiche e dei "sassi" di varie forme e dimensioni, di materiale abrasivo (a secco o ad acqua). In pieno sciopero della spesa posso pensare ad altre soluzioni... delle vecchie mattonelle di ceramica o grès sbriciolate in pezzi irregolari dovrebbero fare il loro dovere (esperimento in corso). Giusto per non farci mancare nulla ho recuperato dell'abrasivo di una sabbiatrice in attesa di "restauro" (usata da un dentista). E' sabbia molto sottile, molto abrasiva, adatta a lucidare se sparata con l'aria compressa.... troppo sottile per questa applicazione, una parte (quella più fine) se ne va in aria o si raccoglie sui bordi esterni (troppo leggera). Comunque, magari poco ma qualcosa contribuisce a fare, specie negli interstizi più piccoli dei particolari da lucidare. Da ricordare che l'abrasivo, se è composto da granelli di dimensioni variabili, tenderà ad affondare i pezzi più grossi e far risalire quelli più sottili, il che non è un male assoluto visto che comunque c'è un rimescolamento generale ed il tempo di azionamento fa il resto nel caos dovuto all'agitazione. Inevitabilmente la parte troppo sottile luciderà solo la parte esterna del catino... pazienza, la perfezione si raggiunge per gradi sperimentazione dopo sperimentazione. 
Difetti? si ovviamente. La vibrazione è nel verso giusto e garantisce la rotazione dei pezzi anche in mancanza del cono centrale, ma è scentrata rispetto al centro del catino vibrante. Ciò provoca due "problemi". 

  1. Una parte della sabbia si raccoglie verso la levigatrice portando con sè i pezzi che dall'altra parte restano scoperti per un pò (e quindi non sono grattati). La rotazione ottimale quindi è leggermente compromessa.
  2. La sabbia più fine si raccoglie all'esterno, in cima al bordo del catino e lì non lucida i pezzi. Se non fosse per il rialzo esterno, se ne andrebbe tutta da una parte uscendo dal catino (che non prevede coperchio, io sono il diavolo, fò solo le pentole). 

La rotazione del motore deve essere assiale con il centro del catino per garantire un ottimale mescolamento per rotazione. In ogni caso sono abbastanza soddisfatto, pensavo peggio per una realizzazione fai da te a costo zero, l'importante è replicare il principio di funzionamento. La potenza della levigatrice è più che ottima a garantire una vibrazione potente, sufficiente ad assicurare un buon sfregamento fra abrasivo e pezzi in lucidatura. 
Ho inoltre risparmiato un motore, ho recuperato 4 molle ed un orrendo copri lampadario (destinato originariamente alla costruzione di un porta ceri a vetrina da giardino)....not bad, bravo unamico. Stay updated se avrò voglia di updatare. Alla prossima.  

P.S. Agitare non mescolare. Ripeto: Agitare non mescolare. 

giovedì 10 marzo 2016

Vibratory Tumbler...epic fail (parte 1)

Caxo!! mi sto costruendo un vibratore a cestello per togliere la ruggine da bulloni, dadi, chiodi ecc... che col tempo si accumula causa l'umidità del garage senza riscaldamento.
L'accumulo di ferramenta e minuterie varie è dovuto al fatto che dal ferramenta, se ti servono 4 dadi da 8, te ne danno una confezione da 25. Gran litigate a coltello con conseguenti minacce di boicottaggi e flash mob non sortiscono grandi effetti su quei peracottari ignoranti. Al brico è ancora peggio... self service... se prendi 4 dadi da 8 te li fanno pagare un euro mentre se prendi una loro scatoletta e la riempi di un pò di tutto sino a quando è piena, te la fano pagare un euro, più un altro euro per la scatoletta.... bastardi, per cui tanto vale riempirla di cose inutili che regolarmente restano per anni ad arrugginire (consumisti bastardi).
Comunque, mi ritrovo un set di molle di acciaio, provenienti da un materasso di una volta.... che ci faccio? Nel post precedente mi ero riproposto di costruire un agitatore per i barattoli di vernice... la base è pronta. Recupero un vecchio motorino in cc a 12Volt di una sirena da auto (quelle che negli anni 80 i tamarri installavano nelle alfasud). Al momento di provarlo con un alimentatore ATX da PC mi accorgo che qualcosa non va... le spazzole non fanno contatto...manca una mollettina spingi spazzola. Poco male, assomigliano molto a quelle recuperate dai vecchi lettori di floppy disk. Non è un contatto perfetto ma sembra funzionare. L'alimentatore ATX però non va bene. Allo spunto si spegne come se l'uscita fosse in corto... 6 A nominali a vuoto, chissà quanti allo spunto, di più credo. Allora prendo una batteria... funziona ovviamente, a scatti dato il cattivo contatto delle spazzole ma non è quello che volevo. Peccato... devo rifare tutto il supporto non appena trovo un motorino asincrono a 220... occhio ai ventilatori che se ne trovo uno diventa mio (esproprio proletario). La lezione appresa è la seguente: mai costruire un supporto motore se prima non lo si è collaudato.  Si lo so sono un deficiente, è scritto in testa al blog. 
Comunque... sto pensando di fissare in qualche modo la levigatrice orbitale e vedere se in qualche modo si può risolvere... forse. Nel frattempo devo procurarmi uno stampo per dolci, quello che fa le ciambelle col buco (un toroide! massaie ignoranti)... è perfetto per quello che devo fare. Poi devo pensare all'abrasivo... sabbia di fiume? sassi? ghiaino? spezzame di marmo?... boh... esperimenti in vista. Alla prossima. 

P.S. Il merlo non cinguetta. ripeto: Il merlo non cinguetta. 

lunedì 22 febbraio 2016

Termometro da cucina digitale

Solo un piccolo appunto. Domenica, nel tragitto verso il solito impegno che in condizioni tipiche di un paese normale, popolato da persone "civili" e rispettose degli altri, normalmente verrebbe programmato nelle giornate lavorative, mi fermo presso un piccolo centro commerciale, a lato della statale che attraversa campi e frutteti vari. Entro animato dalla curiosità e mi accorgo che è il classico capannone pieno all'inverosimile di articoli che vanno dall'abbigliamento alla ferramenta, senza trascurare le scarpe, gli articoli da cucina, i prodotti per la pulizia, illuminazione, bigiotteria... sembrano tutti uguali... cinesi ovviamente. Ci deve essere dietro una mega spectre del commercio riservata ai cinesi. 
Ora...diciamolo, è troooppo facile prendersela con gli stranieri che vengono qui a lavorare. Il commercio lo hanno praticamente inventato loro moooolto prima di noi. E se nell'esercitare l'attività commettono qualche ellole, mettendo la elle al posto della erre, non è il caso di usare lo svarione come cassa di risonanza per vomitare addosso a loro tutta la rabbia repressa tipica di qualche leghista bigotto paleomedievale. 
Viene però sì da "sollidele" quando si trovano, tra gli asiatici in genere, gli errori erre/elle nelle confezioni stampate in tipografia, oltre ai bigliettini autoprodotti. Deve essere qualche tipografia cinese, non voglio pensare ad una nostrana che non segnala l'ellole al cliente (ma forse mi sbaglio ma quasi tutte eseguono quello che il cliente ordina, errori ortografici compresi). 
Nel "gilale" tra gli scaffali, mi imbatto nella corsia prodotti da cucina. Trovo dei piccoli termometri. Una serie è digitale (batterie incluse) ed un altra meccanica, quella con la molla all'interno di materiale termodilatante il cui capo centrale è solidale con una lancetta... 4,50...presa!! anzi due. Mi servono (futura realizzazione) per fare il sapone a freddo (che poi tanto a freddo non è in quanto la soda caustica con l'acqua raggiunge i 70/80 gradi), per sciogliere il sapone di recupero e per misurare la temperatura della cera per candele, giusto per evitare di metterla nello stampo troppo calda e veder poi comparire gli affossamenti a raffreddamento avvenuto. Intanto mi metto da parte gli strumenti, poi vedremo.
Ma perchè mi annoto questo promemoria? A casa mi accorgo che la confezione dei due termometri riporta la caratteristica "digitale", mentre il modello acquistato è chiaramente ed inequivocabilmente analogico. Poco male, il prodotto è a vista, impossibile sbagliarsi o essere indotti in confusione. Ma se la cosa venisse posta all'attenzione di qualche stupido funzionario dello stato in carriera, mai promosso proprio per l'eccesso di zelo, quest'ultimo mal visto nel vostro  paese, verrebbe da sentenziare "frode in commercio"! Vietatissimo esporre e comunicare ai consumatori qualità e caratteristiche difformi dal prodotto venduto. E sono pure multe abbastanza salate. Sappiamo che una piccola parte della popolazione italica è infervorata da un tipico atteggiamento ultranazionalista intransigente integralista e fascista (è quello che più si nota vivendo fuori). Purtroppo certi mentecatti cerebrolesi ancora riescono a sopravvivere...non date da mangiare agli imbecilli. Complice il progressivo degrado sociale, l'impoverimento anche culturale dei ceti sociali più deboli, il contagio delle idee stupide ed inutili, questi illuminati imbecilli non vedono l'ora di potersela prendere con chiunque commetta il minimo errore che sia propedeutico a dimostrare le loro "ragioni" (leggi "idee bigotte e stupide" contro tutto ciò che è da loro classificato come "diverso" rispetto alle loro convinzioni). 
A noi invece resta un sorriso di comprensione. Lasciamoli lavolale, almeno loro le tasse le pagano anche per gli altri che vorrebbero essere dalla parte "del giusto". Alla plossima.

P.S. una lala lana losa. Ripeto: una lala lana losa.  

mercoledì 24 giugno 2015

DIY Chisel sharpening jig (work in progress)

E' un work in progress, ovvio. L'accrocchio autocostruito con pezzi di recupero comunque fa la sua parte. Sono stato costretto a costruirmelo per due ragioni, anzi tre. 

  1. Affilare a mano... è una questione di esperienza e manualità che non ho ancora acquisito e non volevo consumare gli scalpelli a furia di passarli sulla mola a smeriglio, sulla carta vetrata, sulla pietra o sulla mola ad acqua, sulle pietre ad olio.
  2. Una brutta esperienza presso un "arrotino" industriale (con tanto di capannone) mi ha davvero deluso, ovvero un peracottaro che mi ha massacrato le punte a tal punto che ora tagliano meno di prima e francamente a me venivano meglio con i miei tentativi.
  3. Non ho soldi per comperare il supporto professionale, le pietre giapponesi e le basi diamantate... costano davvero un pò troppo per un hobbista come me ed il bastardo peracottaro di prima mi ha prosciugato. 

Allora? ci si arrangia come meglio si può, raccattando pezzi quà e là, adattandoli, modificandoli, aggiustandoli. Sono partito da due gambe avanzate da una sedia già modificata a sgabello (bellissima ma niente foto e l'ho già regalato), una barra filettata da 8, due dadi, due cuscinetti di due lettori floppy da 5 1/4, due ruote di legno ricavate con la sega a tazza da uno scarto in multistrato, due gommini forati di una stampante, un elemento di alluminio preso da un antenna Yagi direzionale ed un pò di lavoro di sega, carta vetrata, scalpello non affilato, trapano, pialla, svasatore... senza attrezzi specifici occorre eseguire le lavorazioni a manina e la precisione a volte va a farsi benedire, almeno sino a quando la manualità e l'esperienza non fanno col tempo la loro parte.
A volte la punta del trapano è troppo corta per dei fori passanti o è affilata malino, la sega non taglia bene o non è adatta a tagli profondi, la raspa non raspa, la carta vetrata scarseggia ed occorre riciclare (per l'ennesima volta) quella già riciclata millemila volte, il mandrino del trapano a colonna balla (ferramenta di merda e commerciante bastardo) e non è tanto preciso come servirebbe... vabbè, animo! ci si arrangia con quello che si ha. 
La parte che richiede più attenzione si concentra nel supporto che teve tenere perfettamente in piano ed in squadra lo scalpello rispetto al piano di affilatura (prevedendo lo spazio anche per le lame larghe delle pialle), altrimenti l'affilatura "pende" rispetto alla lunghezza del ferro che deve essere anche perfettamente parallelo con la pietra... la pietra... trovata al brico (non è specificata nemmeno la grana) con due parti...grossa e fina (altri dati non ce ne sono). Per tenerla ferma l'ho circondata con delle assi di bancale invecchiato, il tutto fissato su una base di compensato. Anche questa morsa dovrebbe essere perfettamente in piano (la lama sulla pietra e le ruote sul legno) e perfettamente a filo con la pietra....dovrebbe. Purtroppo la pialletta non funziona (affilata da schifo dal peracottaro) e pertanto anche qui ci si arrangia...per tentativi. Un metodo per compensare i dislivelli dei piani su cui le ruote girano, consiste nel farne correre una delle due (dipende da quale parte pende) su degli spessori temporanei (dei fogli di lamiera, cartoncino, plexyglass...).
Completa "l'attrezzatura" una lastra di granito (recuperata agratis da un amico) su cui ho fissato della carta vetrata a varie finiture da 80 a 1000 per la lucidatura a specchio. 
Per una buona affilatura occorre che la parte piatta dello scalpello sia perfettamente piatta, possibilmente finita a specchio. Un set di scalpelli nuovi (specie per quelli da pochi euro) ha evidenziato che invece non è così ed occorre spianarli appena acquistati, prima di usarli. La parte inclinata del tagliente (22 - 30°) deve essere piatta (possibilmente con finitura a specchio) e non curva come risulta se la si passa sulla smerigliatrice o su quegli attrezzini di plastica dei negozi faidate. Occorre inoltre eliminare la "bava" che si crea con le affilature aggressive dalla parte opposta dell'abrasione. 
Se si seguono queste indicazioni lo scalpello entra nel legno come un ferro caldo nel burro, anche controvena. 
E l'attrezzo? funziona? eh? eh? Si, discretamente devo dire, non è la perfezione ma sicuramente meglio dei tentativi di affilatura manuale. Ovvio che ci sono dei notevoli margini di miglioramento ma l'affilatura a lavoro finito è decisamente accettabile. Non sarà come certi scalpelli giapponesi, ma per quello che devo fare io il risultato per ora mi soddisfa, almeno sino a quando deciderò di realizzare la versione 2....work in progress. Alla prossima.

La mente è in viaggio. Ripeto: la mente è in viaggio.


venerdì 10 aprile 2015

NE555P Monostabile (Timer)

Un apparecchiatura "elettromedicale" (il virgolettato è d'obbligo) dismessa, è una preziosa fonte di cose da recuperare. Una cessata attività di un poliambulatorio mi ha lasciato in eredità solo le apparecchiature guaste, irrecuperabili, da rottamare. Un laser ad infrarossi per la cura dei dolori artritici o post-trauma... l'unico problema era un diodo spezzato in prossimità di un selettore allentato. Il medico a furia di smanettare la manopola, girando oltre il necessario, ha torto i fili all'interno con conseguente rottura meccanica. Di riparare...nemmeno a parlarne in quanto non so che farmene di un apparecchio del genere (almeno il laser fosse stato visibile...), anche se mi alletta molto la soluzione adottata per il montaggio del diodo laser...un tubo metallico con pulsantino.  Smontare e recuperare? certo che sì.
Non posso nascondere il mio stupore quando l'ho aperta. Collegamenti con fili volanti, basette preforate... da un apparecchio per la terapia del dolore con laser ad infrarosso mi sarei aspettato di più. Impossibile risalire al fornitore (ad oggi scomparso, i suppose, dal mercato). Sicuramente un prodotto artigianale, risalente alla fine degli anni 70 od 80 e sicuramente fuori norma, non con quelle attuali che hanno solo complicato la vita ai produttori e lievitato il loro costo oltre il tollerabile.  La "fortuna" sta nel fatto che per fortuna in questo apparecchio i circuiti sono stati realizzati modularmente, su basette artigianali separate l'una dall'altra. La prima che ho rimesso in funzione è equipaggiata con un NE555P,.. la più semplice... dopo aver ricostruito il circuito a mano seguendo le piste, sono riuscito a capire come collegare i morsetti con i componenti mancanti. Risultato? un temporizzatore in configurazione monostabile. Ton per un certo tempo e poi off, con reset manuale.
Due pulsanti, uno di start ed uno di reset, più un potenziometro che ho stabilito da 300K per assicurarmi tempi lunghi nella temporizzazione. Ho recuperato due microswitch provenienti da chissà dove più un vecchio potenziometro (minimo ha trent'anni) che non sembra ossidato (funziona). 
Il tempo di accensione si calcola con la formula Ton=1,1 RC dove la resistenza è quella collegata al piedino Discharge (7) e C è il condensatore collegato al piedino Thresold (6). Nulla vieta di inserire un potenziometro da 1Mohm per tempi biblici, calcolabili dalla tabella presente nel datasheet dell'integrato (entrambi facilmente reperibili in rete). 
Un piccolo relè a 12 volts (privo di transistor di pilotaggio in quanto assorbe meno dei 200mA che il 555 è in grado di supportare) mi pilota due deviatori, utili per accendere un paio di lampade o in parallelo per carichi più importanti, o magari per la solita luce scale che restando accesa si mangia silentemente i miei risparmi. Possibili modifiche? sicuramente si... un sensore PIR per avviare la temporizzazione, una fotocellula per impedire che la luce si accenda di giorno o quando l'illuminazione è già sufficiente, un reset comandato da remoto...unico limite...la mancanza di fantasia. Ah, la resistenza in serie al led, da 10K a mio avviso, se so volesse portate il Led on su un pannello frontale, andrebbe diminuita alprossimo valore inferiore disponibile per renderlo un pò più luminoso.
Ora devo solo trovare un contenitore adeguato... mi sa che dovrò tornare a frugare nel garbage, qualcosa salterà fuori sicuramente. Lo schema? davvero? in rete si trovano un infinità di progetti già pronti, perchè replicarli? solo per qualche click in più? naaaa. Alla prossima. 

P.S. il bacchetto è di legno. Ripeto: il bacchetto è di legno. 

domenica 25 agosto 2013

Qualità questa sconosciuta

Ieri, accompagnato dal mio fedele sherpa che mi vizia quotidianamente con delle attenzioni riservate solo ai marajà, mi sono recato alla fiera dell'elettronica di Cerea (VR). Sette euro per entrare, dopo aver regalato i dati personali di un altro in cambio di due euro di sconto, ed appena dentro ci si accorge di essere in un suk pieno di unani a caccia dell'affarone e di ingegneri sfigati. Fiera mercato, c'è poco da fare. Faccio un rapido giro iniziale per verificare merce e prezzi, rigorosamente con l'atteggiamento di diffidenza atavica che mi impedisce di interagire con commercianti ed imbonitori che solitamente frequentano questi eventi. Mi rendo conto immediatamente che i prezzi non sono poi così convenienti come si potrebbe pensare. Chi frequenta abitualmente e-bay o i siti cinesi di gadget dell'elettronica di consumo lo sa perfettamente. Basta entrare con una lista di prezzi di riferimento per oggetti di largo consumo e confrontarla con le quotazioni proposte... è tutto un 20-30% sopra la soglia di convenienza...tutto. Ed è tutta roba di importazione cinese ovviamente. E' arrivato un container di portachiavi parlanti e la distribuzione fa il resto. Oggetti all'ingrosso acquistati per pochissimi centesimi, rivenduti con ricarichi "da suogno". 
Lo stesso identico articolo lo si può trovare in numerose bancarelle, tutti allo stesso prezzo concordato in precedenza. Concorrenza? naaaaa. Sicuramente si sono messi d'accordo, alla faccia della concorrenza, del libero mercato e dei nostri portafogli che ai loro occhi non hanno mai goduto del giusto rispetto. E che dire della merce? Tantissimi banchi con l'elettronica non hanno nulla a che vedere... padelle antiederenti, schiaccianoci, abbigliamento militare, ferramenta pesante, orologi, occhiali, profumi... lasciamo stare l'usato ed il vintage...quello è un mercato a parte, riservato alle trattative per veri intenditori che nulla hanno a che fare con il commercio "classico". 
Ed allora, giusto per ricambiare la scortesia riservata a noi portafogli ambulanti (alcuni ci vedono così, è vero), decido al secondo giro di rompere un pò i c*glioni a quegli esserini avidi che fanno capolino da dietro la merce, la cui unica preoccupazione sembra essere quella di controllare le manoleste ed i cleptomani compulsivi. Ci si finge interessati fissando a lungo, in silenzio ma attentamente, un oggetto qualsiasi. Tempo tre secondi ed Alì Babà arriva speranzoso in una transazione. Lo si fissa negli occhi senza dire una parola e si aspetta che il ladrone faccia qualcosa. I più intraprendenti ci provano, alcuni sottolineando sinteticamente una o due qualità dell'oggetto (sperando in un "wow! lo prendo!!"), altri si limitano a dire "è in offerta" (credevo fosse lì solo per esposizione, per bellezza), altri si avvicinano ma guardano altrove (a parte la vigile coda dell'occhio che si punta a fissare l'oggetto del desiderio). Si chiede il prezzo (quando non è esposto) o lo sconto per quantità (non più di due ovviamente) e si studia la reazione del povero diversamente onesto. Qualsiasi cosa dica o faccia, dopo aver atteso l'immancabile ressa di curiosi con il collo a giraffa che ti alitano addosso il fetore di cipolla o bambino morto e ti appiccicano il loro sudore umidiccio e nauseabondo, si squote la testa con espressione delusa, ci si gira e si va oltre (sghinazzando dentro) non senza prima di aver mollato una peta mefitica, conservata da prima a chiappe strette (ovvia una dieta pre-fiera di fagioli). Tiè, ben vi sta a voi ed alla vostra "crisi" che avete contribuito a creare con le vostre idee del menga. Di commercianti onesti, lì dentro, sicuramente qualcuno ci sarà ma di commercianti abili nemmeno l'ombra. Di quelli che si prodigano ad aiutare un potenziale cliente...ne esistono ancora?
Allora, dopo essermi divertito come un bambino a dieta in un negozio di dolci, decido il budget della giornata. Contanti, pochi, poche decine di euro, non di più, facendo forza alla voglia di spendere per dei ciòttoli che dopo averli usati qualche giorno vanno a prendere la polvere in qualche scaffale. Opto per il "gadget utile" e mi concentro su una microspia con telecamera camuffata da telecomando (per registrare di nascosto le c*zzate o gli insulti che volano in riunione con certi clienti)), una cam per il veicolo (utile in caso di incidente per documentare i criminali di strada) e due mini DVR da bicicletta (anche in questo caso per documentare le prodezze di certi automobilisti cornuti dal pene microscopico). Niente recensione per ora, ci penserò dopo il collaudo, forse. Appena a casa procedo con mettere in carica i gadgets e leggere i "manuali" d'uso. Un inglese stentato, sgrammaticato, ortograficamente sbagliato ed a tratti incomprensibile. Vabbè, ci hanno provato, guardo le figure...microscopiche. La cosa che urta un pò e la fragilità e la pessima qualità degli oggetti... capisco che sono venduti a 5 o 10 euri cadauno ma sono veramente oggettini fragilissimi, friabili.
La clip di aggancio dei micro DVR mi è rimasta in mano (perno sfilato e micro molla schizzata sulla luna), la presa usb per la ricarica sì è aperta in due e sto aspettando che si rompa il resto. Di reclamare la garanzia e chiedere la sostituzione nemmeno a parlarne. Dovrei spendere 9 euro solo per la raccomandata all'indirizzo riportatro nello scontrino (miracolosamente rilasciato...esisterà l'indirizzo??), loro lo sanno che statisticamente non si reclama la garanzia per la merce di poco valore, specie quando il negozio si trova a mille chilometri di distanza, una causa costa un fottìo ed il tempo perso non è mai rimborsato...bastardi, me la pagherete lo stesso, ho il vostro indirizzo e vi ho fotografato di nascosto. Avevo già messo in preventivo l'eventualità di acquistare merce di dubbia qualità, lo sapevo, non sono arrabbiato. La vicenda mi è stata utile per ricordare (periodicamente fa bene farlo), spinto anche dal desiderio di sgusciare le microcamere e riadattarle con delle modifiche per altre aplicazioni... è questo in fondo il motivo che mi ha spinto a prenderle. Purtroppo o per fortuna sono gli eventi che mi costringono a reagire ed intraprendere delle soluzioni che in condizioni "normali" non avrei mai preso in considerazione. La smetterò quando non ci sarà più bisogno di documentare menzogne, truffe, reati e comportamenti illeciti assieme altri atteggiamenti figli della maleducazione che sembra siano diventati una regola di comportamento.  Alla prossima.

P.S. il cobra mangia la mangusta e la scimmia usa le banane. Ripeto: il cobra mangia la mangusta e la scimmia usa le banane.

mercoledì 21 agosto 2013

Pompa a pedale (riparazione)

Di cosa ci sia nelle cantine degli unani è dato sapere solo ai più attenti ad una sana politica del recupero, riciclo e riuso, in questo periodo tornato in voga grazie alla "crisi" finanziaria (ben venga). Del fenomeno che spinge certe persone a tenere gelosamente nel ripostiglio oggetti rotti e fuori uso, per anni e anni, non si conosce bene la motivazione. Fatto sta che ho messo le mani su una pompa a pedale, di quelle "di una volta", in metallo, a doppio pistone, con tanto di manometro per la pressione, all'apparenza robusta a tal punto che era davvero un peccato buttarla... " cheffai? la butti? te la porto io in discarica dai, ti do una mano". Ed ecco che mi ritrovo con una pompa che non pompa, da riparare.
Non è di progettazione cinese ma fatta in cina con delle scritte in tedesco ed importata su licenza da una ditta inglese (potenza della globalizzazione). L'etichetta riporta le sigle: GS geprufte Sicherheit - Z1A 06 03 44708 126 Lizenz inhaber: Paget Trading Ltd., c/o Paget Services 65 66 Woodrow London SE18 5DH UK  Modell H4001 LOT H4001J Maximaldruck 5 bar 2006 made in china.
Il meccanismo sembra a posto (cigola un pò ma lo Svit*l ed il WD4* fanno miracoli) ed un pò di ruggine intacca il pedale (Fer*x, una mano di vernice nera all'acqua e siamo a posto anche per questo). Gli stantuffi lavorano senza apparenti problemi ma non pompano aria...ci deve essere una perdita da qualche parte. Immediatamente mi concentro sulla cannula in gomma, fissata alle estremità con delle fascette a pressione...impossibili da rimuovere a meno di non rompere ulteriormente. Sembra nuova per cui non mi concentro più di tanto. Allora decido di svitare i pistoni, limare i perni a pressione (ci penserò a sostituirli con una barra di recupero da una stampante a getto, filettata alle estremità) e togliere il manometro. Con mia sorpresa, il primo pistone lavora egregiamente mentre il secondo non va in pressione...rotto, tocca aprirlo. Per fortuna è fermato ad una estremintà da un cappuccio a pressione, agganciato don due sedi che si incastrano su due protuberanze del cilindro. Si "svita" per pochi millimetri ed il martello gentilmente reclama l'apertura. 
Dentro uno stantuffo con un O-ring, grasso a iosa, una molla, un perno metallico. Una rapida pulizia e si scopre il problema. Il pistone è di plastica! ed ovviamente è crepato a metà così l'aria esce dalla parte opposta di dove dovrebbe. Allora...prima di cominciare a ragionare su come risolvere il problema... un paio di considerazioni sul produttore e sui suoi progettisti del c*zzo. Un aggeggio interamente in metallo... potrebbe essere eterno, me lo doti di una parte di plastica?? proprio quella che dovrebbe reggere di più lo sforzo?? ma allora lo fai apposta!. Ma, pensandoci, se fosse anche un trucco per costringerci a consumare, buttare e comprare il nuovo....chi è quel deficiente che dopo una rottura di un qualcosa lo compra uguale della stessa marca?? Esistono davvero degli imbecilli di siffatta natura?. Ok, sfogo scontato e considerazioni banali. L'ingegnere di turno ha fatto male i suoi conti o forse è colpa del "titolare" che si crede particolarmente furbo, un vero "impenditOre da suogno". 
Pensiamo a come risolvere. Di cercare la parte di ricambio nemmeno a parlarne...mesi di attesa e litigi telematici tra la germania, l'inghilterra e la cina. Soffro quando mi dicono di no... non ce l'abbiamo... non esiste il ricambio... conviene comprarla nuova (si cerrrto, sono imbecille, conviene a te). 
Il piano B prevede di rifare il pezzo in alluminio, al tornio...lo si fa uguale e non ci si pensa più. Il problema è procurarsi in breve tempo una barra di alluminio, ovviamente di recupero, col rischio di far passare settimane con il laboratorio occupato da parti smontate e messe da parte in attesa del pezzo. No, la pompa mi serve per la bicicletta che posso usarla intensamente in questo periodo dell'anno..per cui.... si pensa al piano C... compro una stampante 3D a filamento plastico, progetto con un CAD il pezzo e me lo stampo... al limite penso ad un service esterno che lo facciano al posto mio...ma così ho sempre un pezzo di plastica che si può rompere nuovamente... no...piano D, più rapido, grezzo ma efficace, poco durevole ma immediato... colla epossidica bicomponente, termocolla nella raggera posteriore di rinforzo e rinforzo frontale in gomma incollata in modo da prevenire ulteriori eventuali crepe e dare un pò di rigidità al tutto...un buon compromesso dai. Per precauzione smonto anche l'altro cilindro e lo modifico con il rinforzo prima che si rompa anche lui...è solo questione di tempo e non lo voglio perdere a rimetterci le mani. alla peggio c'è sempre il piano B ma con pistone di legno ;-). Alla prossima.

Aggiornamento: il piano D ha funzionato alla grande ed ora ho una pompa a pedale da 5bar perfettamente funzionante. Passo a migliorare la pompa elettrica a batteria 12V con un alimentatore ed un caricabatterie...sono lanciato.

P.S. la quaglia salta e il canarino canta. ripeto: la quaglia salta ed il canarino canta.   

giovedì 16 maggio 2013

Giornata maledetta

Oggi no!! Capita che certe giornate nascano con il piede storto, quando ci va tutto male. E più le cose volgono al peggio, più gli eventi negativi si moltiplicano, o almeno aumenta la percezione che tutto congiuri contro, anche le cose che normalmente sarebbero intepretate come "normali", appunto. Probabilmente è colpa dell'allineamento dei pianeti che oggi sono in una posizione che si ripeterà fra qualche millennio. Il maltempo fa la sua parte, con pioggia e vento forti a tal punto che nel giardino sono arrivate foglie di piante che crescono isolati più in là (e le mie andate ad invadere i giardini altrui) Forse è la sfiga che portano certi parlamentari, specie quelli che oggi si affannano a difendere l'indifendibile... ecc, secondo mè è proprio colpa del governo, non c'è altra spiegazione. Fatto sta che una serie di funesti presagi ha caratterizzato la giornata. Oggi la saldatrice ad arco va in tilt e non sono riuscito a saldare le ruote del carrello porta oggetti che uso nell'hack-lab. Per pulire i punti di saldatura andati a male, prendo il flessibile, nuovo di pacca ma acquistato tempo fa in base all'equazione "offerta=approfitta e metti da parte", lo avvio e CRACK!! il motore gira a vuoto e la mola se ne sta immobile...un filo di fumo e lo sciopero dell'utensile è dichiarato ad oltranza. Tragedia! Provo a smontare l'utensile per verificare cosa c'è che non va, ma le viti serrate con il martello di Thor si spannano in simbiosi con la punta dell'ultimo cacciavite a stella preso al volo che non si sa mai può sempre servire... è in offerta. Dulcis in fundo, dopo cena, dopo il caffè in buona compagnia ci si rinchiude al calduccio nel bunker e per superare i morsi della fame (dieta ipoquantitativa) ci si concede il lusso di 4 noci pagate un botto solo perchè sono "biologiche"... CRACK!! anche lo schiaccianoci decide di suicidarsi!!! Incredibile, non mi era mai successo in vita di vedere una cosa simile. Uno schiaccianoci in metallo, mica di plastica, perde una zampa e di riassettarlo nemmeno a parlarne dato che la saldatrrice necessita di una revisione a fondo... si saranno messe d'accordo?? Governo ladro! Gli pigliasse una serie di accidenti anche a loro. Alla prossima. 

P.S. B. ha rotto ma i cocci sono suoi. Ripeto: B. ha rotto ma i cocci sono suoi.

Aggiornamento... anche gli occhialini da vista hanno deciso di emulare e...CRACK!! la montatura è saltata... grave, gravissimo... sono quasi accecato... di corsa dall'ottico a dissanguarmi con un modello nuovo. Per questo defunto dedicherò un post apposito, le lenti sono a posto, basta farsi la montatura...(maledetti, non mi avrete vivo!) he he he... ne vedremo delle belle. a presto. 

sabato 20 ottobre 2012

Misurare una bassa resistenza

Sto ri-progettando l'alimentatore da 24 volt 6 Ampère che nella sua realizzazione originale non ha retto ai limiti delle specifiche a cui l'ho portato elevando i 12 volts del 7812 con un partitore resistivo. Per questo motivo ho rotto temporaneamente il porcellino di terracotta con i miei miseri risparmi (monetine da uno o due centesimi) e mi sono recato in negozio per acquistare dei regolatori 7824 (che ad oggi non ne ho trovato nemmeno uno di recupero, dannati commercianti, stavolta avete vinto voi). Nel ricalcolare i valori delle resistenze di sense per la protezione dai cortocircuiti ho voluto stavolta risolvere il problema della misurazione di valori ohmici estremamente bassi rispetto alla serie di valori comunemente in commercio.  Mi serve una resistenza da 0,166666 ohm ma ho un altro problema.... i due tester che ho non funzionano benissimo. Con la scala più bassa, mettendo in corto i puntali misurano uno 0,6 e l'altro 0,5 ohm (lo so, è il prezzo da pagare per un acquisto dai "cinesi" in regime di sciopero della spesa ).  Ed allora? una ricerca in rete e saltano fuori molte soluzioni... tutte prive però di spiegazioni sul come calcolare i valori dei componenti utilizzati... post inutili allora, non sono una scimmietta che copia e, quando qualcosa non va, non sa dove mettere le mani o come intervenire per risolvere. 
Il principio più semplice e di rapida realizzazione consiste nel realizzare un generatore di corrente costante (indipendentemente dal carico) e noto (impostato in fase di progettazione del misuratore), in modo da calcolare la resistenza incognita misurandone la caduta di tensione ai suoi capi applicando la legge di Ohm (R=V/I). Per il generatore di corrente costante si può utilizzare il diffusissimo LM317 o il meno noto L200 (che ne ho recuperati un pò da alcuni carica batterie ove trovano spesso applicazione). La scelta è ricaduta sul primo, collegato come da datasheet, in configurazione "Current Regulator". All'uscita del regolatore si collegano due resistenze in parallelo, di cui una variabile (per la taratura, possibilmente un trimmer multigiri). Il piedino ADJ si collega direttamente al carico di valore ignoto. La taratura è semplice, si ruota il trimmer sino ad ottenere un valore pari a 100 mA (0,1A) collegando all'uscita del circuito un amperometro prima con fondo scala 1A poi con fondo scala 200mA per arrivare al valore desiderato.  Poi si inserisce la resistenza incognita e si misura la caduta di tensione (in millivolts). La resistenza incognita avrà quindi il valore dato dal rapporto della caduta di tensione sulla corrente costante impostata secondo la formula:

Rx ohm= Vmisurata mV / 0,1A (o 100mA)

Ma nella pratica le cose sono un pò diverse da come pubblicato in certi siti di illustri teorici della fuffa. Come si calcola la R di uscita ed il valore del trimmer? Dal datasheet possiamo trovare la formula per calcolare la R1. La corrente in uscita è data dal rapporto fra la Vref e R1. La Vref è una tensione di riferimento (generata internamente) pari a 1,25 Volts fra il terminale ADJ (massa) e quello di uscita, secondo la formula :

Io = (Vref/R1) + Iadj = 1,25/R1

quindi se vogliamo una corrente costante di 100mA

R1=1,25/0,1 = 12,5 ohm

Non è un valore reperibile in commercio per cui occorre prevedere una resistenza variabile da collegare in parallelo per aggiustare il valore finale a quello che si desidera. Sarà quindi necessario adottare una R1 di valore di poco maggiore o uguale a 13 ohm ed un trimmer di valore adeguato (da 100 a 470 ohm, meglio se multigiro).  Se si guarda la formula del valore equivalente delle resistenze in parallelo è più facile capire quali valori scegliere per arrivare ai 12,5 ohm necessari 

Nel mio caso, dato che è meglio dimensionare la R1 da 1Watt (oltre che per sicurezza montare il regolatore su una aletta di raffreddamento), ho trovato solo una resistenza da 12 ohm nel cassetto dei componenti di recupero (anni di "magazzino" da accumulo compulsivo si rivelano utilissimi). Se si usano 12 ohm per R1, si otterrà in uscita un valore di corrente pari a 0,10416mA  (con il trimmer da 500 ohm praticamente a zero nel mio caso). Poco male. Si perde la comodità di calcolo nel determinare Rx e ci si dovrà aiutare con una calcolatrice. L'importante è conoscere esattamente il valore di corrente ed applicare la formula, per cui anche se i valori dei componenti non sono esatti, con le formule il valore della resistenza incognita sarà sempre determinato con buona approssimazione.... o quasi. 
I due tester che uso hanno un problema. Per una maggiore precisione occorrerebbe usare dei tester ad alta impedenza che non influiscono troppo nel misurare correnti e tensioni in gioco. I miei come già detto sono modelli da pochi euro. Esisterebbe la possibilità di ovviare all'inconveniente amplificando la tensione di uscita con un valore noto usando un operazionale di precisione, ma di complicarmi troppo la vita non mi va proprio. 
Ma vediamo alcuni valori presi con i due strumenti:

Tester Modello NI2100

Iout = 104,9mA Vrx = 16,5mV Rx=Vrx/Iout= 0,15729 ohm  
R0 (con puntali in corto) = 0,5 ohm  Rx misurata 0,7 ohm

Tester Modello DT890C

Iout = 106,6mA Vrx = 16,2mV Rx=Vrx/Iout= 0,15197 ohm
R0 (con puntali in corto) = 0,6 ohm  Rx misurata 0,8 ohm

Anche con gli errori introdotti dagli strumenti possiamo fermaci alla seconda cifra decimale e determinare una resistenza di 0,15 ohm "o poco più". A me me ne serve una da 0,16 ohm per cui diciamo che ci siamo se consideriamo di aggiungere anche la resistenza delle stagnature e delle piste a montaggio ultimato. Con la misura diretta non era possibile arrivare a tale risultato, stimando la resistenza incognita pari a 0,2 ohm.... circa (valore inadatto per l'applicazione prevista). 
Ok, direi che ci siamo (per ora) e posso procedere con il montaggio dell'alimentatore per poi procedere con lo smontaggio di componenti "esotici" da utilizzare nei miei progetti di ricerca.
Possibili sviluppi: perchè non dotare il circuito di resistenze di precisione, magari aggiungere un convertitore AD e processare la misura in modo che tramite un processore venga visualizzata su uno schermo LCD il valore già calcolato?
Alla prossima.

P.S. il gufo è nel bosco ed il merlo migra. Ripeto: il gufo è nel bosco ed il merlo migra.